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Pasquale Mautone: «Occorrerebbe sopprimere l’ufficio del giudice di pace».

Secondo il Docente Universitario della Federico II e Avvocato Cassazionista "specialmente in alcuni territori, raggiunge picchi intollerabili di illegalità".

NAPOLI. La giustizia separata dalla carità è quello che c’è di più orrendo al mondo: la citazione del Nobel per la letteratura del ’52 François Mauriac riecheggia nel colloquio e con l’impegno di Pasquale Mautone, avvocato cassazionista, giornalista e docente in “Diritto del lavoro” alla SSPL dell’Università di Napoli “Federico II”. L’avv. Mautone, 49 anni, napoletano, si occupa di complessi giudizi in tema di responsabilità medica e diritto del lavoro ed è dottore di ricerca in “Economia e management delle Aziende e delle Organizzazioni sanitarie” all’Università di Napoli Federico II. Quando lo incontriamo ha subito una esternazione: “La cultura dello scarto e della mancanza di rispetto per la vita produce impatto ambientale e conseguenze sociali evidenti. Una sana politica deve ripartire da questa coscienza per ideare un modello di sviluppo che leghi in una relazione ragionevole essere umano, risorse della Terra e futuro”. A cosa si riferisce? «A Molivos, nel nord di Lesbos, c’è il “cimitero dei giubbotti di salvataggio”, una lunga distesa di salvagenti, brandelli di canotti e ogni altro genere di oggetti a cui i profughi si aggrappano in mare. Quando riescono a sbarcare sani e salvi, i giubbotti vengono abbandonati e vengono accumulati in questo luogo. Ecco, vedendo questa toccante scena, davanti alla distesa di giubbotti di salvataggio, mi viene da dire che occorre pregare per tutti quelli che non sono arrivati e che hanno perso la vita in mare. Questa è la mia idea della solidarietà e dell’accoglienza». In una società sempre più individualista e indifferente pare sia difficile parlare di solidarietà? «Occorre provare e riprovare, senza farsi travolgere dai sentimenti di pancia, con la speranza che si possano sempre affermare i valori costituzionali dell’uguaglianza sostanziale sanciti dal più che mai attuale art. 3 della Costituzione. Intimorire chi pratica il salvataggio in mare è, a mio avviso, contrario alle Convenzioni internazionali e agli obblighi di solidarietà previsti dalla nostra Grundnorm». Qual è la sua paura? «Penso alle sorti del Paese e sono profondamente preoccupato. La lotta alle povertà va condotta con oculatezza e responsabilità e spetta alla mia generazione creare una classe dirigente competente e “riformista” che guardi alla solidarietà tra le future generazioni; penso all’equilibrio del sistema pensionistico e all’occupazione». Cioè? «Il riformismo è un metodo di azione politica che opera nelle Istituzioni democratiche al fine di modificare gradualmente le strutture economico-sociali». Dove bisognerebbe intervenire? «Il processo civile vive l’alternanza di diverse stagioni politiche e di diverse impostazioni ideologiche che andrebbero laicamente unificate. In altri termini, occorre certezza e speditezza del processo con la responsabilità dei giudici e qualche intervento manutentivo nei criteri di accesso alla Magistratura. Inoltre, considerato che la novellazione settoriale esprime un metodo legislativo disorganico, non contribuendo alla certezza del diritto processuale, l’auspicio è che un legislatore attento possa destinare maggior attenzione alla congruità delle risorse materiali ed umane al servizio della Giustizia. Se pensassimo di dover de-giurisdizionalizzare tutto, come amano dire i fautori delle ADR, noi avvocati non siamo disposti a rinunziare al diritto costituzionale di difesa, perché altro sono i diritti delle dramatis personae, altro sono gli strumenti risarcitori o il “denaro del pianto”. E poi occorrerebbe ragionare laicamente sul fatto che per valorizzare il diritto e la legalità occorrerebbe sopprimere l’ufficio del giudice di pace che, specialmente in alcuni territori, raggiunge picchi intollerabili di illegalità. Altro che presidio di legalità, come pure spesso sento dire». Invece sulla crisi dell’avvocatura? «L’Avvocatura italiana negli ultimi dieci anni si è fatta trovare sempre impreparata rispetto alle guidelines che provenivano da un legislatore sempre più lontano dal processo e dall’idea di “esigibilità e giustiziabilità dei diritti”. E guardate, non è un problema secondario quello della tecnica legislativa, poiché il processo è una cosa troppo seria per essere derubricato solo a strumento di distribuzione del “bene della vita”, ancor meno a statistica, come amano fare dalle parti di via Arenula, perché da garantisti pensiamo che il tema vada affrontato con serietà ed occupandoci del processo dobbiamo chiederci Qual’e’ la funzione del processo? Qual’e la funzione del Giudice? La risposta è che occorre rafforzare il processo (e non quello che c’è fuori dal processo) che per me rimane funzione di accertamento, essenzialmente di garanzia. Le norme processuali hanno l’”in se” della garanzia, il Giudice è esso stesso funzione di garanzia. Ed è contrario ad inderogabili principi costituzionali (art. 3, comma 2), oltre che al principio lavoristico contenuto nella carta Costituzionale, assistere ad esorbitanti condanne alle spese in capo ai lavoratori soccombenti nel processo del lavoro, in virtù dell’applicazione di una norma illegittima, allorquando tali Giudicanti dimenticano la funzione storica del Giudice del Lavoro che nasceva nel 1973 per sopperire allo squilibrio socio-economico tra datore di lavoro e lavoratore». Detto questo cosa rimane? «Rimane l’avvocato in balia del mercato del lavoro, ove occorrono quanto prima le necessarie ed auspicate specializzazioni. Rimane la devastante situazione dell’avvocatura italiana sul piano politico e su quello della “rappresentanza”, che, ricordiamolo, è cosa diversa dalla “rappresentatività”, perché se vi sono “proteste” è proprio perché non vi è quella giusta tutela delle istanze, delle esigenze e degli interessi di quell’avvocatura che si batte ogni giorno per il rispetto dei diritti e del ruolo del diritto di difesa. Per le specializzazioni occorrerà necessariamente una buona formazione professionale? «Tocchiamo il punctum dolens: la formazione professionale. Un intervento manutentivo va fatto necessariamente in merito ai “crediti formativi”, ed un controllo serio va attuato in merito alla nascita di associazioni forensi che intendono solo soddisfare “le luci della ribalta”, senza alcun contenuto dogmatico-scientifico e che improvvisano mediocri ed oscuri convegni senza alcun valore formativo. Un ruolo centrale deve avere la formazione per gli operatori di Giustizia tutti, che e’ cosa diversa dalla “convegnite”, malattia pericolosa che affligge l’Avvocatura tutta negli ultimi anni, da quando si cerca di ridurre sempre più il ruolo di garanzia dell’avvocato e si cerca di trasformarlo in un nuovo mercante, in virtù della competitività e dell’efficienza». Oltre l’avvocatura? «Vivo e lavoro tra Napoli e Bologna. Amo il calcio e la pallavolo. Ho due figli della stessa età e pur tenendo per il Napoli mi tocca vedere anche le partite dei felsinei quando giocano al Dall’Ara perché i miei figli sono tifosi del Bologna. Sono giornalista e conduco una trasmissione radiofonica che si occupa di politica, di problemi della giustizia ed attualità. Apprezzo i buoni vini. Mi ricordano, soprattutto, la passione che metteva mio padre quando provvedeva alla pigiatura e alla torchiatura e per noi ragazzi era sempre una festa partecipare. Purtroppo ci ha lasciato da poco lasciando un vuoto in tutti noi». I prossimi progetti? «Sto curando la stesura di un manuale sul “risk management” e “responsabilità sanitaria” a seguito della riforma Gelli – Bianco, insieme a diversi qualificati autori che a breve sarà pubblicato. Poi tanti progetti, ma sempre con uno sguardo rivolto alla tutele dei meno abbienti, poiché l’articolo 24 della Costituzione garantisce indistintamente a tutti i soggetti dell’ordinamento la possibilità di accedere alla Giustizia, tal per cui dobbiamo chiederci se il soggetto non abbiente, di fronte all’amministrazione della Giustizia si trova in condizioni di parità con la parte abbiente, o la sua situazione economica lo pone in partenza in una condizione di svantaggio? Il nostro precipuo compito – conclude Mautone – è quello di cercare di scongiurare proprio quanto già nel 1954 scriveva, immaginifico come sempre, Piero Calamandrei: La legge è uguale per tutti” è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocar la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria».

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