L’Aquila. Stavano per mettere a segno un’imponente frode, sfruttando il superbonus 110% per l’edilizia, le 18 persone perquisite dalla Guardia di Finanza di Napoli alle quali sono stati sequestrati, complessivamente, quasi 110 milioni di euro, accumulati in 13 mesi, a partire dal dicembre 2020, grazie ai crediti d’imposta che sarebbero poi stati ceduti a terzi. Soldi che avrebbero prodotto oltre 95 milioni di guadagni illeciti, per l’associazione a delinquere scoperta, senza che venisse sistemato un infisso o installata una caldaia. Nella frode risulta coinvolto il Consorzio Sgai, al quale ignari cittadini si sono rivolti, attraverso dei procacciatori, per i lavori di ristrutturazione previsti nel cosiddetto “Decreto Rilancio”, alla fine, risultati realizzati solo sulla carta. Indagati risultano tutti i componenti del consiglio di amministrazione, i cessionari finali dei crediti, gli intermediari e anche i tecnici accusati di avere rilasciato i visti di conformità per interventi di ristrutturazione “fantasma”.
I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Napoli, coordinati dalla sezione reati economici della Procura partenopea, insieme con i colleghi in loco, hanno eseguito perquisizioni in Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto.
Passate al setaccio le abitazioni degli indagati ma anche le sedi delle società e degli istituti finanziari ritenuti coinvolti. A dare impulso alle indagini è stata un’analisi di rischio sviluppata dall’Agenzia delle Entrate, precisamente dal Settore Contrasto Illeciti sulla spettanza del bonus in materia edilizia previsto dal Decreto “Rilancio”. Il Consorzio – sostengono gli inquirenti che hanno chiesto e ottenuto la convalida del sequestro dal gip di Napoli Giovanna Ceppaluni – grazie a una rete di procacciatori si proponeva ai privati cittadini interessati ai lavori con il superbonus. Il contratto d’appalto però doveva assolutamente contemplare la cessione del credito d’imposta. Dopo la consegna della documentazione necessaria, però, i rapporti tra il Consorzio e il committente cessavano. Sempre secondo l’ipotesi accusatoria, una volta incassati i contratti, il Consorzio emetteva fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei committenti in cui si faceva riferimento a uno stato di avanzamento lavori per una percentuale non inferiore al 30% (la minima prevista per vantare la cessione del credito d’imposta). E per questi lavori “fantasma” emettevano fatture. Alcuni cittadini, è emerso, si sono accorti dell’avvenuta fatturazione solo dopo i controlli dei finanzieri. La documentazione era correlata dalla cessione di credito in favore del Consorzio e anche della comunicazione dei commercialisti con il visto di conformità. Inoltre, è emerso dagli accertamenti, le certificazioni tecniche sui lavori svolti dal Consorzio, che sarebbero state rilasciate da professionisti abilitati, presentavano rilevanti anomalie peraltro evidenziate dall’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (Enea). L’inchiesta “conferma il buon funzionamento del sistema dei controlli legato alla misura che, come tutte le grandi opportunità, può purtroppo divenire strumento d’attuazione di condotte illecite” commenta Luca Sut, capogruppo M5s in Commissione Attività produttive della Camera.