Roma – La app “Immuni”, o come altro sarà chiamata potrebbe essere dunque un compagno di viaggio facoltativo ma nel contempo sia obbligatoria per potersi muovere liberamente. Molti i lettori che però ci hanno chiesto nello specifico di meglio approfondirne il funzionamento e quindi abbiamo ritenuto di fornire un esempio pratico:
Prendiamo a campiona un utente ipotetico che si chiama Francesco e che che alla fine del mese di maggio proceda a scaricare l’app volontariamente e gratuitamente.
Francesco esce di casa
Nel percorso per recarsi presso il proprio posto di lavoro e durante la giornata, la app si accorge degli altri dispositivi che l’hanno scaricata quindi altri come Francesco e che si trovano nelle vicinanze e scambia codici casuali che cambiano frequentemente e vengono salvati nella memoria interna di tutti i dispositivi interessati.
Se Francesco dovesse poi fare un test e rivelarsi positivo al virus, l’operatore sanitario che gli comunicherà l’esito e lo inviterà a selezionare l’opzione Carica dati sulla sua app per generare una stringa numerica.
La stringa andrà inserita dall’operatore sanitario in un’interfaccia gestionale dedicata e il codice (anzi, i codici, perché cambiano di continuo) emessi dal dispositivo di Francesco verranno caricati sul server.
A quel punto, tutti gli smartphone con l’app installata potranno sapere se hanno incontrato Francesco, senza nemmeno sapere chi realmente sia , perché scaricano periodicamente i codici degli infetti dal server.
Chi è stato a contatto con Francesco entro due metri e per più di 15 minuti (contatti stretti) o meno di 15 minuti (contatti causali) riceverà una notifica. Quello che succede dopo dovrà ancora essere definito nel dettaglio e sarà fondamentale per l’effettiva utilità dell’operazione: chi è a rischio riceverà solo indicazioni su come comportarsi del ministero della Salute? Dovrà contattare le Asl? Avrà accesso a un tampone? Ce ne saranno abbastanza? Per queste risposte vige l’esercizio del dubbio.