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Cercano di spegnerci, ma noi restiamo accesi.

Editoriale – Emozioni spente, ammiccamenti, sguardi, espressioni tipiche di volti ormai resi uniformi, di sguardi resi vitrei come gli occhi di chi entra nell’altra dimensione. Due anni di covid. Due anni di terrore ansiogeno perdurante e che è in continua recrudescenza. Allarme, preoccupazione, sono i termini più utilizzati soprattutto dai media televisivi.

Ad aggravare il già “preoccupante” quadro economico e sociale ci si sono messe anche le bollette del gas e dell’energia elettrica. Negozi aperti ma vuoti, e spese che lievitano senza avere alcunchè in cassetti destinati probabilmente a chiudersi per sempre.

Ma tutto passa inosservato, quasi come un gas soporifero tende a spegnerci. Non è solo il virus, ma ciò che ci viene propagato in continue gocce come una flebo dalla quale difficilmente ci si può liberare.

Juventini, romanisti, milanisti eccetera, prima legati dal tifo per la stessa squadra, oggi divisi dalla scelta di una puntura sociale, gratuita.

Amori che non nascono, nuove conoscenze che non si generano: si vive di rendita di un passato che però si allontana sempre di più. Ed i social prendono il posto delle ex relazioni sociali libere. Almeno ci si conosce lì con persone che per come si raccontano sembrano avere delle affinità. Ne possono nascere anche delle amicizie belle.

Siamo automatizzati, robottizzati, condizionati nei nostri slanci. Quelli che erano i nostri amici ora sono una possibile insidia. Per qualche tempo abbiamo creduto, anzi ci hanno fatto credere che si diventava immuni, invece si è protetti. Sicuramente non è poco, in base ai dati che ci vengono propagati ogni giorno in pompa magna da chi a fine mese si ritrova sul conto stipendi sempre più aurei. Ma per quanto? Chi rassicura, chi allarma, chi dice che tanto arriva a tutti. Chi dice che, chi dice cosa. Prima andavano bene le chirurgiche ora no, servono le FFP2 ma quelle certificate che poi vattelo a capire se lo sono. E prima ancora le mascherine, dicevano pure che non servivano a niente. Eppure con tutti questi bavagli alla bocca che ci rendono inespressivi e finti, i contagi ci sono lo stesso. Ci fidiamo del medico e ci prendiamo la tachi, l’anti, tutto pur di andare avanti e pensare di poter ritrovare quanto perduto. Non abbiamo scelta.

L’uomo è nato per stare insieme al suo simile, in compagnia ci si diverte, si litiga, si affronta la vita, ci si forma. Le nuove generazioni ricorderanno la loro infanzia come una tragedia, sperando che il virus passi, e sperando che esista un tribunale almeno nelle altezze celesti, che prima o poi faccia pagare il salato conto per questo danno reso ad una parte dell’umanità.

Una cosa pare peraltro abbastanza chiara, cercano di spegnerci. Ma chi? Perchè? Senza rendercene conto siamo tornati a livelli prebellici, ed in modalità ancorpiù critica. Non si può nemmeno piangere i propri morti. Oggi li vediamo passare soli negli angusti corridoi d’ospedale. La freddezza ed il gelo caratterizzano ormai anche  i piccoli centri, che magari rispetto alle città metropolitane facevano un tempo la differenza.

E crediamo di essere tutti uguali ma non è così.  Nemmeno a’ livell’ ‘e Totò riuscirebbe a rimettere in ordine le cose. Abbiamo paura di andare in palestra, ma  è aperta. L’anno scorso era chiusa e ci saremmo voluti andare. Oggi scegliamo di evitare perfino il caffè al bar perchè temiamo che chi lo prepara possa avere il virus e ci infetta la tazzina che portiamo alla bocca, abbiamo paura del nostro prossimo che lavora, e che deve tenere aperto, reggere la botta in attesa di tempi migliori. Quali, come? Intanto con un particolare protocollo non si può nemmeno presentare ricorso in Tribunale su un estratto conto di cartelle esattoriali, che diventa legge senza diritto di replica.

Ci sfuggono molte cose, non è che la vita sta cambiando, è solo già cambiata. E quando si perde la spontaneità e la libertà non sarà certo facile recuperarla. Rivoluzioni epocali hanno caratterizzato popoli che hanno pagato con sofferenze e vita il benessere di cui godevano prima che venisse rilasciato apposta il virus. Si apposta. E’ fatto apposta, non è casuale. Non ci raccontino le favole.

Ed il popolo è una vittima di sistema, che in prima battuta ha accettato di restare sul divano per mesi, ora a periodi alterni, e che ora è  il popolo delle quarantene. La casa, che tanto  si amava ora è una  possibile prigione. Ci fanno odiare quelle mura in cui una entità astratta ci colloca. Altre mura però vedono costosi catering arrivare e deliziare le papille gustative di esseri che poggiano terga su velluti di Stato. Quell’uno che valeva uno, ora vale un tesoro.

Certa politica, trae benefici immensi dalla pandemia, ha trovato finalmente quella staticità ricercata per anni e che non apparteneva alle classi dirigenti più potenti. Spera che non finisca mai, fa finta di dispiacersene ma ne ne compiace. Che almeno duri fino al 2023, poi si vedrà. Qualche altra variante, o sottovariante sempre che uscirà.

Ma ora il popolo è spento, e si vuole continuare a spegnerlo in ogni modo. Che possiamo fare noi per vincere questa guerra di sistema? Restare accesi.

Normalizziamo il nostro pensiero, impariamo a convivere con  questo pericolo che ci è stato propinato, così come siamo stati abituati in passato a difenderci da altri. Ricordiamoci che non eravamo prima padroni della nostra vita come non lo siamo adesso, e da sempre l’uomo è affetto dalla vulnerabilità del male, delle insidie di ogni tempo che mettono a repentaglio l’esistenza terrena. Non ricusiamo la fratellanza, che da sempre costituisce la forza dell’uomo, e non smettiamo di edificare e costruire muri.

Cercano di spegnerci, ma noi restiamo accesi.

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1 Commento
  1. Annamaria Prosperi dice

    Caro Direttore!
    Condivido sinceramente il tuo articolo pubblicato venerdì sera.
    Grazie per averci dato, ancora una volta, spunti preziosi di riflessione personale.
    Credo anch’io che la fratellanza sia un forte antidoto al deperimento generale, perfino economico.
    Il “terrore” sociale (vero o falso) che da due anni stiamo vivendo ci ha evidentemente cambiati… Persone spente, deluse, sospettose, nervose, a volte brutali, spesso violente… ma soprattutto sole.
    Non siamo quasi più capaci di gioire, di entusiasmarci…
    Facciamo fatica ad intraprendere iniziative di qualsiasi genere…
    Spesso, come dici tu, ci ritroviamo anche amaramente “divisi dalla scelta di una puntura sociale”.
    E allora, che fare??
    È difficile dirlo ed ancor più arduo tradurre i pensieri in fatti…
    Eppure tocca proprio a noi, ora, fare tesoro di quel “rovescio della madaglia” che ancora non riusciamo ad intravedere ma che sappiamo esistere ed attende di essere rivelato e opportunamente rilevato.
    Occorre la spinta, certamente individuale e, ci auguriamo, governativa, di una sollecitudine volta ad intravedere l’urgenza di ricostruire una nuova forma di convivenza sociale.
    Una passione filantropica tanto complessa e necessaria quanto differente da quella che ha segnato in passato la nostra più serena gioventù.
    Le esperienze di socializzazione, da noi amate, rincorse, esperite ed ora tristemente condizionate e limitate, devono oggi ritradursi in spazi e forme nuove di collettività sociale in cui la cura di sé e del territorio possa efficacemente esplicitarsi in modo alternativo e concreto, nonostante i numerosi limiti vigenti.
    Nell’era dei social e del web, del progresso libero e perfino liberticida, l’essere umano può arrivare a soccombere, oppure, al contrario, può ritrovare nuova forza nel “mezzo gaudio”, che è pur sempre la parte buona di un “mal comune”.
    L’uomo contemporaneo può, paradossalmente, ricercare una possibile soluzione anche nell’uso corretto di quegli strumenti di moderna comunicazione spesso diffamati poiché abusati.
    La capacità di “reinventarsi” è una forza antropologica di cui la Natura stessa ci ha dotati, potenziale antidoto a qualsiasi forma di Pandemia o asservimento.
    È indispensabile, oggi, imparare a bere questo “bicchiere mezzo pieno” per potersi nutrire del succo di nuove speranze.
    Progettare e camminare sui sentieri di un “mal comune” è una forma di fratellanza e di condivisione in cui ci si sente accomunati dall’umano desiderio di aiutarsi vicendevolmente per ricominciare finalmente a vivere.
    Si può rinascere proprio nel tentativo di ricercare strade nuove di comune interesse per superare questo difficile momento della Storia.
    Credo fortemente che nel riflettere sugli accadimenti si possano ritrovare le proprie aspirazioni esistenziali nelle stesse della collettività.
    Tracciare insieme nuovi sentieri di speranza, è anche un modo ulteriore di “vaccinarsi” per guarire da questa Pandemia non ancora stigmatizzata.
    Un caro saluto e un augurio di vera ripresa a tutti 🌈

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