Editoriale – Siamo divisi da un virus, un cosettinetto minuscolo che manco si vede e che pure sta mettendo in ginocchio il mondo. Probabilmente siamo di fronte a questo “prodotto da laboratorio”, un’arma biologica studiata e programmata impazzita proprio per essere tale. Questo per lo meno è il mio pensiero. Però un dato è certo, questo mostro Covid riesce ad mandare persone all’altro mondo prima del previsto, ad intasare la sanità pubblica e a far vacillare ogni nostra certezza. Ma del doman non vi era comunque mai alcuna certezza, solo che questa emergenza ci ha messo di fronte ad un fatto compiuto tutti insieme. E come nelle grandi guerre, il popolo si divide tra chi capisce, chi fa finta di non capire e chi non lo vuole capire.
La realtà però è diversa dalla fantasia, ed una costrizione domiciliare obbligatoria sta piegando anche i più capricciosetti e resitenti: i figli del terzo millennio.
Per molti la parola obbligo non è una imposizione ma un rispetto delle regole, che qualcuno da qualche parte dovrà pur dare. La vità è fatta di regole, molte scritte, altre non scritte e demandate al libero arbitrio di cui l’uomo è dotato. Accettare gli obblighi non è piacevole ma è un componente della vita, ed in una nazione dove tutto sembra essere diventato la Repubblica di Uzupis (per chi non la conosce può trovarla su google), per far capire alla gente che rischia la vita e mette in pericolo quella di tutti, bisogna ricorrere all’obbligo. Alla legge, che fino a ieri ci sembrava normale ed oggi invece siamo già piegati come il giunco che si abbassa ed aspetta che passi la piena.
Dobbiamo starci e collaborare per dovere civico nei confronti dell’umanità di cui siamo parte, non per nostra scelta, ma comunque ci siamo e fin quando abbiamo il dono della vita la dobbiamo rispettare. E dunque mi direte cosa c’entra il titolo con questa riflessione. C’entra, perchè nell’epoca delle cosiddette “diavolerie”, o per lo meno così ritenute tali da molti, si riscopre immediatamente l’utilità dei social media, e della comunicazione.
Immaginate per un attimo di stare senza rete, senza tv, e forse anche senza corrente. Tanto ebbe a capitare ai nostri nonni e bisnonni, che non erano degli automi, ma persone in carne ed ossa come noi. Ebbene di fronte ad un virus che ci divide abbiamo i social media che ci stanno unendo, rendendo possibile la condivisione di sfoghi, di pensieri e di una condivisione tale di informazioni e notizie che però molte sono fake. Dobbiamo saper riconoscere nel web il buono dal cattivo, come nella vita reale. Di chi possiamo fidarci e di chi no. Ecco e sta a noi saper discernere e scegliere da chi farci informare chi leggere e di chi fidarci.
E nei social ecco che i gruppi di Whatsapp stanno sostituendo le barbose conversazioni di controversie tra condomini, come alle lamentele varie sta prendendo il sopravvento un tenore discorsivo garbato. Siamo già tutti più educati anche se a distanza. Un numero maggiore di persone saluta il suo prossimo con maggiore enfasi perchè condivide al pari la sua stessa esperienza. Il mostro Covid non fa sconti, non vi è ceto sociale che ne sia immune. Siamo tutti uguali alla livella del coronavirus. Tutti possibili moribondi su una barella destinati a rimanere senza fiato, compreso me che sto scrivendo. Si perchè le cose non è che devono sempre capitare agli altri. E allora siamo realisti, utilizziamo al meglio i social media, quelle diavolerie, che però oggi sono l’unico e vero toccasana per l’anima di ognuno di noi costretto nei suoi domicili ma unito almeno dai social media.