Gli ultimi giorni di Lorenzo Zucchi – Terza parte
Un racconto inedito a puntate dello scrittore Lorenzo Zucchi
Filippo non l’ha vista, anche se ci ha dormito per la bandiera. Scelte. Ganni l’ha girata in lungo e in largo ma erano i primi anni ’80 e non la può per forza di cose riconoscere. Scelte e conseguenze. La piccola famiglia non è molto interessata al mio viaggio, e men che meno a quello che ci fa battere il cuore più forte, come questa vista dal quattordicesimo piano. Lo dite voi scelte?
In ascensore c’è una nazionale femminile del Belize, forse di calcio. Hanno una stanza riservata per il pranzo al piano terra, io invece mi accomodo al bar per vedere Modric che segna a gioco fermo, con una Gallo per calmare le coronarie in attesa del prossimo appuntamento, e per fortuna che il quetzal non l’ho visto mai, in cartamoneta. Dal vivo non ho visto nemmeno il simpatico uccello verde, purtroppo, se non ricamato sulle bandiere, ma per fortuna vedo Johnny: capisco che è lui, da come si avvicina con la curvatura cordiale dei suoi sessant’anni, per il mio giro della capitale a bordo della sua berlina dorata.
Per primi scorrono i quartieri semicentrali, proprio mentre sta per scatenarsi il temporale annunciato dalle nuvole nere che spuntano dietro i nuovi edifici residenziali della Zona 14: dall’Obelisco fino al Monumento a Karol è tutto un susseguirsi di statue e memoriali dedicate agli altri paesi dell’America Latina. E a Plaza Berlín piove sulla vetroresina della riproduzione del famoso orso, mentre il mio respiro comincia a calmarsi, a prendere visione di uno spettacolo inatteso: dalle curve sinuose di villette in stile coloniale a Los Arcos fino alla finta Torre Eiffel costruita dagli USA per la loro ambasciata. Quella che ha appena traslocato tra le colline del lusso, dice Johnny, e la cosa non ci sorprende affatto: anche a Milano il consolato sta cambiando sede. E poi villette che sembrano chiese, la Zona 4 di locali per universitari e un reticolato di strade in discesa alberate da poco che perforano il cuore, il Centro Civico con la solita profusione di mattone razionalista, la nave nel parco del Teatro Nacional con le sue linee arcobaleno e gli operai sulle impalcature che rifanno il blu cobalto alle piastrelle.
Possiamo parcheggiare in un garage sotterraneo, adesso, e sentire l’emozione salire vertiginosamente al vedere apparire la 6° Avenida pedonalizzata e alberata. Vero, Lukaku avrebbe dovuto giocare da titolare la finale di Champions League! Ma ora noi inseguiamo memorie di vecchi maggiolini, di hotel titolati che cadono a pezzi, palazzi delle poste in stile neorinascimentale veneziano, la vitalità del passeggio incessante del centro commerciale, chiese che sembrano teatri, sbarre, ombrelloni colorati, pick-up parcheggiati.
C’è anche la polizia che pattuglia, tra gli edifici art nouveau dai frontoni con le scritte, proprio quando lo spalancarsi della Plaza de la Constitución regala quella sorpresa dell’intervento architettonico contemporaneo dal sapore europeo che trasforma il nuovo porticato in una possibile icona futura, alla pari del verde monumentale del Palacio della Cultura, davanti al quale qualcuno ancora commemora le 41 croci di bambine e adolescenti morte in un incendio. No, non sembra un cimitero: tocca il cuore. E visitiamola, la Cattedrale, con le sue bandiere gialle che pendono lungo le colonne bianche e le pietre tombali usate come piastrelle che la gente tuttora trafuga.
Johnny mi lascia perlustrare il Mercado Central in solitudine: non troverò animaletti per la collezione né le ormai famigerate palle di neve, ma sarà un fremito ogni volta sentirsi parte di questo mondo nei corridoi bui pieni solo di suggestioni colorate, al suono di ‘¿Que busca el caballero?’ e ‘Pase adelante!’. Non sono proprio quello che sembro, ma tant’è, vallo a spiegare a queste simpatiche donne maya. Ora dove mi porti Johnny? Nel parcheggio di un condominio? In un ascensore stretto? Spuntano le pistole? No, appare magicamente un locale un po’ trendy dal quale si domina tutta la città, proprio quando il sole ha già cominciato a scendere: in poche parole, le condizioni ideali nelle quali il mio cuore si innamora, magari con una birra artigianale e un panorama sterminato sulle profondità urbane della grande metropoli.
Piove nuovamente, al ritorno: forse sono le mie lacrime di gratitudine, quando Johnny si congeda con un ultimo passaggio sotto la Torre del Reformador. E ora devo fare tutto di fretta perché domani mi aspetta l’ennesimo patibolo in forma di allarme sonoro. Ma questo marciapiede assomiglia molto a quello dei miei sogni: di certo è largo abbastanza da poterli ospitare tutti, mentre i lampioni cominciano ad accompagnare la debole luminosità rimasta in cielo. Un ristorante cinese fa tanto quadretto locale, potrebbe anche andare bene, luci alte, lanterne rosse, ma oltre il parcheggio recintato langue già quella steakhouse virata al cibo del posto che per stasera ha preparato l’adobado, un piatto locale che vale sicuramente la pena di divorare, anche se Sorin dalla rete pensa che sia addirittura per due persone.
Qui ai tavoli la gente parla di lavoro davanti a una bottiglietta d’acqua, mentre la tv trasmette la WTA e le sue star del wrestling creativo: addirittura, in otto, iniziano il combattimento, le ragazze. Quella con gli stivali mi sembra molto simpatica, mi segno il nome, Roxanne, poi la cercherò sui social per chiederle l’amicizia. Adesso devo solo attraversare la strada e perdermi nel riflesso delle lampadine sul pavimento bagnato, il lampo verde del boccione della Heineken a contrastare con le abat-jour rosse del bancone del pub. Un rum con ghiaccio durerà molto di più del tempo che servirà a buttarlo giù, nel sottofondo dei Twisted Sisters. Ma come te ne vai già? Silenzio, lo sai a che ora suona la sveglia domani?