Campi Flegrei, un nuovo studio per misurare la viscosità del magma
Utilizzando un magma sintetico simile a quello flegreo è stata calcolata la viscosità e la sua velocità di risalita dagli strati più profondi della Terra
ROMA – La velocità con la quale un magma si forma e risale dalle profondità della Terra alla superficie dipende anche dalla sua viscosità ed è quindi di fondamentale importanza conoscere questa proprietà fisica dei magmi anche per definire scenari e stime di pericolosità e rischio vulcanico connesso.
Con uno studio sperimentale, un team internazionale di ricercatori guidato da Barbara Bonechi e Vincenzo Stagno del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università Sapienza di Roma, e condotto con Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Ehime University in Giappone, Argonne National Laboratory in USA (ANL) e Università degli Studi di Trieste (UniTS), ha sviluppato delle stime della velocità di risalita del magma del sistema dei Campi Flegrei dalla sorgente mantellica, che gli autori per il loro esperimento posizionano a circa 60 km di profondità, verso un ipotizzato sistema di alimentazione crostale della caldera collocato a 25 km. Nello studio “Experimental measurements of the viscosity and melt structure of alkali basalts at high pressure and temperature” appena pubblicato su ‘Scientific Reports’, gli scienziati hanno calcolato che la velocità media di risalita del magma nella suddetta regione più profonda del sistema vulcanico è circa 2.5-3 metri all’anno, considerando un intervallo temporale di circa 20 mila anni intercorso tra le maggiori eruzioni storiche avvenute nella regione dei Campi Flegrei (“Ignimbrite Campana” di 39000 anni fa e “Tufo Giallo Napoletano” di 15000 anni fa). Hanno perciò ipotizzato che la sorgente mantellica possa trovarsi a una profondità di circa 60 km.
“Abbiamo utilizzato un magma sintetico realizzato fondendo una lava del deposito vulcanico di Solchiaro, dall’omonimo vulcano formatosi a Procida circa 17-19000 anni fa”, spiegano Barbara Bonechi e Vincenzo Stagno. “Gli esperimenti, che abbiamo svolto presso il prestigioso sincrotrone di Argonne National Lab di Chicago, erano diretti a determinare la viscosità del magma a pressioni e temperature elevate”.
Le eruzioni vulcaniche sono fenomeni superficiali che rappresentano lo stadio finale della vita di un magma dalla sua formazione nell’interno della Terra alla sua migrazione verso la superficie.
La pericolosità vulcanica di un’area è, tra le altre cose connessa alla esplosività di un’eruzione che dipende da vari fattori tra i quali la composizione chimica del magma in risalita, la quantità di gas che da esso si liberano e l’eventuale interazione con le acque superficiali. Un ruolo importante sullo stile eruttivo di un vulcano è dato quindi anche dalla densità e dalla viscosità di un magma la cui conoscenza contribuisce a migliorare le valutazioni sui processi legati alla dinamica magmatica e a ridurre le incertezze sulle modellazioni di tali processi.
Dichiarano i ricercatori “E’ importante che i modelli geochimici e sismologici considerino la profondità di formazione dei magmi e la loro potenziale velocità di risalita. Utilizzando la tecnica della sfera cadente la cui caduta è osservabile in tempo reale attraverso la radiografia a raggi X prodotti da un fascio accelerato di particelle presso l’Argonne National Lab, abbiamo potuto rilevare che la viscosità del magma basaltico in risalita che alimenta il sistema dei Campi Flegrei varia tra i 0.5 e i 3 Pascal secondo.
Luca Ziberna, docente di Petrologia e Petrografia all’Università di Trieste, si è occupato in particolare delle condizioni di ossido–riduzione della lava, un parametro chimico fondamentale per comprendere i processi magmatici. Al Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’ateneo giuliano sono stati studiati alcuni modelli teorici e sperimentali utili a comprendere l’effetto della composizione chimica, con particolare riferimento allo stato di ossidazione del ferro, sui processi di risalita dei magmi.
Nelle parole di Bonechi e Stagno, concludendo “I dati sperimentali presentati in questo articolo sono di assoluta importanza nello studio dei Campi Flegrei e costituiscono un ulteriore informazione ad integrazione dei dati geochimici e dei modelli geofisici ad oggi disponibili”.
Un contributo che potrebbe essere utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile ma che al momento non ha alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.