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“Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma”, un film di Giulio Base tra memoria e nuove generazioni: Non possiamo non sentirci ebrei

Sarà disponibile in esclusiva su RaiPlay dal 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, e in onda su Rai1 il 6 febbraio in seconda serata

Roma – Segreti, un passato nascosto e una misteriosa lettera. “Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma” è il nuovo film di Giulio Base, presentato lo scorso ottobre come Evento della Festa del Cinema di Roma, e sarà disponibile in esclusiva su RaiPlay dal 27 gennaio, Giornata della Memoria, e in onda su Rai1 il 6 febbraio, in seconda serata, alle 22.50.

Girato nel cuore della Città Eterna lo scorso dicembre, nella splendida cornice del quartiere ebraico, del Lungotevere e dell’Isola Tiberina, il film di Giulio Base è una produzione Altre Storie e Clipper Media con Rai Cinema.

La scelta della Giornata della Memoria per la visione su Rai Play sottolinea l’importante messaggio che il film vuole dare: continuare a cercare e ricordare la storia della Shoah affinché non si ripeta più, studiare e incontrare le diverse religioni nel rispetto reciproco.

“Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” racconta l’Olocausto attraverso la ricerca della verità da parte di un gruppo di ragazzi. Una strada innovativa di racconto, che vuole coinvolgere proprio le nuove generazioni, trasferendo alle loro coscienze e riflessioni la più tragica lezione della storia dell’umanità. Un progetto che ha ricevuto il patrocinio della Comunità Ebraica di Roma.

Nel film il passato si intreccia col presente: il ritrovamento di una vecchia lettera contenente una misteriosa fotografia ingiallita che ritrae una bambina, datata 1946, porterà un gruppo di giovani studenti alla ricerca della verità.

Cercando di svelare il mistero che si cela dietro la foto, i ragazzi affrontano un viaggio attraverso la memoria di un passato doloroso e difficile da dimenticare come quello del rastrellamento del quartiere ebraico di Roma. E pur appartenendo a confessioni religiose diverse, ebraismo e cristianesimo, provano a trasformarlo nell’occasione per una riflessione collettiva camminando insieme nel loro primo impegno esistenziale, personale, culturale.

CAST E PRODUZIONE

Nel cast troviamo Bianca PanconiEmma Matilda Lió, Daniele Rampello, Irene Vetere, Francesco Rodrigo, Marco Todisco, Aurora CancianAlessandra Celi, con la partecipazione di Lucia Zotti, l’amichevole partecipazione di Domenico Fortunato e un cameo di Giulio Base.

Il film, scritto da Giulio Base insieme a Israel Cesare Moscati – regista e sceneggiatore recentemente scomparso e a cui il film è stato dedicato – e da Marco Beretta, si avvale della fotografia di Giuseppe Riccobene, delle scenografie di Walter Caprara e dei costumi di Magda Accolti Gil. Il montaggio del film è stato affidato a Mauro Ruvolo, il suono è a cura di Piero Parisi e le musiche originali di Pietro Freddi, a cui si aggiunge la canzone “Tutto quello che un uomo” di Sergio Cammariere. Il film è stato prodotto da Cesare Fragnelli e Sandro Bartolozzi.

«Della Shoah non si parlerà mai abbastanza – afferma Giulio Base – Quando poi lo si fa rivolgendosi ai più giovani, coltivando la memoria come fosse un giardino da non lasciare mai privo di cure, ciò vale ancor più. In questa storia vive non solo un teen drama, non solo un intreccio adolescenziale, non è la pietà per le vittime dello sterminio, che pure è presente, ad animare il plot, ma la ricerca di quel che accadde, la voglia di sapere, di scoprire, di divulgare acciocché quell’orrore non debba mai più ripetersi».

INTERVISTA AL REGISTA GIULIO BASE

Il regista dichiara di essere molto entusiasta di questo lavoro, e soprattutto di aver conosciuto Israel Cesare Moscati, a cui il film è dedicato. Un uomo e artista dotato di una grande intuizione, che lo ha ispirato e guidato fino alla sua improvvisa dipartita, lasciandogli il testimone. «Una delle cose più belle che ho fatto in questo film è stato conoscere Israel e da lui ho imparato la forza delle idee. Aveva delle illuminazioni e una volontà veramente fuori dal comune, era pieno di intuizioni. Come tutti coloro che vogliono fare la loro opera prima, voleva mettere dentro tutto: la musica, lo sport, il futuro, la difficoltà della memoria, che è un po’ quello che abbiamo cercato di fare nel film. Nel nostro rapporto di lavoro e di amicizia non c’è mai stata una volta in cui non ringraziava Dio quando ci sentivamo, quando ci salutavamo. Lui si rivolgeva sempre al cielo».

Sul tema della Shoah, Giulio Base afferma che «è stato un onore affrontare questo tema, studiare e leggere dozzine di libri e documentari e avere la possibilità di passare qualche ora con il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, una persona illuminata che mi ha dato tantissimo. “Rabbi” in aramaico significa maestro e lui per me lo è stato veramente».

Il silenzio è un elemento che torna spesso negli ultimi film del regista, una sua marca autoriale. Lo adotta anche nel suo precedente lavoro, “Bar Giuseppe” (2020), dove i silenzi sono davvero forti ed eloquenti. In “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” compaiono alcune scene e inquadrature in cui i ragazzi si guardano e senza parlare si capiscono. Il silenzio torna poi in tutta la sua forza nella scena finale, quando la suora e la “sua” Sarah, ormai anziana, si rincontrano dopo tanti anni e si abbracciano disperatamente. Una scena toccante, che porta al suo acme le emozioni di tutto il film.

«Il silenzio è il linguaggio di Dio – risponde il regista – è il modo in cui Lui ci parla, se lo sappiamo ascoltare o se lo vogliamo ascoltare. Anche “Bar Giuseppe” ha molto a che vedere con lo spirituale, così come questo film: c’è una metànoia (dal greco μετανοεῖν, metanoein, cambiare il proprio pensiero, cambiare idea, ndr) da parte della protagonista che si converte completamente verso l’ebraismo e della nonna, che pur essendo ebraica di nascita, rimane cristiana (lo diventa da bambina, dopo essere stata adottata, ndr)».

«Nella cultura ebraica – prosegue Giulio Base – l’aspetto spirituale è molto importante. Nella loro cultura, che è poi anche la nostra, non c’è differenza tra vita politica e vita religiosa. Dico che è anche la nostra perché, parafrasando Benedetto Croce, non possiamo non sentirci ebrei. La nostra cultura è permeata di cultura ebraica. Io mi ritengo un po’ ebreo, pur essendo nato cristiano. Gesù era ebreo, la nostra cristianità ha quindi origini ebree, veniamo da lì, e il silenzio è parte di questa religiosità comune. Siamo cristiani, siamo ebrei, siamo parte della stessa scintilla umana».

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