Aldo Truncé: «Quale giustizia per il futuro»?
Intervento appassionato del Presidente della Camera Penale di Crotone all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte d’Appello a Catanzaro.
Il Presidente della Camera Penale di Crotone, Avv. Aldo Truncè, è intervenuto all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte d’Appello a Catanzaro. Un intervento appassionato che è stato accolto con grandissimo entusiasmo e che accende i riflettori sul futuro della giustizia in Italia. La spettacolarizzazione della giustizia rischia di influenzare la percezione che l’opinione pubblica ha della stessa, potendo ingenerare inevitabilmente dei sospetti ed alimentare un clima di diffidenza e di sfiducia nei confronti dell’indispensabile funzione giurisdizionale.
«Siamo qui ad una nuova inaugurazione – ha dichiarato Truncè – che perpetua la tradizione del Distretto. Per curiosità sono andato a ricercare l’origine della parola inaugurare. “In-augurare” nella sua etimologia latina vuol dire “portare dentro l’augurio” o meglio l’augure, questa figura del sacerdote mitologico che abbiamo studiato in storia del diritto romano, che con arti divinatorie sapeva predire il futuro osservando il volo degli uccelli. Ogni nuova inaugurazione, allora, diventa quasi un’opera di predizione. Cosa possiamo dire? Cosa direbbe oggi l’augure romano, nella sua opera di veggenza, sul futuro prossimo della giustizia? Senz’altro prenderebbe atto, nelle sue previsioni, della rivoluzione copernicana costituita dalla smaterializzazione del processo. L’inizio dell’anno è stato caratterizzato dall’entrata in vigore di una riforma che ha la sua chiave di volta nella digitalizzazione. La cartolarizzazione dei giudizi d’impugnazione – continua il Presidente della Camera Penale di Crotone – è entrata a pieno regime ed è diventata la regola, mentre l’esercizio del ruolo difensivo in presenza è solo opzionale. Quella che era una novità transitoria per fronteggiare l’emergenza pandemica è stata poi oggetto di proroghe molteplici, per diventare, infine, la prassi che l’avvocatura ha mal digerito. Le nostre battaglie – dichiara Truncè – a difesa della ricerca della verità da costruire anche nei giudizi d’impugnazione, vanno combattute necessariamente in presenza! Non possiamo nemmeno avere la pretesa che la verità esca, se non dal nostro lavoro, che è anche corporeo, almeno dalle carte, se è vero che lo stesso atto d’appello, dal primo gennaio di quest’anno, non è più di carta, ma ha assunto le sembianze di un “nativo digitale”, come il formato pdf che dobbiamo usare per crearlo. È ineluttabile che nel percorso di digitalizzazione del processo penale si smaterializzi anche l’antica ars oratoria, ma la figura dell’avvocato del futuro non può accettare un ruolo passivo e assente dall’aula. Siamo fatti di carne ed ossa, ed abbiamo il dovere di difendere la sacralità e la sostanza fisica e materiale del processo penale. Un processo in cui cambierà a breve – spiega Truncè – anche la modalità di raccolta della prova. Le fonoregistrazioni saranno, anche queste, opzionali, come la nostra presenza in Corte d’Appello e davanti alla Suprema Corte, e verranno sostituite con le videoregistrazioni. Avremo il film del processo, e c’è da scommettere che tra qualche anno la sede della raccolta della prova orale non sarà più l’aula di un palazzo di giustizia, ma una stanza virtuale, creata su una piattaforma digitale, alla quale potranno accedere non solo le parti processuali, ma anche i testimoni di polizia giudiziaria, e, tempo al tempo, c’è da scommetterci, anche i privati cittadini, in qualunque veste, anche di mero spettatore. Andrà insomma in scena lo spettacolo della giustizia – avverte Truncè – ad uso e consumo di un pubblico, che rischia, però, di diventare sempre più diffidente nella funzione giurisdizionale. Allora, di fronte all’interrogativo che in incipit avevo palesato, quello di chiedere l’oracolo all’augure romano, forse, il sacerdote indovino lancerebbe un monito per tutta la classe forense: attenzione, avvocati, a lasciare vuote le aule di giustizia; non spingiamo troppo l’esercizio della nobile professione verso l’immaterialità estrema, perché c’è il rischio che un algoritmo ci sostituisca, nella costruzione di un modello defensionale che non sarà mai rispondente alle esigenze di verità e, soprattutto, di giustizia. Chi potrà arginare questo rischio? Sono l’equilibrio ed il raziocinio che dovranno guidare l’azione, non solo dell’avvocatura, ma anche della magistratura, in un dialogo rinnovato che è quanto mai più necessario oggi, in un’epoca che ci vuole fisicamente sempre più distanti, per legge… Eppure è oggi quanto mai fondamentale calibrare le aspettative opposte che provengono da avvocatura e magistratura sui temi caldi della riforma già perfezionata nelle norme efficaci, e perfezionabile sulle tematiche lasciate scoperte. Perché il futuro assetto ordinamentale non riguarderà solo i magistrati, né tanto meno gli avvocati, ma avrà ai suo centro, come l’uomo vitruviano, un unico e solitario protagonista del processo: l’imputato, che assomiglia sempre più a quell’uomo del nuovo millennio, nudo, lasciato da solo in una stanza vuota e buia, come lo ha descritto un famoso sociologo. Un monito, allora, promana dalla rivoluzione digitale: ricordiamoci – conclude Truncè – che il processo, che è esso stesso un calvario, è vissuto da un uomo, ed è l’uomo-imputato il nostro imperativo categorico da tutelare, l’unico attorno al quale deve necessariamente ruotare, in un vero umanesimo culturale, tutto il sistema giustizia».