Roma – Da qualche anno ricercatori e tecnici dell’INGV impiegano la tecnologia dei droni (UAV Unmanned Aerial Vehicle) a supporto delle attività legate alla ricerca e al monitoraggio sismico e vulcanico. I droni sono aeromobili dotati di un controllo elettronico che ne permette il pilotaggio a distanza. Generalmente trasportano una videocamera ma, a secondo del modello e del carico trasportabile (payload), possono ospitare sensori di diversa natura: termocamera (camera sensibile alla radiazione infrarossa), rilevatore di gas, laser scanner (strumenti capaci di misurare la posizione di centinaia di migliaia di punti che definiscono la superficie degli oggetti circostanti). Le dimensioni e il peso di questi velivoli sono molto variabili, da alcuni centimetri e pochi grammi a svariate tonnellate con dimensioni paragonabili ad un aereo di linea (Figura 1).
La diffusione dei sistemi aeromobili a pilotaggio remoto è dovuta ad una crescita esponenziale della miniaturizzazione dei sistemi di controllo grazie ad uno sviluppo tecnologico che, nel tempo, ha permesso l’abbattimento dei costi aumentandone l’affidabilità.
L’impiego di questi oggetti ha stuzzicato la fantasia di chi, da sempre, avrebbe voluto osservare, campionare, monitorare e, più in generale, studiare i fenomeni naturali da un’ottica diversa, complementare alle tradizionali osservazioni e attività di terreno.
I droni sono di grande aiuto nelle attività di campagna soprattutto in ambienti difficili, ostici, rischiosi se non addirittura critici. In scenari particolari sono diventati indispensabili al fine di ridurre il rischio a cui potrebbero essere esposti gli operatori (Figura 2). In altre parole, questi velivoli tendono ad assumere sempre più i compiti noiosi, sporchi e pericolosi (Dull, Dirty and Dangerous ), altrimenti noti come le “3 D” della robotica; essi permettono anche di ottimizzare i tempi di lavoro risultando così economicamente vantaggiosi
I droni possono condurre l’operatore nelle immediate vicinanze del luogo in cui è in atto un fenomeno (Figura 3), permettendogli di catturare immagini e filmati e, grazie ad opportuni sensori e successive elaborazioni, di localizzare esattamente l’evento e caratterizzarlo quantitativamente. Per esempio, nel caso di una eruzione vulcanica, i dati raccolti possono essere elaborati per calcolare area, volume e tasso di effusione dei prodotti eruttati (Figura 4).
Le missioni di volo effettuate con i droni possono essere pianificate in laboratorio scegliendo accuratamente l’area di interesse, e predisponendo i parametri di volo al fine di ottenere il miglior prodotto possibile. Grande cura va dedicata alla scelta della quota e della velocità di volo per avere immagini a fuoco con il desiderato livello di dettaglio. Le missioni pianificate possono essere ripetute nel tempo assicurando in questo modo la perfetta ripetibilità del dato, ovvero quando si deve tenere sotto controllo un fenomeno ad alta dinamicità. Unico vincolo ai rilievi aerei sono le condizioni meteorologiche, in particolare temperature estreme e forti venti a raffiche.
L’applicazione più diffusa dei droni riguarda la ripresa di foto aeree, le cui immagini, processate con algoritmi SfM (Structure from Motion) di aerofotogrammetria, restituiscono ortofoto (ottenute come mosaico di immagini geometricamente corrette; Figura 5) e modelli 3D delle superfici topografiche (Figura 6).
La tecnica SfM permette di ricostruire, partendo da una serie di immagini con un buon margine di sovrapposizione, oggetti di qualsiasi dimensione, in 2D, e nuvole di punti 3D georeferenziati, ovvero con una ben definita posizione nello spazio. Le nuvole di punti sono costituite dall’insieme di punti omologhi ricavati da più immagini attigue e riposizionati nello spazio (Figura 6).
Un esempio di come i droni coadiuvano l’attività di campagna del vulcanologo è rappresentato dai dati elaborati nel corso dell’eruzione dell’Etna avvenuta dal 30 Maggio al 4 Giugno 2019. In quella occasione è stato possibile monitorare l’attività esplosiva alle bocche e mappare con grande precisione le colate. (video 1 e Figura 7).
Video 1 – In questo video si osserva la parte terminale della fessura eruttiva apertasi il 30 maggio 2019 caratterizzata da un’intensa attività di spattering e il campo lavico attivo che si espande verso la Valle del Bove. Si può notare che lungo la fessura vi è attività stromboliana di diversa intensità. In particolare la bocca posta più a monte emette una bolla di gas e spatter che disegnano una sfera perfetta.
Rilievi aerofotogrammetrici sono stati eseguiti anche al geosito delle “Salinelle dei Cappuccini” a Paternò, in Provincia di catania, un piccolo vulcano di fango caratterizzato da un alto contenuto salino (Figura 8). Un vulcano di fango può essere sia una piccola collina, alta da pochi decimetri a parecchi metri, che una depressione che erutta argilla, unita a sostanze saline come acque salso-bromo-iodiche (acque minerali caratterizzate dalla presenza di una grande quantità di cloruro di sodio, di bromo e di iodio), ed anche metano e idrocarburi (bitume).
Un altro caso di applicazione dei rilievi eseguiti con droni riguarda l’osservazione e la mappatura degli effetti dei terremoti, come quello di magnitudo Mw 4.9 che il 26 dicembre 2018 ha colpito la zona di Fleri, in provincia di Catania, sul versante sud-orientale dell’Etna. Sono stati eseguiti diversi sorvoli delle aree colpite (Figura 9 e video 2) a supporto delle attività di terreno eseguite dal gruppo EMERGEO (gruppo INGV che ha come scopo principale il rilievo geologico in caso di evento sismico in Italia e nel Mediterraneo).
Video 2 – Effetti del terremoto sulla pavimentazione di una casa di Pennisi, in provincia di Catania, sul fianco sud-orientale dell’Etna.
I droni, già capolavori di ingegneria, se integrati con particolari strumenti e sensori, alcuni dei quali progettati e realizzati nei laboratori dell’INGV, possono essere impiegati anche per il rilievo termico e per il prelievo di campioni di gas o di fango.
Ad esempio, nell’area napoletana, il cratere della Solfatara nei Campi Flegrei (Figura 10), così come il Vesuvio e l’Isola di Ischia (Figura 11), vengono costantemente monitorati dall’INGV – Osservatorio Vesuviano, misurando le variazioni nel tempo delle temperature al suolo di zone a intenso degassamento, caratterizzate da significative anomalie termiche (video 3).
Video 3 – Attività svolte da ricercatori e tecnici dell’INGV-Osservatorio Vesuviano con droni di diverso tipo, al fine di caratterizzare il comportamento del campo di temperature superficiali di aree vulcaniche attive e per eseguire rilievi morfo-strutturali.
Nel Parco delle Biancane, nella Maremma grossetana, viene rilevata, invece, la distribuzione areale delle zone ad elevata anomalia termica e vengono anche compiute misure di concentrazione di gas e delle temperature superficiali, utili a calibrare i dati all’infrarosso termico rilevati da satellite (Figure 12 e 13).
Infine, un’altra interessante sperimentazione è stata condotta su Lusi, il vulcano di fango più grande del mondo, nell’isola di Giava in Indonesia. Qui un team dell’INGV, insieme ad esperti internazionali con competenze multidisciplinari, dalla sismologia, alla geochimica, dalla microbiologia, alla geologia e geofisica, hanno realizzato un drone progettato ad hoc e attrezzato con strumenti idonei a monitorare e studiare l’eruzione idrotermale effettuando sul posto campionamenti periodici di fango e gas (Figura 14).
Le attività svolte con l’ausilio dei droni possono essere estese anche allo studio e al monitoraggio di fenomeni pericolosi correlati al vulcanismo, quali ad esempio i movimenti gravitativi superficiali.
(di Massimo Cantarero, Emanuela De Beni, Enrica Marotta, Pasquale Belviso, Gala Avvisati)