Trasfusioni, arriva il documento per tutelare donatori, pazienti e operatori
Dalla sicurezza alla qualità delle cure, ecco le best practice da seguire
ROMA – Il processo trasfusionale comprende una complessa serie di attività, procedure e monitoraggi all’interno dei quali il tema della sicurezza dei donatori, dei riceventi e di tutti gli operatori sanitari ha assunto sempre maggiore importanza. Su questo gli specialisti di varie discipline si sono confrontati e hanno prodotto il documento dal titolo ‘Buone pratiche multidisciplinari nel processo trasfusionale – La sicurezza come obiettivo di sistema’ (Public Health and health Policy, nr.1.2021, ALTIS OPS EDITORE), presentato oggi in occasione di un evento online. Il testo, in particolare, condensa in sei capitoli il lavoro di un anno di analisi e approfondimenti, giungendo ad identificare una serie di best practice nei seguenti ambiti: definizione e conoscenza dell’intero processo trasfusionale; puntuale tracciabilità delle singole attività dell’intero percorso; conoscenza del rischio clinico legato al processo trasfusionale; conoscenza di responsabilità, linee guida e normative; identificazione delle innovazioni tecnologiche al fine di assicurare sicurezza nell’intero percorso; rapporto tra trasfusione, Servizio sanitario nazionale e cittadini.
“Qualità e sicurezza delle cure, quindi prevenzione del rischio e gestione degli eventi avversi- ha commentato Francesco Venneri, dirigente medico presso l’Azienda Sanitaria di Firenze, tra i firmatari del documento- vuol dire prendere in carico l’intero percorso diagnostico-terapeutico e aumentare la consapevolezza negli operatori sui temi di prevenzione e gestione degli errori in sanità”. Entrando nel merito dei contenuti, Flavia Petrini, presidente della Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva (SIAARTI), anche lei tra le firmatarie, ha poi evidenziato i sei argomenti cardine del documento: “Formazione di tutti gli operatori per la conoscenza dell’interezza del processo; tracciabilità con sistemi informativi adeguati; necessità di avere a disposizione tutta la conoscenza specifica sul rischio clinico; conoscenza delle norme e disponibilità di protocolli e procedure adeguati da un punto di vista operativo; necessità di implementare e migliorare continuamente l’innovazione tecnologica; auspicio di un’alleanza sempre maggiore tra operatori sanitari e mondo dei pazienti”.
Lavorare in team multidisciplinari, intanto, significa condividere i percorsi e le azioni, ma anche prevedere gli eventi avversi con un approccio proattivo tipico della gestione del rischio clinico. “Aver messo al centro del nostro lavoro sia il donatore sia il ricevente, nonché gli operatori coinvolti– ha spiegato Lucilla Nozzoli, CPS Senior presso l’AUSL Toscana Centro- significa avere chiaro quanto sia importante e delicato il processo emotrasfusionale, visto non solo come cura ma anche come presa in carico”. Nel processo trasfusionale, secondo Giampietro Briola, responsabile di Pronto Soccorso all’Ospedale Desenzano del Garda e presidente AVIS Nazionale, nessun passaggio “deve essere sottovalutato, perché- ha sottolineato- il fattore umano è e rimane determinante nel processo, ma soprattutto nella prevenzione del rischio. Aver individuato le criticità e ribadito in un documento come impostare un lavoro che sia salvaguardia di qualità e sicurezza è uno strumento utile per tutti, soprattutto in fasi di emergenza”.
Nel documento messo a punto dagli specialisti, infine, si parla dei processi che riguardano da vicino gli infermieri e l’ambito della neonatologia. “Gli infermieri prendono in carico il donatore e il ricevente durante tutto il percorso trasfusionale, dall’identificazione del donatore alla trasfusione- ha puntualizzato Irene Rosini, coordinatrice infermieristica nell’Azienda Sanitaria Locale di Pescara- Analizzando i vari passaggi del processo, la loro autonomia prevista dalla Legge 42/99 viene però a mancare”. Un’altra criticità coinvolge il processo trasfusionale a domicilio, dove “è richiesta la presenza fisica del medico, e se non è possibile il paziente deve recarsi in ospedale. Auspichiamo dunque, quanto prima, una revisione di alcune prassi consolidate”, ha concluso Rosini. (www.dire.it)