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“I segni nascosti” di Giancarlo Corsetti: un fantasy avventuroso, una metafora sulla vita e sulla lotta fra bene e male

GIANCARLO CORSETTI è nato nel 1976 a Cassino (FR), dove vive tuttora con la sua famiglia. Avvocato dal 2003 e cassazionista dal 2016, svolge la professione occupandosi da circa vent’anni – in maniera pressochè esclusiva – di casi di diritto penale. Dal 2019 è tesoriere dell’ordine degli avvocati di Cassino. È appassionato di narrativa, sociologia e filosofia. In ambito letterario, nel 2019 ha pubblicato Il gigante e altri racconti (Amazon) e nel 2022 I segni nascosti (Giovane Holden Edizioni).

Buongiorno Giancarlo e grazie per voler condividere alcuni approfondimenti sul tuo romanzo I segni nascosti. Nella vita fai l’avvocato, come ti sei appassionato alla scrittura?

“Ti rispondo facendo una premessa. Secondo me c’è sempre, nella vita di chiunque, una ricerca di conferma della propria visione delle cose; è una cosa che ha a che fare con l’autostima intellettuale. Nella vita dell’avvocato questa ricerca è quasi drammatica. L’impegno, quando si difende qualcuno, è riuscire a formulare delle teorie difensive così fondate da poterle sostenere senza paura di essere smentiti e anche riuscire a metterle bene per iscritto, possibilmente con le parole giuste.

Per quanto riguarda i risultati di questo impegno, essi non sono facilmente gestibili e le cose possono variare molto. Le vittorie sono come medaglie al valore; le sconfitte, se sono lievi, a volte aiutano a crescere e vengono accettate; se sono gravi, sono un incubo, perché non hanno nessun effetto positivo su un avvocato, come su chiunque altro, e possono anche danneggiare la fiducia in sé stessi. La professione, insomma, richiede molta responsabilità e rende la vita più difficile; la dialettica tra le parti dei processi è un duello di intelligenze che raramente ammette compromessi.

Non che scrivere una storia che possa piacere alle persone sia molto più facile: anche in questo campo ci dev’essere un impegno quotidiano a fare meglio e l’insuccesso si paga. Però mi sono appassionato alla scrittura perché penso che coltivare l’immaginazione aiuta ad allargare l’esperienza esterna, in definitiva la visione e la conoscenza del mondo, che il lavoro “settoriale” finisce sempre, vuoi o non vuoi, per limitare o restringere. Voglio dire che la scrittura è un grande strumento di gratificazione, nel senso che dà la libertà di prendere quella che in quel momento per te è la parte migliore o la più interessante della realtà e passarci il tuo tempo; è un gran bel modo per cambiare aria.”

Come è nata la passione per il Fantasy e cosa ti ha ispirato durante la scrittura de I segni nascosti?

“Mi è piaciuto scrivere un fantasy perché mi sono sempre piaciute le storie epiche, la mitologia basata sul coraggio e sull’azione, la lotta del bene contro il male, i contenuti metaforici. In giro c’è una grande voglia di schematizzare, per cui si dividono sempre i romanzi in due categorie, grossomodo: fantastici e realistici. Personalmente questa distinzione non mi interessa. E’ il soggetto che impone la forma in cui esso va trattato. Alcuni temi possono essere svolti meglio e con più libertà ambientandoli nel passato. E’ il caso de I segni nascosti, in cui il contesto epico e medievale aiuta a enfatizzare i conflitti interiori dei personaggi, umanamente sempre attuali.

Ho iniziato a lavorare a I segni nascosti durante il primo lockdown. Mi sono “imbattuto” nel fantasy quando ho immaginato che proprio il virus, cioè la malattia che in quel tempo dilagava, avrebbe potuto essere rappresentato come un drago che infesta il mondo. Quindi il romanzo è diventato un fantasy perché al suo centro vi è l’elemento fantastico rappresentato dal drago Urian. Il fantasy offre grandi vantaggi: la spettacolarità, l’avventura e la fuga dalla realtà, che costituiscono lo charme dei romanzi fantastici e che sono elementi essenziali per chi, come me, voleva scrivere una storia che potesse dare al lettore intrattenimento ed evasione, magari facendolo anche riflettere un po’ sul presente.”

Parlaci del protagonista Martin, cosa lo caratterizza e quali sfide lo attendono?

“Martin è un uomo che insieme al suo amico Drystan decide di intraprendere – in una terra popolata di orchi e creature sinistre – un viaggio per ritrovare sua figlia, scomparsa durante una battaglia della guerra tra gli orchi e gli uomini, da poco vinta da questi ultimi sotto il comando del re Gösta. Non è certo, per la verità, cosa li attenda, né se riusciranno a ritrovare la bambina. Nel viaggio resisteranno a traversie di ogni genere, incontreranno un cavaliere valoroso deciso a uccidere Urian, il drago che infesta con il suo veleno la landa semidisabitata, ricoperta di boschi e puntellata di fiumi e laghi, e poi soldati del re e villici che offrono sacrifici umani al drago su pire che bruciano di notte.  E, tra le figure più misteriose, Martin incontrerà un viandante che viaggia verso le case della notte, ossia verso una sorta di oltretomba sulla terra, che gli dirà come fare per ricongiungersi, forse, con sua figlia.”

È molto forte il tema dell’amicizia, mi riferisco in particolare a quella fra Martin e Drystan. In che modo l’hai narrata?

“Come persona sono interessato al tema dell’amicizia nel quotidiano, ma scrivendo dell’amicizia tra questi due personaggi ho provato ad approfondire un concetto particolare, cioè che anche se organizziamo la nostra esistenza in modo da viverla insieme ad altre persone, in alcuni situazioni della vita siamo tutti inevitabilmente soli (come Martin di fronte alla sua paura di non rivedere più la figlia); avere la compagnia di un amico può essere un modo per vincere la battaglia contro la solitudine, per sentirsi meno soli durante le difficoltà.

Nella storia de I segni nascosti Drystan è un personaggio fondamentale, non solo perché fa da specchio ai sentimenti del protagonista, ma perché è la figura umana che incarna meglio delle altre un’idea molto forte, ossia il coraggio di sacrificare la propria esistenza per il bene del prossimo.”

Quali altri temi si possono rintracciare nel romanzo e quale messaggio hai voluto trasmettere?

“Il romanzo ha inizio con un’ambientazione cupa, quella di una landa avvelenata da un drago malvagio che priva le persone della voglia di vivere, però nel corso della storia appaiono delle figure o delle situazioni che sono delle luci: penso a Ramwal che va a caccia di Urian per ucciderlo, ad Axl che cerca un antidoto contro il veleno del drago, allo stesso Gösta che si interroga su qual è la direzione giusta da dare alle sue azioni. Credo di aver voluto trasmettere un messaggio di ottimismo e di speranza.

La domanda che mi sono posto è stata: a un certo punto dovrò distruggere la speranza del lettore per un lieto fine o dovrò alimentarla fino alla fine? Ho concluso che quest’ultima fosse la scelta, oltre che più bella, più utile: perché in una visione del mondo che ritengo debba essere coltivata il bene esiste ed è, tra le persone, quantitativamente superiore al male. Ne sono convinto a sufficienza da metterlo per iscritto.”

È interessante la figura di Gösta, un re senza scrupoli ma che al contempo è mosso da dubbi e malinconia. Una figura controversa che suscita sentimenti contrastanti nel lettore…

“Sì, è così. Gösta è un personaggio con cui ho analizzato il modo in cui anche la persona più idealista, anche chi è dotato delle migliori intenzioni può cadere a volte in azioni nefaste scendendo a compromessi con la sua coscienza; e da qui sono passato a tentare di mostrare quanto sia difficile in alcuni casi distinguere il bene dal male e come anche la morale possa essere relativizzata, come spesso accade.

Se a volte dimenticare il male è la scelta più facile per andare avanti, così non accade a Gösta, che non può dimenticare il suo passato, provare sensi di colpa e interrogarsi sul significato delle sue azioni, con tutte le difficoltà che si incontrano a mantenere una visione corretta dei fatti in cui si è emotivamente coinvolti. Ho fatto parlare molto questo personaggio in prima persona per ottenere quell’effetto di intimità/immedesimazione con il lettore che il racconto in terza persona non consente.  Mi è sembrato che questa scelta narrativa permettesse al punto di vista del personaggio di avere un impatto emotivo maggiore sul lettore. Sono molto affezionato a Gösta perché il conflitto tra il bene e il male che vive interiormente lo rende molto umano; umano troppo umano, avrebbe detto qualcuno.”

Tre aggettivi per definire il tuo libro.

“Avventuroso, misterioso, oscuro”.

Stai lavorando ad altro?

“Sì, ho scritto un altro romanzo, il cui titolo (provvisorio) è Qualcosa che finisce, che dovrebbe uscire il prossimo anno. E’ una storia contemporanea, ambientata in una comune cittadina italiana, che descrive l’ipocrisia, il ricorso al compromesso e l’incomunicabilità in alcuni rapporti familiari (e interpersonali, in generale); è un racconto pieno di fattualità, romantica voglia di felicità e invincibile disincanto. In un romanzo del genere l’elemento avventuroso di cui è pieno I segni nascosti è quasi del tutto assente, o meglio si colloca su un piano, per così dire, introspettivo; però il tono non è così impegnativo come gli argomenti trattati nella storia, quanto – piuttosto – disinvolto e, quando possibile, ironico.

Il motore del romanzo è l’intreccio delle vicende che riguardano i protagonisti, principalmente due sorelle e i rispettivi mariti. Tutti i personaggi parlano e pensano quasi sempre in prima persona, mettendo in campo tanti punti di vista sulle situazioni raccontate, in modo da restituire tutti gli aspetti che entrano in gioco nelle relazioni interpersonali, ponendo in luce il relativismo morale delle azioni dei protagonisti. Mi sono molto divertito a immaginare le vicende di queste due coppie, collocando al centro l’intreccio delle azioni dei personaggi. Spero di riuscire a lasciare nei lettori una immagine vivida e duratura delle figure umane che fanno parte di questa narrazione e a farli riflettere sulla fragilità delle relazioni umane.”

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