Editoriale – Quel 9 marzo 2020 resterà impresso nello sgomento degli italiani ed è già entrato negli annali della storia repubblicana. L’allora premier Conte, con una nonchalance peraltro disarmante ebbe a comunicare il primo lockdown in Italia. Una sensazione di smarrimento, di incredulità, il timore che stesse per finire il mondo ha aleggiato sulle menti piu’ illuminate dalla ragione. Ma anche indignazione, rabbia, e soprattutto incredulità.
La politica sembrò godere di questo meccanismo che di fatto schiacciava la testa al popolo ed un premier nominato e non eletto improvvisamente era entrato nelle vesti di un sovrano.
Inizialmente si pensò ad una quindicina di giorni, anche se la linea del governo era già chiara: somministrare le dosi come una flebo, a rallentatore. Quei pochi giorni dunque saranno poi destinati a diventare mesi. Angoscia, problemi di attività chiuse per lungo tempo contrastano con chi dalla pandemia non ha avuto un graffio: la politica.
Da allora in poi una escalation ed un susseguirsi di situazioni tutte piuttosto paradossali e messe in mano a chi avrà anche fatto il meglio e dato il meglio ma certo non lo ha saputo comunicare al suo popolo. Nulla quaestio dunque sui buoni propositi dell’elegante ex premier, degli altri ministri. Probabilmente non corrisponde il loro impegno alla sensazione che una comunicazione sbagliata, diametralmente opposta alle esigenze del popolo, doveva invece assicurare.
Questo modus comunicandi è la vera causa della crisi del governo Conte. Una crisi parziale, anche perchè molti ministri sono rimasti al loro posto, anche se l’azione chiusurista e funebre del Ministro Speranza è un pò mitigata ora da altri ministri più vivaci e competenti.
Quanto al premier Draghi, è sicuramente lui un elevato di mente e riesce a comunicare con eleganza, sobrietà da vero leader. Gli italiani si riconoscono in questo nuovo pater familias anche se non manca scetticismo per determinati aspetti.
Ci si aspettava discontinuità maggiore, ma si tenga conto che la politica è fatta di equilibri da far incastrare come un ingranaggio di orologio.
Dunque un anno dopo, attività ancora chiuse, ristori parziali, incredulità ma il premier lascia intravedere la luce degli effetti vaccino. Ma i tempi sono lunghi ancora e lo spettro del lockdown comunque attenutato da colori regionali e zonizzazioni di intervento è pur rimasto sempre attivo nella vita degli italiani.
E non ci consoliamo certo con il fatto che “anche gli altri… anche la Merkel”… basta con queste comparazioni assurde ed improprie.
Noi dobbiamo pensare alla nostra nazione, che troppo spesso chiude le porte agli italiani aprendole a provenienze d’oltrefrontiera. Va riequilibrato l’assistenzialismo. Che la pandemia covid dovesse far pendere la spada di Damocle a lungo sul collo degli italiani si era ben capito sin da subito e certo non finirà tanto presto.
Ora serve lealtà, sobrietà, e soprattutto non pensare solo a difendere la salute di taluni uccidendo invece quella di talaltri.
Una marea di settori nell’ingranaggio non vede luce, tante le persone profondamente scosse da una somministrazione giornaliera di ansia e terrore: troppa morte e stridore di denti. Serve realismo, senso di responsabilità. Ora abbiamo capito che il virus esiste, mentre inizialmente non ci si credeva nemmeno, proprio per il modo in cui ci venivano dette le cose.
Nel contempo, un anno dopo siamo ancora in lockdown effettivo e mentale: a fine giorno non c’è più la sera e divisi da regioni, comuni, colori, gravati da una situazione che ha spento ogni luce e che ha voluto reprimere affetti e spontaneità. Non ci interessa di chi sia la colpa del tunnel, ci interessa uscirne, e provare a ritrovare un minimo di normalità.
Acquisiamo inoltre consapevolezza che la scienza per quanto autorevole, non sia essa la detentrice delle chiavi ultime della vita: esse stanno invece nell’architetto di un universo che tralaltro non è nostro. Vi solo abitiamo.