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Il tempo perduto di un innocente. Tra errori giudiziari e pregiudizi.

L'avv. Aldo Truncè, attraverso il racconto della storia di Alfonso, personaggio di fantasia, accende i riflettori su alcune criticità del nostro sistema giudiziario.

Alfonso è venuto in Italia dalla Tunisia intorno al 2005. Era laureato, ma aveva accettato di fare i lavori più umili in terra di Calabria, dove un lavoro consono agli studi conseguiti non lo trovano gli autoctoni, figuriamoci gli stranieri! Era un bel ragazzo ed una giovane insegnante calabrese si era innamorata di lui. In una manciata di mesi aveva imparato l’italiano alla perfezione, grazie all’impegno ed all’amore per la sua donna, ed era riuscito a trovare finalmente un lavoro dignitoso. Aspettavano un bambino, e, mancava poco alla data del parto, quando un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa da un tribunale italiano nei confronti di Alfonso, ruppe l’incanto. Alfonso era accusato di uno dei reati più gravi in termini di pena che il nostro codice prevede: l’omicidio premeditato. Ma Alfonso mi ripeteva che non c’entrava nulla. Nulla come il vuoto che aveva intorno a lui: a nessuno importava la sua storia, nemmeno ai giornali, che scrissero un trafiletto solo in occasione del suo arresto. Sembrava un teorema accusatorio perfetto: c’erano prove inconfutabili che lui si trovasse sul luogo dell’omicidio, in una zona desolata, ma Alfonso continuava a ripetermi che di quella brutta storia non sapeva nulla. In cuor mio sapevo che era innocente, ma avevo poche possibilità per dimostrarlo, forse nessuna. Mi sentivo impotente e vedevo Alfonso chiuso in una torre arroccata con un enorme fossato intorno. Ad ogni colloquio in carcere lui mi ripeteva: Dio sta dormendo! La stessa frase pronunciata con le lacrime agli occhi, anche dopo la sentenza di condanna di primo grado, confermata in appello. Non riusciva a dormire se non con psicofarmaci e, oramai si nutriva solo con benzodiazepine. Suo figlio aveva da poco compiuto cinque anni quando un collaboratore di giustizia confessò di essere l’autore del delitto e scagionò Alfonso, spiegando a processo non ancora concluso perché tanto possono durare in Italia, i processi con custodia cautelare in atto – che Alfonso era stato designato come capro espiatorio in un disegno perfetto, fornendo le prove, riscontrate di quanto sosteneva. Alfonso venne scarcerato, ma nel frattempo in oltre cinque lunghi anni di carcerazione preventiva, aveva conosciuto tutte le miserie umane all’interno di tanti istituti di pena in cui era stato trasferito, molto lontano dalla città in cui abitava con la sua compagna, che aveva molte difficoltà a raggiungerlo per portargli, ogni volta, un conforto di appena un’ora dopo un’intera giornata di viaggio. Alfonso e suo figlio hanno perso un tempo che nessuno gli potrà restituire: quello del primo vagito, della prima pappa, delle prime parole, dei primi passi. Tante prime volte che non ci saranno più, perché per un innocente il tempo perduto non viene più restituito da nessuna riparazione per ingiusta detenzione offerta dallo Stato. Quello Stato in cui “gli innocenti non vanno in carcere”, come sarebbe piaciuto credere al nostro Alfonso, e come crede per davvero un altro “Alfonso”, il ministro della Giustizia della Repubblica Italiana , che dovrebbe scendere sul pianeta giustizia in cui forse non ha mai abitato, perché di storie come questa, di Dei dormienti e di tempo che non torna, ce ne sono ancora tante.

Avv. Aldo Truncè

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