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“Perverso, intenso, intrigante: così immaginavo il protagonista di questo diario”: intervista a Rossobaffo autore de “L’attimo dell’imbalsamatore”

“Mi piace fermare il volo dei miei rapaci; tenderne le ali fino all’inverosimile affinché proiettino al suolo le loro ombre spaventevoli verso una preda sconosciuta ed eccitante. E’ così bello plasmarli, fermare la loro vita nell’attimo che è l’attimo dell’imbalsamatore, il momento in cui ha deciso di dar loro una forma. Tutto è così diverso nella vita reale. Questa a volte mi sembra come una massa solida e scivolosa che può sfuggirti dalle mani se la stringi troppo, come una saponetta…”Così confida l’imbalsamatore, serial killer psicopatico, a Opsidus un misterioso personaggio che potrebbe essere il suo alter ego o forse la vittima sacrificale di un perverso delitto.Il rebus sarà risolto solo nelle ultime pagine, che costringono il lettore a riconsiderare questo diario segreto sotto una luce diversa.

Ci parli di lei e delle sue pubblicazioni letterarie

“Nella mia vita di tutti i giorni sono un medico chirurgo specialista, perfezionato in chirurgia estetica. Come scrittore, dopo una breve parentesi nel mondo dei fumetti, ho iniziato, poco più che ventenne, a metter su carta quelle che sarebbero state le prime stesure degli episodi che nel loro insieme costituiranno il libro della mia vita: I campi dei ciclopi.

Solo recentemente mi sono deciso a pubblicare alcuni degli episodi che ritenevo fossero idonei a “camminare con le loro gambe”. Ecco i testi fin qui pubblicati: L’attimo dell’imbalsamatore pubblicato nel 2017 e presentato in una nuova veste editoriale al Salone del libro di Torino 2023; Il buio che è stato pubblicato nel 2021 e presentato al salone del libro di Torino nel 2022; Un tratto dissestato di universo pubblicato dalla Villaggio Maori edizioni nel 2020.

Nel 2024 prevedo di pubblicare: Andando verso e sempre nel 2024 o nei primi mesi del 2025, sarà la volta delle prime 1000 pagine de I campi dei ciclopi comprendenti i seguenti episodi:

  • Un tratto dissestato di universo
  • Andando verso
  • La sala dei quasi ieri
  • La fortezza delle anime inquiete
  • Il cavaliere e la sua ombra

(“L’attimo dell’imbalsamatore” e “Il buio che verrà” faranno parte di una seconda raccolta).”

Nella vita fa il chirurgo ma è anche un poliedrico scrittore. Come ha coniugato la sua professione con il mondo della narrativa e cosa rappresenta per lei la scrittura?

“Da più di trent’anni mi occupo esclusivamente di chirurgia estetica e so bene che se è vero che è possibile migliorare la propria tecnica chirurgica con la pratica, è anche vero che per ottenere buoni risultati nel rimodellare un viso o un corpo occorre anche essere dotati di quella qualità innata che è la sensibilità per la bellezza. Ecco, questa ricerca del bello costituisce il trait d’union tra il chirurgo e lo scrittore. Certo, il chirurgo è tenuto a rispettare l’anatomia e le tecniche chirurgiche, ma anche la letteratura ha le sue regole, a meno di non voler far scarabocchi su un foglio bianco.

La mia professione poi – fatte ovviamente le giuste proporzioni – mi ha consentito di essere ciò che erano i papi o i principi per gli artisti del rinascimento. In effetti, io sono il mecenate di me stesso: il chirurgo permette allo scrittore di vivere agiatamente e di non accettare compromessi, di non piegarsi alle regole del mercato, di scrivere quel che sente di scrivere e non ciò che in molti vorrebbero leggere.

Cosa rappresenta per me la scrittura? È il mio modo “da ignorante” di manifestare la mia creatività: se avessi studiato musica sarei stato un compositore, se avessi studiato architettura avrei progettato edifici, parchi e via dicendo. Ma, a parte l’uso del bisturi, ho imparato solo a leggere e a scrivere e così scrivo.”

Ci parli del protagonista del libro e quale tipo di psicologia alberga nella sua mente

Il mio protagonista è un serial killer psicopatico. Si muove inquieto nei vicoli maleodoranti e nei sotterranei di una città misteriosa e trova pace solo all’interno del suo negozietto di imbalsamatore nell’ attimo in cui ha deciso di dare una certa forma, un qualche atteggiamento alla sua ultima preda, animale o essere umano che sia. In quel momento lui ambisce all’eternità mentre, nella vita reale, ha la consapevolezza di non riuscire a incidere nell’ esistenza di chi crede di amare, di passare inosservato, di essere dimenticato. Ed è per questo, nel tentativo di scalfire l’indifferenza, l’inespressività, la mancanza di empatia tipica purtroppo dei giorni nostri, che assume atteggiamenti sempre più provocatori fino ad arrivare a gesti estremi.”

La trama ha un ritmo incalzante ed è del tutto spiazzante. In che modo ha deciso di interagire con il lettore e quali sensazioni ha voluto suscitare?

“La trama incalzante e spiazzante penso sia dovuta al fatto che L’attimo dell’Imbalsamatore è uno dei pochi episodi (spiegherò dopo perché lo definisco così) che mi sono usciti di getto, in pochi giorni e che non ho messo da parte per anni e neanche stravolto, come sono solito fare, in molteplici riscritture. Per quel che concerne il mio modo di interagire con i miei lettori, devo confessare che amo molto mettere dei “trappoloni” nelle mie trame: funzionano benissimo dal momento che costringono chi mi legge a ritornare sulle pagine già lette oppure, qualche volta ad arrendersi e a lasciare il libro a metà. Quest’ultima eventualità non è che mi dispiaccia più di tanto: in questo caso sono io a scegliere i miei lettori e non loro me.”

Cosa rappresenta la figura di Opsidus?

“Ho intenzionalmente lasciato molto nel vago la figura di Opsidus per quasi tutto l’episodio. Potrebbe essere l’alter ego del protagonista oppure una sorta di vittima sacrificale, un parafulmine sul quale scaricare tutte le negatività. Ma, cambiando le carte in tavola, potrebbe essere lui il vero colpevole. Il rebus, naturalmente, sarà svelato solo nelle ultime pagine.”

 Quale messaggio emerge dal libro e quali sono i temi dominanti?

“Basta passeggiare la sera in una qualunque città medio- grande europea per rendersi conto di quanto i nostri giovani si siano terribilmente uniformati: stesse espressioni, stessi tatuaggi, stesse labbra a “becco di papera” (così le chiamiamo noi del mestiere), stesso modo di vestire, stessi discorsi attorno ai tavolini dei bar, stesse discoteche con gli stessi suoni, le stesse luci, gli stessi stimolanti e lo stesso identico agitarsi.  “Esserini”, così li definirebbe, certamente a torto, il nostro imbalsamatore; esserini pronti a mostrar sui social i loro fondoschiena sussultanti o le loro tartarughe. Esserini che, poco più che adolescenti, hanno già provato di tutto e adesso sembrano essere diventati indeformabili, impermeabili a ogni emozione, inespressivi come bambolotti di plastica e, sempre secondo il nostro serial killer, così simili l’uno all’altro che se qualcuno venisse a mancare, nessuno se ne accorgerebbe.

È ovvio che, in realtà, fortunatamente, le cose non sono proprio così, dal momento che ogni individuo è unico. Ma non per un imbalsamatore o per chi si ferma a osservare solo la superficie di ogni cosa.

Chiarificatore in tal senso un brano del diario del nostro protagonista: “…erano i momenti in cui avrei voluto avere la lunga lingua di un rospo per arrivare ancora baciandole alle profondità più intime; la dove mai siamo stati, dove nessuno è stato e dove può ancora coglierle il tremito leggero, quello che increspa le acque senza produrre onde e le fa rabbrividire. Ecco sarebbe bello, sarebbe proprio bello poter arrivare fin lì senza dover far male”.”

 Tre aggettivi per definire L’attimo dell’imbalsamatore e chi potrebbe esserne il lettore ideale

 “Perverso, intenso, intrigante: era così che immaginavo il protagonista di questo diario singolare.

Riguardo il mio lettore ideale, se vuole, glielo descrivo anche se, nella realtà, ben difficilmente sarà come me lo immagino. In questo momento, ad esempio, lo/a immagino sprofondato/a su una poltrona, in una stanza in penombra; solo una debole luce calda illumina la pagina che sta leggendo a bassa voce, sussurrando quasi. Ecco che fa una smorfia, si interrompe, appoggia alle labbra il suo grand ballon d’ armagnac, ne assapora solo una goccia, riprende il libro, torna indietro di qualche pagina, rilegge e sorride mentre graffia una frase, magari con una lunga unghia smaltata di rosso…

Difficile avere un lettore così, è vero?”

 Lei usa lo pseudonimo Rossobaffo per “firmare” le sue opere. Le va di raccontarci qualche curiosità a riguardo?

“Uso uno pseudonimo per rimarcare le distanze tra il me stesso di tutti i giorni e lo scrittore, per fare in modo che ognuno di noi se ne stia per i fatti suoi. Per questo, con un po’ di malizia, ho affibbiato allo scrittore il nome di Rossobaffo che, tra tutti i personaggi che animano le mie storie, è quello che mi piace meno. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che è un chirurgo estetico abbastanza sui generis ed anche un po’ lestofante. Ma mi stuzzica inserirlo nella narrazione, in genere a piccole dosi, un po’ per confondere il lettore, un po’ per allontanarmi il più possibile dallo scrittore.”

 Nella sua produzione letteraria ci sono altri due romanzi: in cosa si differenziano da L’attimo dell’imbalsamatore?

“Il buio che verrà ha lo stesso protagonista, ormai invecchiato, de L’attimo dell’imbalsamatore.

È ambientato in un futuro prossimo, nel corso di una pandemia che potrebbe essere l’ultima per l’umanità. L’atmosfera, particolarmente cupa che permea tutta la storia è anche dovuta al fatto che è stata scritta in pieno covid 19, di getto e in un letto d’ospedale dove ero stato ricoverato a causa di un grave incidente stradale.

L’altro lavoro: Un tratto dissestato d’universo nasce invece dal mio consueto modo di scrivere. Mi spiego: dopo una prima stesura, ho l’abitudine di conservare il manoscritto nel ripiano di un armadio per un certo numero di anni (anche venti). Poi, lo riprendo, lo perfeziono, magari lo riscrivo di sana pianta e, quasi sempre, lo rimetto al suo posto, non dico per altri vent’anni, ma quasi. Solo allora arrivo alla stesura definitiva e ad un’eventuale pubblicazione. In tal modo è come se i miei scritti fossero opera non di un unico scrittore ma di tre individui ben distinti: uno giovane e pieno di vita che guarda al futuro, uno scrittore maturo con tutte le disillusioni del suo presente e un ultimo scrittore che, arrivato a un’età avanzata, mette nei suoi scritti, uno dei sentimenti più dolci e tristi che possano esistere: la nostalgia per quel che è stato e non è più.

Queste stratificazioni rendono senz’altro più ricche di significati le mie pagine anche se, a volte, la loro lettura è tutt’ altro che agevole. Da considerare anche che c’è sempre un prima e un dopo che esula dai singoli episodi, anche dai pochi che, fino adesso, ho pubblicato singolarmente.

I pezzi di questa sorta di collage si completeranno l’un con l’altro in un unico corposo romanzo: “I campi dei ciclopi” che, con le sue 2000- 2500 pagine, chiarirà tutti i dubbi ai miei lettori più affezionati.

Nel frattempo, nei primi mesi del prossimo anno, conto di pubblicare una storia che mi è rimasta nel cuore: “Andando verso”, la cui prima stesura risale al 1981, la seconda a metà degli anni Novanta e l’ultima a pochi mesi fa.”

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