Editoriale – Chiamarla festa del lavoro è parola grossa, oggi piu’ che mai. Già in passato e prima della pandemia il primo maggio aveva da tempo perso la sua rituale corrispondenza: la festa del Lavoro. La crisi economica si faceva già sentire da tempo, e la mazzata è poi arrivata con l’emergenza.
Per salvare taluni dal covid, se ne uccidono talaltri. Si può infatti morire anche dentro, ed in altre modalità rispetto alla cessazione definitiva ed irreversibile delle funzioni vitali, a cui ogni uomo è chiamato con l’attraversamento del bardo.
Dopo uno scetticismo iniziale, che portò molte persone a dubitare dell’esistenza della pandemia, non tanto per il virus in sè ma per come la politica ebbe a metterci subito un cappello repressivo con il giustificato motivo di dover voler tutelare la salute del popolo. In base a ciò le scelte sono state per lungo tempo concentrate ed affidate ad una sola persona. Che abbia fatto bene o male, sarà la storia a giudicare, ma che si sia sbagliato con una comunicazione assurda è un fatto compiuto.
Con il passare dei mesi e con l’arrivo delle varianti tanto care ai virologi funebri, ci si è poi dovuti rendere conto che il covid purtroppo uccide. E lo fa per davvero. Che poi i dati siano reali o meno, resta nel dubbio di tutta la gestione pandemica.
Di covid si muore. E nell’imprevedibilità di un virus che sta uccidendo se entra dentro un corpo ma anche se non lo fa. Perchè sono morte troppe cose della quotidianità, prima tra le quali il lavoro, quello autonomo e legato ai settori di svago, cultura, trasporti, spettacolo, moda, abbigliamento, convivialità, ristorazione, sport, e potremmo proseguire ancora a lungo. Una vita spezzata dalle chiusure perduranti. Giustificate dal virus, e poi dal fatto che “anche gli altri stati” fanno così.
Sicuramente assembramenti, cene, e vita sociale sono nemici del virus, la gente è robottizzata nei comportamenti, e l’arrivo dei vaccini è l’unica speranza. Nel frattempo però il lavoro già precario, da agonizzante è poi deceduto. Basta andare in giro come in galleria Sordi, e come in via Nazionale a Roma e come in tanti altri quartieri serrande abbassate. Anche se non ci sono i cartelli quei negozi sono chiusi per lutto. Un’altro tipo di lutto che deve essere elaborato nell’essenza della vita di molte famiglie.
Il primo maggio del concerto di San Giovanni non è piu’. Non vi è motivo, di festeggiare alcunchè. Il lavoro è morto, e mentre quelli che ne devono decidere le sorti proseguiranno ad aumentare lecifre nei loro conticorrenti, per gli altri, le vittime anch’esse del covid, e di una gestione forse poco accorta alle esigenze di vita reale, è la fine. De profundis.
Ce ne accorgiamo ora, anche se nel torpore della speranza di ripresa abbiamo tutti gli occhi un pò foderati, ma la realtà di una guerra subita senza poter avere armi con cui combattere farà molte piu’ vittime di quelle conteggiate ogni giorno dai medici necroscopi. Sempre ammesso si porti bene il conto.
Non festeggiamo nulla oggi, si rifletta.
STORIA DEL PRIMO MAGGIO:
Il primo Maggio è in molti Paesi del mondo la Festa dei lavoratori (o Festa del lavoro). Una ricorrenza ufficiale che si celebra nello stesso giorno in Italia (dal 1891), a Cuba, in Russia, Cina, Messico, Brasile, Turchia e in diversi Stati dell’Unione Europea.
Questa data venne ufficialmente stabilita a Parigi il 20 luglio del 1889. A ratificarla furono i rappresentanti dei partiti socialisti e laburisti europei riunitisi nella capitale francese per il congresso della Seconda Internazionale socialista.
Ma fu un episodio ben preciso a indurre i membri del congresso a scegliere il 1° maggio come data simbolo della celebrazione dei diritti e delle rivendicazioni di tutti i lavoratori.
“8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire” era lo slogan coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte del movimento sindacale del primo Novecento. Furono queste le parole d’ordine che aprirono la strada a rivendicazioni generali. E alla ricerca di un giorno in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e affermare la propria autonomia e indipendenza.
The deceased labor day
Editorial – Calling it Labor Day is a big word, today more than ever. Already in the past and before the pandemic, May 1st had long since lost its ritual correspondence: Labor Day. The economic crisis had already been felt for some time, and the blow then came with the emergency.
To save some from covid, others are killed. In fact, one can also die inside, and in other ways than the definitive and irreversible cessation of vital functions, to which every man is called upon crossing the bard.
After an initial skepticism, which led many people to doubt the existence of the pandemic, not so much for the virus itself but for how politics immediately put a repressive hat on it with the justified reason of having to protect the health of the people. Based on this, the choices have been concentrated for a long time and entrusted to a single person. Whether he did good or bad, history will judge, but that he was wrong with an absurd communication is a fait accompli.
With the passing of the months and with the arrival of the variants so dear to funeral virologists, it was then necessary to realize that the covid unfortunately kills. And it does it for real. Whether the data is real or not, remains in the doubt of all pandemic management.
We die of covid. And in the unpredictability of a virus that is killing if it enters a body but even if it doesn’t. Because too many everyday things have died, first among which work, the autonomous one and linked to the sectors of leisure, culture, transport, entertainment, fashion, clothing, conviviality, catering, sport, and we could continue for a long time. A life broken by persistent closures. Justified by the virus, and then by the fact that “other states” do so too.
Surely gatherings, dinners, and social life are enemies of the virus, people are robotic in their behavior, and the arrival of vaccines is the only hope. In the meantime, however, the already precarious work, as a dying person then died. Just go around as in the Sordi gallery, and as in via Nazionale in Rome and as in many other neighborhoods shutters down. Even if there are no signs, those shops are closed for mourning. Another type of mourning that must be worked out in the essence of the life of many families.
The first of May of the San Giovanni concert is no more. There is no reason to celebrate anything. The work is dead, and while those who have to decide its fate will continue to increase the figures in their counterparts, for the others, the victims also of the covid, and of a management perhaps not very attentive to the needs of real life, it is the end. . De profundis.
We realize it now, even if in the torpor of the hope of recovery we all have our eyes a little lined, but the reality of a war suffered without being able to have weapons to fight with will make many more victims than those counted every day by the necropsy doctors. Always assuming you keep the bill well.
We are not celebrating anything today, think about it.
HISTORY OF MAY FIRST:
May 1st is Labor Day (or Labor Day) in many countries of the world. An official anniversary that is celebrated on the same day in Italy (since 1891), in Cuba, in Russia, China, Mexico, Brazil, Turkey and in various states of the European Union.
This date was officially established in Paris on July 20, 1889. It was ratified by the representatives of the European socialist and labor parties gathered in the French capital for the congress of the Second Socialist International.
But it was a very specific episode that led congressmen to choose May 1 as a symbolic date for the celebration of the rights and claims of all workers.
“8 hours of work, 8 of leisure, 8 to sleep” was the slogan coined in Australia in 1855 and shared by most of the trade union movement of the early twentieth century. These were the watchwords that paved the way for general claims. And looking for a day in which all workers could meet to exercise a form of struggle and assert their autonomy and independence.