Valori venali delle aree fabbricabili, valido l’accertamento ai fini Imu
I parametri riferiti ai terreni edificabili, stabiliti con delibera comunale, sono pienamente utilizzabili anche per l'attività di accertamento di competenza dell'amministrazione
Si all’accertamento basato sui valori venali delle aree fabbricabili per il calcolo dell’Imu. Si tratta, infatti, di fonti presuntive paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti con la conseguenza che tali valori venali possono essere utilizzati per l’attività accertativa riferita ad annualità pregresse. Il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria, presentando elementi oggettivi, come ad esempio perizie di parte, capaci di dimostrare il minor valore dell’area edificabile di proprietà.
E’ quanto ha stabilito, confermando la decisione dei giudici tributari di primo grado, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana con la sentenza n. 126 del 25 gennaio 2024.
Il caso di specie e il ricorso in primo grado
L’amministrazione di un comune in provincia di Firenze emetteva nei confronti di una società a responsabilità limitata distinti avvisi di accertamento con il quale rideterminava in aumento quanto dovuto a titolo di Imu per alcuni terreni prendendo a parametro i valori venali delle arre edificabili oggetto di accertamento.
Avverso tali atti impositivi la società proponeva ricorso dinanzi ai competenti giudici tributari di primo grado lamentando come i valori presi in considerazione dall’amministrazione comunale non corrispondevano agli effettivi valori di mercato.
La Commissione tributaria provinciale di Firenze respingeva il ricorso della contribuente reputando l’atto accertativo del comune congruamente motivato sia in relazione ai presupposti di fatto che alle ragioni giuridiche a fondamento alla pretesa. Inoltre, rimarcavano i giudici di merito, i criteri e gli elementi presi in considerazione per determinare il valore delle aree fabbricabili erano quelli chiaramente indicati nell’apposita Delibera di Giunta e più specificamente nei relativi allegati richiamati nella motivazione dell’avviso. E per effettuare tale determinazione il Comune si era avvalso di tutte le fonti ufficiali per la stima dei diversi parametri e fra questi anche le quotazioni dell’Osservatorio del mercato immobiliare per i prezzi di vendita proprio per poter avere anche un valore commerciale di riferimento.
Tra l’altro, hanno ancora ricordato i giudici di prime cure, la finalità del potere regolamentare affidato ai Comuni non è quella di operare una valutazione ad hoc per ogni area fabbricabile, bensì quella di offrire un’indicazione dei valori minimi per ogni zona omogenea al fine di offrire al contribuente un valore di riferimento e limitare un inutile contenzioso con la conseguenza che allorquando il Comune abbia determinato, come nel caso di specie, il valore dell’area fabbricabile nel pieno rispetto dei criteri tassativi fissati dall’articolo 5 del Dlgs n. 504/1992 eventuali doglianze in ordine alla determinazione di tale valore devono essere specificamente provate dalla parte interessata mediante, ad esempio, presentazione di apposita perizia tecnica.
Insoddisfatta della decisione, la società contribuente decideva, quindi, di proporre ricorso dinanzi la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana lamentando che il procedimento indiretto utilizzato dal Comune era affetto da errori e si basava inevitabilmente su numerose approssimazioni e semplificazioni che rendevano opinabile il valore accertato, che a giudizio della stessa appellante è ben più alto di quello reale in comune commercio in quanto i terreni in questione non assumono, per ragioni oggettive, una effettiva capacità edificatoria certa e certificabile, comprovato anche dallo stato dei luoghi totalmente inedificati.
L’amministrazione comunale chiedeva il rigetto dell’appello difendendo il proprio operato e ricordando come gli atti dalla stessa posti in essere altro non erano che avvisi di accertamento per omesso pagamento da parte di un contribuente che mai aveva presentato una doverosa e obbligatoria dichiarazione Imu relativa al valore delle proprie aree edificabile.
La decisione dei giudici tributari di secondo grado
Chiamata a pronunciarsi definitivamente nel merito, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana ha respinto l’appello della società contribuente, reputandolo infondato e confermando il buon operato dell’Amministrazione così come la correttezza della sentenza di primo grado.
In primo luogo, i magistrati fiorentini hanno ricordato come la recente sentenza della Corte di cassazione n. 24589 dell’11 agosto 2023 abbia chiaramente affermato che i valori venali delle aree fabbricabili ai fini Ici/Imu, stabiliti con delibera comunale, sono validi anche ai fini dell’attività di accertamento, in quanto trattasi di fonti presuntive, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi ragionevolmente corretti. Tali dati, hanno proseguito i giudici di legittimità nella sentenza citata, “possono utilizzarsi per le annualità pregresse, in quanto, data la natura presuntiva, il contribuente può, anzi è gravato dall’onere di fornire la prova contraria”, ovvero presentare elementi come perizie tecniche di parte in grado di dimostrare il minor valore dell’area edificabile. In definitiva, hanno concluso i giudici romani, “i valori comunali operano come gli studi di settore o altri strumenti presuntivi del reddito”.
Dunque, hanno proseguito i giudici fiorentini di merito, nel caso di specie era puntuale onere della parte provare che il valore indicato dal Comune nel suo atto impositivo fosse effettivamente maggiore di quello reale.
In merito, la Corte tributaria rileva come il Comune abbia correttamente utilizzato i criteri indicati all’articolo 5 del Dlgs n. 504/1992 ai sensi del quale per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al primo gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.
In proposito, i giudici di appello hanno ritenuto che la relazione tecnica prodotta dalla contribuente non è stata in grado di smentire le valutazioni dell’amministrazione comunale che ha, tra l’altro, tenuto conto anche dei necessari oneri di urbanizzazione.
Nello specifico, per superare la determinazione del valore fatta dal Comune, la società contribuente ha prodotto una relazione tecnica di parte, con la quale contesta che l’amministrazione non avrebbe tenuto conto del fatto che l’area è interclusa all’accesso carrabile a strade pubbliche e dei costi da sostenere in fase di edificazione per il miglioramento della viabilità esistente, né dei costi da sostenere per la messa in sicurezza in relazione al rischio idraulico. Al riguardo, la Corte ha rilevato, invece, come la Giunta comunale abbia indicato in modo analitico i criteri su cui ha basato l’attribuzione del valore ai terreni e abbia tenuto in considerazione esplicitamente i costi di urbanizzazione, in relazione ai non c’è prova che siano stati sottostimati.
Proseguendo, i giudici fiorentini hanno reputato destituita di fondamento anche l’ulteriore contestazione portata avanti dalla società che criticava l’utilizzo da parte del comune, per determinare il valore venale dei terreni oggetto di accertamento, delle quotazioni relative a terreni limitrofi. Anzi, ha rimarcato la Corte di giustizia, il valore comparabile scelto dall’amministrazione comunale è addirittura superiore rispetto a quello indicato dalla stessa per i terreni di cui è causa, il che conferma pienamente che i valori indicati dall’ente pubblico non sono affatto eccessivi.
In conclusione, non avendo la parte adempiuto all’onere che grava sulla stessa di dare la prova positiva della non correttezza dei valori individuati dall’amministrazione e posti a base degli atti di accertamento contestati, la Corte non ha potuto far altro che respingere l’appello presentato e dare ragione al Comune, confermando in pieno la sentenza di prime cure.