“Talità Kum”, verso il risveglio psiconutrizionale: intervista alla biologa nutrizionista e scrittrice Su Yen Benedetto
"Perché sento l'impellente bisogno di raccontarle queste storie? Perché le storie sono fatte per essere raccontate, in tutta la loro verità, nella loro pienezza e profondità. Perché una storia può riparare e può guarire".
Lo spazio nel nome, è per Su Yen, lo spazio della sua esistenza, quello necessario a essere veramente se stessa. La nutrizione è lo spazio che le sue pazienti dedicano alle loro vite. Corpi assopiti si risvegliano dal torpore attraverso percorsi complessi tra un passato pesante e un futuro che li vede alzarsi. Talità Kum (2022) letteralmente “io ti dico alzati”, è un’esortazione biblica che racconta di una morte apparente, di un lungo sonno da cui si torna alla vita. Il simbolo del peso come mano tesa verso una presa di coscienza del proprio valore come persone. Il viaggio di ognuno è fatto di tappe, partenze e arresti, incontri destinati a diventare scelte di vita.
Le storie delle donne che si rivolgono alla Dottoressa Su Yen parlano di rinascita personale, dell’importanza di guardare al corpo come una voce interiore che ci chiama a intraprendere un percorso importante, il più importante, quello che ci conduce a noi stessi. Lo scambio che avviene tra pazienti e dottoressa è uno scambio professionale e umano al tempo stesso, lo specchio della filosofia di lavoro di Su Yen, accogliente e senza giudizio, colmo di gratitudine verso la fiducia in lei riposta. Parallelamente a queste storie, c’è la storia di quello spazio nel nome SU SPAZIO YEN, lo spazio in cui anche la sua rinascita ha modo di prendere corpo.
(Da Talità Kum. Corpi in risveglio, Independently published, 19 dicembre 2022)
Su Yen Benedetto è Biologa Nutrizionista e Specialista in Genetica Medica con un Master in Nutrizione Umana Applicata. Laureata anche in Psicologia Clinica e della Riabilitazione con tesi sui disturbi alimentari secondo il metodo psicoanalitico dei centri Jonas. Crede nella possibilità trasformativa che ogni persona possiede. Aiuta e sostiene le donne in cammino verso la loro autenticità. La sua filosofia di lavoro si basa sulla certezza che la “presenza” sia un faro per lo scambio umano, mai unidirezionale, instaurato con le sue pazienti.
Oggi intervistiamo Su Yen Benedetto per conoscere il suo libro Talità Kum. Corpi in risveglio e per approfondire alcuni aspetti del suo lavoro come nutrizionista.
Raccontaci la scelta del tema del tuo libro e il messaggio che vuoi arrivi ai lettori
“Dopo 10 anni vissuti prima nell’ambito della diagnostica umana e poi come ricercatrice, non riuscivo a riappacificarmi con l’idea di rimanere chiusa in un laboratorio silenziando una parte di me che aveva necessità di mettere in campo la capacità di relazione e di aiuto verso l’altro. Quando ho capito che bastava “solo” guardarsi dentro, per capire che potevo avere un posto nel mondo più adatto a me, ho intrapreso la professione di biologa nutrizionista. Luna di miele che è durata ben poco, per la frustrazione che mi generava vedere che le diete erano destinate a durare come un gatto in tangenziale oppure quando mi trovavo ad affiancare persone che soffrivano di anoressia e bulimia. Mi sono sentita monca, incompleta. Dovevo fare qualcosa per aiutare le persone in modo diverso e così ho intrapreso gli studi di psicologia clinica.
Al termine di questo ulteriore percorso ho iniziato a capire molte cose in più, ad improntare il mio lavoro in modo diverso, dando spazio all’ascolto della persona, offrendo una presenza fattiva, che permettesse di aiutarla in un percorso di consapevolezza rispetto al suo rapporto con il cibo, perchè non si vive di solo pane, ma alberga in ogni persona una fame che non si ferma al cibo.
Il libro non tratta aspetti teorici della nutrizione, ma in esso batte il rintocco della mia storia e di una parte delle storie che mi sono state generosamente consegnate nel corso dell’esercizio della mia professione. Urgeva di comunicare che essere felici non è una responsabilità che va consegnata al destino, non va consegnata agli altri, ma è una conquista per tutti coloro che sono in grado di viaggiare dentro il proprio essere diventando attori della propria storia. La nutrizione è uno dei modi per compiere questo movimento”.
Puoi spiegarci quale è la tua idea di benessere psiconutrizionale?
“La mia idea parte dalla consapevolezza che molto spesso la richiesta di iniziare una dieta, nella sua accezione classica, va interpretata, travalicata e trasformata. Lo tocchiamo con mano che non si tratta del semplice conteggio delle chilocalorie ma di come il desiderio di mettere mano al nostro involucro esterno, quindi al corpo, accompagni un bisogno di nutrimento e ascolto interiore. Ecco allora come ho maturato anche nella pratica quotidiana, grazie alle persone che accompagno, il mio concetto di benessere psiconutrizionale.
Il benessere nella nostra vita non viene da quello che indossiamo, non solo come abiti ma anche come maschere, ma da ciò che portiamo dentro e mettere le mani al dentro, significa molto spesso cambiare il fuori, cambiando la percezione della nostra storia. Accendere questa luce dentro di noi, significa non aver paura di rivelare a noi stessi chi siamo e cos’è che struttura la nostra vita. Saper accendere la luce in quella nostra zona buia, significa ritrovare tutti quegli ingredienti in grado di tirar fuori un capolavoro autentico dalla nostra vita”.
“Essere visti nella propria imperfezione, in quella parte di sé più nascosta e percepita come uno scarto” lo trovo uno spunto molto costruttivo e in controtendenza rispetto a ciò che siamo abituati a sentirci dire dalla società. Spiegaci meglio questo pensiero alla base del tuo operato come professionista.
“Esatto! L’imperativo che aleggia nella società attuale è “Vietato essere imperfetti!” e così si rassodano glutei, ricostruiscono unghie, eseguono depilazioni permanenti. Invece ritengo che, partendo dalle proprie imperfezioni, dai proprio fallimenti, dai propri errori, è possibile interrogarsi nel profondo. Fino a che punto siamo disposti a fare sul serio? Non sempre si è pronte a svegliarsi dal torpore in cui ci si ritrova a sonnecchiare. È più facile incolpare gli altri della propria immobilità e raccontarsi un sacco di bugie per legittimarsi. Ciascuno percepisce la propria situazione come un insieme di frammenti, rischiando di non saper mai mettere in logica ciò che vive e il contesto in cui lo vive.
È possibile iniziare a mettere mano a questa trama anche a partire dalla nutrizione. Sperimentare cosa significa evadere da quella prigione anche alimentare, costruita a propria misura, creando finalmente intorno a sé uno spazio di respiro. Guardare e percepire il mondo con occhi nuovi proprio a partire dal rapporto con il cibo, dal rapporto con il corpo e dal rapporto con gli altri. Credo che il mio lavoro, esercitato unendo professionalità, cuore e etica, sia un modo di amare il prossimo. Un modo di testimoniare che la vita può essere certamente difficile, ma che ci sono mille modi per affrontarla, e che camminare insieme, imparando a conoscersi partendo dalla nutrizione, ne rappresenta uno”.
Le immagini che arricchiscono le storie da te raccontate sono molto evocative. Come e perché è nato il desiderio di inserire i disegni?
“Nel momento in cui ho pensato di voler scrivere un libro, ho subito desiderato di voler inserire delle illustrazioni, in modo che le storie fossero narrate attraverso due binari: le parole e le immagini. Ciò avrebbe permesso al lettore di entrare ancora più in risonanza con le storie raccontate. Nel momento in cui si è affacciato questo desiderio, mi sono autoimpedita di mettermi alla ricerca di qualcuno che ne avesse le capacità. Non volevo essere io a decidere, applicando una sorta di controllo. Questa volta non sarei stata io a decidere ma piuttosto avrei lasciato operare la Provvidenza.
Dopo pochissime settimane ecco entrare in studio Nicole,per la sua prima consulenza con me. Ciò che è accaduto sulla strada del nostro incontro la definisco una mutua terapia di speranza. Sono stata sempre affascinata da come le storie di vita si intreccino nel corso dell’esistenza. Come un gesto individuale abbia una ricaduta nella storia di molti. Nicole ad ogni incontro si apre sempre di più, fino a quando decide di condividere con me il suo talento. Mi racconta che frequenta il liceo artistico, che ama disegnare e su mia richiesta mi fa vedere sul telefono alcuni dei suoi lavori. Senza pensarci un attimo le propongo di essere lei l’illustratrice del mio libro. Ricorderò per sempre la luce nei suoi occhi. Credo sia stato anche questo riconoscimento a dare avvio al suo dimagrimento ricostruendo passo dopo passo quell’autostima che era stata smantellata durante i vecchi percorsi nutrizionali ,iniziati quando aveva 10 anni.
Trovo meraviglioso e affascinante che sia stata proprio Nicole a creare le illustrazioni per il libro, sia perché non si tratta di una persona slegata dal contesto, sia perché proporle di entrare in questo progetto editoriale ha contribuito alla tenuta del nostro percorso nutrizionale”.
Hai parlato di “mangiare sano”. Questa espressione per alcuni può essere vissuta come una fissazione dal punto di vista del rigore nutrizionale, tuttavia nel tuo libro ha un’accezione diversa e ha molto a che fare con il passato di una persona. Puoi chiarire la differenza fra i due modi di intendere questa espressione e come ti muovi a riguardo con i tuoi pazienti?
“Sappiamo bene che il cibo viene usato come rifornimento emotivo, in maniera consolatoria e compensatoria, in risposta all’ansia, allo stress, alla noia, alla tristezza ,alla paura, alla frustrazione. Per me, affiancare una persona in un percorso di dimagrimento significa valutare la persona nella sua globalità, aiutandola a prendersi cura di sé, partendo dalla conoscenza di se stessa in relazione all’ambiente circostante, in relazione all’altro attraverso la valutazione di tutta la sua esistenza (anche quella alimentare) sotto molteplici prospettive.
Le persone che si siedono davanti a me mi riportano sempre di essere immerse nel caos e in loro aleggia il dubbio che non sia il momento giusto per iniziare un percorso nutrizionale. Io invece rigiro la prospettiva di quella paura dicendo: “e se usassimo il cibo come rimedio per portare un po’ di ordine dentro di noi e come strumento di REALE conoscenza, quando fuori regna il caos ?”.
La paura più grande è il cambiamento, ma soprattutto la paura di lasciare andare qualcosa di sé, che seppur faccia star male, in qualche modo rappresenta una sicurezza. Cerchiamo così insieme di tracciare strade diverse, partendo da Piccoli Passi Possibili. E Attraverso la cura di ciò che portiamo dentro di noi che riscopriamo un nuovo modo di conoscerci, di sentirci, di percepirci. C’è bisogno di molto ascolto, di cura e di tempo per entrare in risonanza con la storia che quella persona mi sta consegnando, con le sue innumerevoli false partenze, con i giudizi che l’hanno segnata, con i suoi sensi di colpa, con le sue convinzioni e abitudini alimentari errate.
In questo modo è possibile declinare ogni percorso in modo diverso, per permettere alla persona di stabilire finalmente una libertà individuale anche nello scegliere ciò che ha voglia di mangiare. Come mai, proprio a quell’ora, ti coglie quella voglia di dolce o di salato, che non riesci a controllare? Perché inizi e poi abbandoni? Perché passi da un estremo all’altro, dal controllo alla perdita di controllo? Che emozioni in realtà stai riversando in quel piatto? Ecco allora l’importanza di metterti in ascolto (lo so, può fare male all’inizio!), di accogliersi, di volersi bene e di liberare l’ anima, rimasta fino a quel momento sotto sequestro. Ritrovare se stessi, la vitalità perduta, ciò che riaccende l’entusiasmo, diventerà quel miracoloso bruciagrassi che si cercava.
Ecco allora che per “mangiare sano” intendo la possibilità di imparare a godere di tutto in modo equilibrato e sano, accogliendo anche i momenti critici ma non in un’accoglienza passiva, piuttosto ragionando su quello specifico momento e reazione, per giungere a quello stato di grazia, che non è utopico, in cui magiare sano coincide con una scelta consapevole e responsabile; un’espressione di libertà, che lega quindi il cibo alla singolarità personale, senza omologazione. Per questo dico sempre a chi si affida a me come nutrizionista, che occorre lavorare insieme e sporcarsi le mani nel cantiere della propria vita”.
Come riesci a costruire relazioni così profonde e di fiducia con le persone che si rivolgono a te?
“Credo la risposta si possa rintracciare in un bellissimo messaggio arrivato da parte di una lettrice nonché persona che seguo nel suo percorso di cambiamento nutrizionale.” Ho iniziato a leggere il tuo libro…le tue vicende personali, la tua fragilità e la tua tenacia ti fanno essere quella persona empatica che sei…Una di noi.” Infatti in questo libro non mando avanti solo le storie delle donne che ho accompagnato, ma in esso batte anche il rintocco della mia storia.
Il tutto parte dalla mia storia di figlia, nipote, moglie, madre e professionista. Dalla sensazione di vivere in bilico tra questi ruoli. Fin dalle prime pagine che iniziano con il racconto di un attacco di panico (il mio) il lettore comprende che sono stata io la prima a stare male, a vivere una guerra interiore, a cadere,a provare la sensazione di fallimento,ad avere bisogno di una nutrizionista,come sono stata la prima anche a mettermi in questione e a risvegliarmi”.
Dove si inizia per cominciare a trasformare la propria vita?
“Il tutto inizia quando la persona si sente debole, fragile e decide di accogliere e non scappare dall’angoscia che prova: “È quando sono debole che sono forte”. Il tutto richiede energia soprattutto in quel momento della vita in cui si sta scoprendo che faccia indossare davanti agli altri e a se stessi, che cosa di sé si vuole o si può mostrare, cosa va tenuto nascosto e cosa è ancora incompreso. Non basta però risvegliarsi solo nel CUORE, bisogna rinascere anche nella MENTE, iniziando a pensare in modo nuovo, mettendo in campo l’AZIONE. Agire, muoversi, fare qualcosa di concreto che ci dia la misura del nostro cambiamento. Questo è un passaggio che si fa in cordata e non in solitudine”.
Una domanda personale: l’adozione dei tuoi bambini ha avuto un’influenza su di te e sul tuo modo di lavorare?
“L’adozione mi ha cambiata completamente. Questa metamorfosi ha avuto inizio ancora prima di incontrarli, quando abbiamo iniziato a camminare in quella strada fatta di ostacoli, che ci ha condotti a prendere consapevolezza del progetto verso il quale la vita ci stava chiamando, forte e chiaro. L’adozione ha rinforzato ancora di più la consapevolezza dell’importanza di abbandonarsi all’ingovernabilità della vita, a quella sua imprevedibilità in grado di tracciare percorsi decisamente più belli e creativi di quelli che avremmo programmato noi, se avessimo potuto decidere come far andare le cose. Ed è proprio dopo aver vissuto tutto ciò sento di voler portare il messaggio alle persone che vengono a cercare un aiuto presso il mio studio, di smetterla di pensare che non ci sia nessuna altra possibilità e che esista solo ciò che vedono o ciò che provano”.
Hai in progetto di scrivere altri libri?
“Sì! Sono già all’opera con il secondo. Questo, appena uscito, offre al lettore molti spunti di riflessione, anche più di quelli che avevo previsto. Lo sto capendo dai tantissimi messaggi che ricevo in cui mi confidano quali sono i punti che li hanno colpiti, cosa hanno ritrovato di sé stessi e quali sono le considerazioni fatte.
Dopo aver messo il lettore al lavoro da questo punto di vista, il secondo libro si pone l’obiettivo di accompagnare il lettore/paziente attraverso una serie di indicazioni strutturate in un una sorta di percorso. Sarà però scritto sempre nel mio stile, quello che il lettore ha imparato a conoscere ed apprezzare in questo mio primo libro, quindi in qualche modo mi ritroverà in quelle righe. Ho già in mente il terzo e quarto libro, ma prima di scriverli vorrei farmi attraversare da ancora un po’ di esperienza. Sicuramente capirò quando sarò pronta per dare alle luce queste due creature”.