LA STORIA DEL PIGIAMA:
il termine “pigiama” deriva dall’hindi pae jama, che letteralmente vuol dire “vestito per le gambe”: il completo tunica e pantaloni è infatti originario dell’antica Persia. Da qui è poi passato in India, dove ancora oggi rappresenta l’abbigliamento tradizionale di alcune regioni.
Con la colonizzazione dell’India da parte degli inglesi nel 1870 il pigiama venne adottato dagli anglosassoni come indumento da notte, andando a sostituire le vecchie camicione.
Questo completo di due pezzi, inizialmente era appannaggio dei soli uomini, a inizio secolo vennero cominciati ad usare pigiami anche per i bambini vista la loro incredibile praticità.
Negli 1910 lo stilista Paul Poiret già proponeva tra le sue scandalose e rivoluzionare creazioni dei veri pantaloni ampi, vagamente maschili, molto simili ai pigiami in auge a quel tempo, gettando un primo seme per la diffusione di questo indumento anche presso la popolazione femminile.
Occorrerà infatti attendere i ruggenti anni ’20 affinché le vere flapper girls, emancipate e trasgressive possano vestire questo capo, almeno in camera da letto.
C’è poi chi fa di più, è la leggendaria Coco Chanel che decide di indossare un completo simile al pigiama, composto da pantaloni larghi e un camicione, per la spiaggia.
Nacque così il “Beach pajama”, che destò gran scalpore tra i ben pensanti del tempo, ma questo non gli impedì di spopolare tra le ragazze più ardite.
“C’è una città in Francia, dove le estati iniziano all’inizio della primavera e finiscono alla fine dell’autunno”, scriveva il giornalista Robert de Beauplan nel 1931. “Lì, puoi vedere donne che indossano abiti strani. Stiamo parlando di Pyjamapolis.” Nello stesso anno, Vogue magazine suggeriva che: “Una donna dovrebbe indossare pigiami in cene abbastanza formali a casa sua, a cena a casa di altri in città o in campagna, se si conoscono bene, mentre le più giovani e iconoclaste lo portano anche a teatro”.
Infatti da lì a poco la moda dei pigiami esplode, facendo sì che il loro utilizzo non sia relegato solo alla spiaggia. Nel 1933 Daisy Fellowes, editor parigina di Harper’s Bazaar (oltre che erede della dinastia Singer) lancia una vera e propria moda ricevendo ad un party i blasonati ospiti della rivista in un pigiama di seta blu pavone.
A contribuire alla diffusione dei pigiami tra le signore pensò anche il cinema, nel film del 1934 “It Happened One Night”, vediamo l’attrice Claudette Colbert indossare con grande eleganza pigiami maschili. Da allora il pigiama diventa un must per le dive dal grande schermo, da Greta Garbo a Joan Crawford.
Durante la seconda guerra mondiale la moda del pigiama svanisce, questo articolo viene surclassato in spiaggia dal costume da bagno, mentre in camera da letto è boom di sexy baby doll e negligé.
Nel 1960 il pigiama torna finalmente in auge grazie alla stilista Irene Galitzin, che per la sua collezione presentò completi costituiti da pantaloni e da casacche – con collo e polsi ricamati – in shantung di seta dai colori sgargianti. La fashion editor di Harper’s Bazaar Diana Vreeland entusiasta battezzò questo nuovo outfit come: “pyjama palazzo”.
Il pigiama palazzo conquista immediatamente le donne del jet-set internazionale.
C’è poi, chi come Barbara Streisand nel 1969 per ritirare l’Oscar sceglie un pigiama tempestato di paillettes creato per lei da Arnold Scaasi.
Infatti nel corso degli anni ’70 diversi stilisti si cimentano a reinventare il Pigiama Palazzo secondo le tendenze del tempo, con frange e perline.
Nel frattempo prendono piede anche versioni unisex e etniche del pigiama, ispirate ai tradizionali modelli cinesi e vietnamiti, frequentemente indossati per comunicare idee politiche anti-conformiste.