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La procedura di concordato preventivo non salva le sanzioni precedenti

Respinta la tesi del contribuente secondo cui la domanda di concordato esclude possibilità di effettuare il pagamento di debiti sorti anteriormente alla presentazione dell’istanza

In materia fiscale ed in tema di sanzioni, l’istanza di concordato preventivo non esclude la suitas della condotta (la consapevolezza dell’inutile decorso del termine di assolvimento del debito erariale), nè, tanto meno, costituisce una esimente della condotta colposa, nella quale si concretizza il mancato o tardivo versamento dell’imposta dovuta

La questione giunta al vaglio della Suprema corte e decisa con l’ordinanza n. 26951 del 20 settembre 2023 prende avvio con l’impugnazione di un avviso di pagamento per omessi versamenti (accise) e contestuale irrogazione della sanzione ai sensi dell’articolo 13 Dlgs n. 471/1997.
La società, destinataria dell’avviso, lo impugnava di fronte alla Commissione tributaria provinciale contestandone, in particolare, il contenuto sanzionatorio e lamentando al riguardo la mancanza di colpa, in quanto l’aver presentato domanda di concordato preventivo presso il tribunale escludeva la possibilità di effettuare il pagamento poiché riferito a debiti sorti anteriormente alla presentazione dell’istanza.

La sentenza di primo grado favorevole alla contribuente veniva, riformata in appello dove il giudice regionale riteneva piuttosto che la presentazione, da parte della società, di due istanze di concordato con riserva, presentate ex articolo 161, comma 6, Legge fallimentare (concordato “in bianco” mediante il quale, in sostanza, l’imprenditore si riserva di presentare la proposta, il piano e la necessaria documentazione entro il termine fissato dal giudice fra 60 e 120 giorni), di cui la prima rigettata e la seconda dichiarata improcedibile per rinuncia della medesima società, dimostrasse un intento dilatorio finalizzato unicamente a procrastinare il pagamento dei debiti.

Da ultimo la società impugnava in sede di legittimità tale pronuncia, ritenendola illegittima sotto diversi profili ed, in particolare per ciò che qui interessa, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 168, comma 1, Regio decreto n. 267/1942 ovvero per aver ritenuto i giudici di merito che “l’istanza di concordato con riserva non conserva gli effetti qualora non siano stati posti in essere i successivi adempimenti processuali” e aver da ciò dedotto che la domanda di concordato preventivo con riserva fosse stata utilizzata con finalità solo strumentali al differimento del pagamento dei debiti.
La questione nel caso di specie riguarda, pertanto, la corretta applicazione dell’articolo 168 Legge fallimentare, secondo il quale “Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore” (comma 1).
Una disposizione finalizzata, per un verso a conservare l’integrità del patrimonio dell’imprenditore da possibili azioni intraprese dai creditori concorsuali e, per l’altro, a garantire il rispetto della par condicio creditorum, nella prospettiva di un negativo epilogo della procedura concordataria con conseguente dichiarazione di fallimento.
Tale norma stabilisce, a detta della società, un inequivoco divieto al pagamento di debiti anteriori dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e sino alla definitività del decreto di omologazione.
In proposito i giudici di legittimità chiariscono che l’articolo 168 Legge fallimentare vieta che un creditore possa dare avvio o proseguire azioni esecutive, ma non esclude le conseguenze dell’inutile decorso dei termini.

L’obbligazione tributaria – precisa la Cassazione – sorge con il verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l’emersione del tributo, a fronte della quale la successiva attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria attiene all’esercizio del diritto di credito e ha funzione ad essa strumentale.
La Suprema corte conferma, pertanto, la legittimità della sanzione applicata nel caso di specie in quanto, nonostante l’atto di irrogazione sia successivo all’apertura della procedura concorsuale, il presupposto della medesima sanzione sta nel debito fiscale insorto precedentemente all’apertura della procedura concorsuale.
Con tale pronuncia la Cassazione ribadisce, e rafforza, un orientamento consolidato da vari precedenti giurisprudenziali.

La Suprema corte aveva già affermato in precedenza che “le sanzioni pecuniarie, conseguenti alla violazione di leggi tributarie commesse in data antecedente al fallimento del contribuente, danno luogo a un credito dell’amministrazione finanziaria per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, sia che si verta in una fase fisiologica dell’impresa, sia che si verta nell’ambito di una procedura concorsuale” (Cassazione n. 21078/2011, n. 23322/2018, n. 9440/2019).

Con riferimento alla predetta giurisprudenza è stato precisato, inoltre, che “l’apertura di una procedura di concordato preventivo non è ostativa nè all’accertamento di crediti tributari pregressi mediante iscrizione a ruolo ed emissione della cartella, nè all’irrogazione di sanzioni pecuniarie ed accessori, maturati fino a tale momento, poichè, per un verso, l’accertamento del credito da parte dell’Amministrazione finanziaria è condizione per la partecipazione della stessa alla procedura concorsuale e, per un altro, le sanzioni pecuniarie danno luogo ad un credito del Fisco per il fatto stesso che si sia verificata la violazione della legge tributaria, senza che assuma rilevanza l’assoggettamento dell’impresa ad una procedura concorsuale (Cass., n. 9440 del 2019 cit.)”.

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