Intervista a Vincenzo Incenzo per l’uscita del singolo “Un’altra Italia”: una farfalla ferita ma pronta a riprendere il volo
Il cantautore romano spiega la nascita del nuovo brano, che anticipa il secondo album “Ego” in uscita il 4 settembre. Un dialogo tra anima e mondo e una sfida col nuovo tempo che ci aspetta
“Un’altra Italia” è il nuovo singolo del cantautore italiano Vincenzo Incenzo, uscito lo scorso 2 giugno in occasione della festa della Repubblica. Scritto e composto durante il periodo del lockdown, è un brano che riesce ad andare oltre quel momento e a dipingere la nostra Italia in maniera totale. Una dedica accorata, ma anche un grido di speranza e un augurio per il nostro Paese, che solo la sensibilità di un grande artista poteva riuscire a condensare e a sublimare in una canzone di grande respiro. In singolo anticipa “Ego”, il secondo album di inediti in uscita il 4 settembre, che rappresenta una nuova stagione per la carriera del cantautore romano. Lo abbiamo intervistato a Roma per conoscere più da vicino “Un’altra Italia”, il suo significato e i progetti futuri.
Con “Un’altra Italia” ha saputo mettere in musica le grandi difficoltà e la forza d’animo degli italiani, e lo ha fatto con una melodia delicata che si unisce a parole forti e una voce che, rispetto alle sue precedenti canzoni, appare più graffiante, quasi accorata. Come nasce questa canzone? E cosa cambia rispetto al precedente album “Credo”?
«Sì, questa osservazione sulla voce è vera, è stata notata anche da artisti come Ron, Maurizio Fabrizio, Alberto Fortis, i Pooh e altri quando hanno ascoltato per la prima volta il brano. Sicuramente qui c’è più consapevolezza rispetto al lavoro precedente. C’è il fatto di sentirmi completamente libero, essendo il nuovo album autoprodotto. Adesso ho messo veramente a fuoco le cose. “Un’altra Italia” nasce in pieno lockdown, quindi il tema è molto caldo, però non è una canzone che parla esplicitamente della pandemia, ma dell’Italia in un contesto più ampio. Quando scrivo canzoni mi voglio sempre ispirare ai grandi cantautori che sanno cogliere il particolare nell’universale. È quella capacità di raccontare il momento però inquadrandolo in una visione più ampia, e quindi di leggere al di là del presente. Alla fine “Un’altra Italia” racconta questo: è un brano che rimane aperto, perché al di là dell’indignazione, legata al periodo che stiamo vivendo, permane un’idea di amore e di speranza per il nostro Paese».
La speranza è un elemento molto forte in questo brano. Cosa intende allora per “Un’altra Italia”, qual è l’Italia che vorrebbe veder ripartire?
«Nonostante il periodo difficile, mi sembra ancora una volta che la gente dimostri di avere una capacità straordinaria di adattarsi e quasi di autogovernarsi. C’è un forte spirito di adattamento, di sacrificio e di creatività che credo sia davvero una prerogativa tutta italiana. Io ripartirei proprio da questo, dalle caratteristiche del dna degli italiani e valorizzarle. Se alla fine può esserci una lezione da trarre da tutta questa storia è proprio questa: vedere come la gente sia pronta al sacrificio sempre, e come trovi la forza e lo spirito di rendere il dramma più leggero e vivibile. Io questo lo trovo straordinario, e credo che ci siano già tutti gli elementi per un’altra Italia, a cui andrebbero soltanto date luce e voce».
Il nuovo singolo anticipa “Ego”, il suo secondo album che uscirà il 4 settembre. Cosa può anticiparci del nuovo disco e a cosa si riferisce questo titolo?
«Sì, voglio spiegarlo bene perché c’è il rischio che questo termine sia equivocato, ma è una sfida che volevo prendermi perché vada restituito alla parola “ego” il suo vero significato. L’ego è, nella psicologia, il termometro che regola la nostra interiorità col fuori, con la società. E penso che l’ego, così inteso, debba tornare assolutamente al centro in questa sfida col nuovo tempo che ci aspetta. Sempre di più si quantifica l’essere umano a livello numerico più che qualitativo. Mi piacerebbe, invece, che si tornasse ad alzare la mano uno per uno e si tornasse a dire “io so fare questo”, “io ci sono”, con tutte le nostre debolezze, le nostre fragilità: secondo me è questa la sfida.
È un discorso che cominciava già dal disco precedente, da “Je suis” (brano del precedente album “Credo”, ndr), che era un po’ una critica del dire “Je suis” però poi si sta comodi sul divano a fare la rivoluzione. Una maggiore partecipazione attiva alla vita sociale e una valorizzazione maggiore di noi stessi: “Ego” è inteso in questo senso. Quindi non come esternazione del proprio egotismo, narcisismo. È un dire “io ci sono, io voglio esserci”, insieme a tanti altri ego e ognuno con le proprie differenze. Tutto il disco racconta questo: parte da un discorso totale sul mondo, sulla società e va a stringersi sempre di più verso l’individuo, verso l’anima. Nel nuovo album ci sono canzoni socialmente anche molto dure e canzoni d’amore. È un dialogo tra anima e mondo. E poi una sonorità tutta nuova».
Parlando di sonorità, l’album si avvale della collaborazione con un grande produttore: Jurij Ricotti, che vanta collaborazioni internazionali con Andrea Bocelli, Queen, Eminem, Ariana Grande. Cosa ha dato a “Ego”?
«Jurij Ricotti è una grande figura di riferimento, lo conosco da molto tempo ed è un produttore e un artista totale. Ha una visione piena della musica, camaleontica ma sempre unitaria, e ha fatto di “Ego” un disco sicuramente meno classico del precedente: è molto più aggressivo, contemporaneo ma senza rinunciare alla delicatezza. E poi ci sono i musicisti, tutti dislocati in giro per il mondo: il bassista è in Brasile, il percussionista in Colombia, e da lì ci mandano le tracce. Insieme abbiamo fatto un disco dal sapore davvero internazionale. Anche la grafica è molto curata e i video sono straordinari. È tutto concepito come un’opera totale, e dentro c’è tutto me stesso».
A proposito di grafica, la copertina di “Un’altra Italia” è molto particolare: una farfalla che per metà è ricoperta da pezzi di giornale. Cosa significa questa immagine?
«Per me era importate che in una canzone intitolata così, l’Italia non ci fosse in maniera smaccata. Per questo ho pensato a un simbolo diverso, che fosse di rinascita e quindi è venuta fuori l’immagine della farfalla. Ma è una farfalla ferita, che per essere medicata le è stata messa questa carta di giornale, che è la sua cura ma anche il suo veleno. Il giornale infatti rappresenta tutta quella comunicazione da propaganda che in questo periodo ci ha letteralmente sommerso. Con quest’ala un po’ rattoppata, la farfalla si appresta a volare e non sappiamo ancora quale orizzonte abbia, ma ha le ali aperte e quindi è pronta a riprendere il volo».
Credo sia anche questa la forza delle sue canzoni, il fatto di essere portatrici di dolcezza ma anche di un messaggio che non esula mai dal contesto attuale e sociale…
«Esatto. Quando cantavo al Folkstudio a 18 anni c’era tutta questa schiera di cantautori peri quali ogni canzone era sempre depositaria di qualcosa di importante. Per me sono stati dei maestri, e mi è rimasta quella idea che una canzone debba avere uno sfondo sociale, sul filo di “Un’altra Italia”. Io sono del parere che la canzone sia un piccolo manifesto, che racconti sempre quello che c’è intorno a noi, anche quando si parla d’amore. Penso che le canzoni possano essere ancora testimoni del nostro tempo, e motori del cambiamento».