Il Ruanda accoglierà i migranti intrappolati in Libia: “Gesto di umanità, no soldi dall’Europa”
Siamo convinti che a problemi africani servano risposte africane. Non dobbiamo aspettare che qualcuno dall'esterno venga a salvarci"
ROMA – “Il Ruanda non sta prendendo soldi da nessuno. È solo un gesto umanitario, che ogni paese africano dovrebbe fare”. Ha replicato così Germaine Kamayirese, il ministro ruandese per la Gestione delle emergenze, a chi ha ipotizzato che Kigali abbia accettato fondi dall’Unione europea per accogliere i migranti bloccati in Libia, come hanno fatto Turchia e Niger in passato.
Ieri ad Addis Abeba, la rappresentante del governo di Kigali ha siglato un memorandum d’intesa con i delegati dell’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) e l’Unione africana. Una decisione che ha attirato entusiasmo, ma anche critiche, soprattutto dopo che alcuni media hanno scritto che il Ruanda avrebbe ottenuto “incentivi” economici in cambio del trasferimento dei circa 4.700 migranti rinchiusi nei centri di detenzione libici.
Ma la scelta di Kigali, ha assicurato la ministra, è guidata unicamente dal “senso di umanità”. “E’ stata una nostra proposta- ha chiarito ancora Kamayirese- e ora stiamo onorando tale impegno. Siamo convinti che a problemi africani servano risposte africane. Non dobbiamo aspettare che qualcuno dall’esterno venga a salvarci”.
La decisione di Kigali di svuotare i centri di detenzione libici, istituendo con Unhcr e Unione Africana un meccanismo di transito per portare via i rifugiati, è stata annunciata dal presidente Paul Kagame nel 2017. Allora il capo dello Stato propose di aprire un corridoio umanitario per 30mila migranti. Cifre confermate anche ieri dal ministro Kamayrese, a condizione che le persone accettino di essere rimpatriate.
Infine, a chi ha contestato al Ruanda di non avere la forza di portare a termine un piano così ambizioso, a fronte di diffuso tasso di povertà interno, la rappresentante di Kigali ha dichiarato: “Abbiamo molti concittadini rifugiati in altri Paesi. Sappiamo cosa significa essere profughi. Non abbiamo bisogno di tutte le risorse del mondo per aiutare persone vulnerabili”. (Alessandra Fabbretti – www.dire.it)