Crotone: «È giunto il tempo che le sciabole rispondano alla chiamata alle armi».
La riflessione di Aldo Truncè che, facendo un bilancio del 2020, auspica maggior carisma e competenze nell’esercizio della democrazia partecipata.
La cultura crotonese tramanda da generazioni archetipi e modi di dire in grado di esprimere, con poche parole, situazioni e contesti, che nemmeno le più efficaci figure retoriche riescono a rappresentare. “I sciabbuli stan’ mpinnute e ri fodere fan a guerra”. C’è, in questa frase, l’essenza della stasi politico-culturale che si vive, da tempo, in ogni ambito. Gli scoppiettanti entusiasmi dei fautori dell’antipolitica hanno consentito un turn over delle classi dirigenti su larga scala. Negli anni più recenti abbiamo sperimentato una surrogazione dei politici di lungo corso a favore di volti nuovi, orgogliosamente digiuni di politica, che hanno fatto di questo digiuno il loro stendardo, il loro punto di forza, nella consapevolezza che nell’immaginario collettivo, la figura del “politicante” facesse, ai più, estremo ribrezzo. Lo sdegno verso la politica ha radici non così ataviche. Tangentopoli, smantellamento della democrazia cristiana, ventennio berlusconiano alternato all’assenza di una sinistra compatta, sono pezzi di storiografia recente, che hanno scavato un baratro sempre più profondo tra politica e società civile e hanno portato alla nascita di forme di cittadinanza attiva, che sono riuscite ad emergere come l’alternativa possibile, sotto la bandiera dell’antipolitica, in ogni contesto geografico, sia a livello centrale che territoriale. Al digiuno della politica si è presto sostituita la fame di emergere, e così anche queste nuove forme di organizzazione, che hanno riscosso enorme consenso, hanno conosciuto in tempi più recenti le devianze più tipiche della vecchia politica, con lotte intestine all’interno delle stesse fazioni e demolizione delle regole interne, riadattate alle esigenze del poltronismo. I detrattori della vecchia politica indulgono in comportamenti tipici che hanno sempre formalmente osteggiato, senza però avere le solide spalle per poter resistere a questi vortici che ineluttabilmente li travolgeranno. Ed in questo contesto le sciabole hanno deciso di rimanere appese a guardare, rinunciando a prendere parte alla guerra, mentre le fodere rischiano di rivelarsi per ciò che funzionalmente rappresentano: contenitori, vuoti all’interno. L’inerzia delle sciabole può essere stigmatizzata nella celebre frase del drammaturgo rumeno Eugene Ionesco: “Dio è morto, Marx pure, ed anche io non mi sento molto bene”. Le sciabole avranno forse voglia di tranquillità? Troppe le rinunce, negli ultimi tempi, a proposte di partecipazione attiva da parte di chi ha degne capacità di poter partecipare alla vita politica. Nel “chi me la fa fare” è riassunta quell’opzione per l’inerzia, che è qualcosa di diverso dall’ignavia di dantesca memoria. Non si sceglie di non prendere posizione, ma si sceglie di restare a guardare, da lontano. Certo è che la scelta delle sciabole di rimanere appese. non fa che favorire il turbinio delle fodere, che, forti della stasi in cui operano, in maniera autoreferenziale, si sono convinte addirittura di poter combattere una guerra senza la necessità di armi. Pare quasi di sentirlo, il dialogo a distanza, tra la sciabola appesa, che osserva da lontano, e la fodera. “Ma guarda che non è cosa tua fare una guerra” – dice la sciabola. “Facile criticare, restando lì appesi a guardare” – risponde la fodera. “Puoi illuderti di poter combattere, ma presto ti accorgerai che senza il peso del metallo ed una tagliente lama, non si può vincere”. Metallo, lama, sono le scelte valoriali che devono accompagnare la dirigenza politica, illusasi che la democrazia partecipata possa essere esercitata senza carisma, ma, soprattutto, senza competenze. La fine di un anno è sempre periodo di bilanci. È giunto il tempo che le sciabole rispondano alla chiamata alle armi.
Aldo Truncè