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Appassionato e vibrante intervento del Presidente della Camera Penale di Crotone, Aldo Truncè, alla maratona oratoria “Fermiamo i suicidi in carcere” tenuta davanti il Palazzo di Giustizia crotonese.

CROTONE: “Diamo voce a chi non ha voce”. È questo lo slogan di questa giornata che l’Unione delle Camere Penali ha inteso promuovere sull’intero territorio nazionale, con decine di maratone oratorie, al ritmo incalzante di una maratona al giorno, che in un percorso ininterrotto lancia una sfida: quella di smuovere le coscienze e di puntare i riflettori su un luogo, il carcere, che non interessa più a nessuno. Un luogo che è contemporaneamente un non luogo, perché negli istituti di pena italiani non è solo il tempo a fermarsi, a congelarsi, quando si varcano le sbarre della cella, ma si annulla anche lo spazio, quello spazio angusto condiviso con troppi compagni di sventura, in un sovraffollamento costante che è divenuto oramai fisiologico. Come fisiologici sono oramai diventati i numeri di coloro che in cella si tolgono la vita, per fermare definitivamente quel tempo congelato. Numeri che non impressionano più, come i bollettini di guerra che sentiamo ogni giorno. Dopo un po’ non ci facciamo più caso perché quando una storia di un singolo si somma a decine di altre, ogni singolo caso viene trasformato in numero, ed un numero esprime solo la freddezza di un calcolo, di una statistica. Quale senso ha allora la giornata di oggi? Quella di restituire dignità a chi quel luogo lo vive ogni giorno, ma anche a chi, soprattutto, ha scelto di non viverlo più: oggi saranno molti gli interventi di chi il carcere lo vive realmente, quotidianamente. Non avremo interventi di detenuti, ma ci saranno ex detenuti che prenderanno il microfono per poi cederlo a direttori del carcere, personale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, avvocati, magistrati, criminologi, operatori della rieducazione esterna, autorità politiche ed istituzionali, scrittori, psicologi, personalità del mondo accademico, giornalisti e molti altre personalità. Interventi poliedrici, tutti impegnati ed accomunati da un unico intento: quello di dare il proprio personale contributo in una maratona oratoria, che è anche e soprattutto una staffetta, in cui il testimone è questo microfono che passerà di mano in mano per accendere i riflettori e dare voce a chi voce non ne ha, perché nessuno può restare muto ed indifferente di fronte a questa tragedia, a questo stillicidio, in cui ogni vita spezzata rappresenta un fallimento del nostro sistema, un’onta che non possiamo più tollerare. I penitenziari non devono essere luoghi di morte, ma spesso lo diventano non solo per gli atti estremi che oggi denunciamo, ma anche perché le cure non sono garantite con tempi di diagnosi celeri. In carcere si muore, ma di carcere si muore. Quanti casi di mala gestio sanitaria ho visto in trentacinque anni di professione? Giovani ragazzi di trentacinque anni morire per banali appendiciti sfociate in Peritoniti, polmoniti curate come banali influenze. Perché il problema di salute più semplice, che all’esterno si cura con facilità, diventa invece un problema di salute serio in carcere? E quante omesse diagnosi ci sono in ambito psichiatrico? L’emergenza psichiatrica è quella che più di tutte sta destando serie preoccupazioni, come dimostrano i report ed i dossier sui tavoli ministeriali, che sono allo studio nelle commissioni, mentre noi parliamo. perché se i numeri dei suicidi continuano a crescere, evidentemente i protocolli di valutazione del rischio suicidario sono inadeguati e devono essere aggiornati, perché dietro ogni gesto estremo no c’è solo un dramma individuale, ma c’è il rischio ambientale che amplifica a dismisura il rischio. Chi entra in carcere con un equilibrio psichico fragile, come si approccia quando si deve confrontare con i problemi mai risolti di sovraffollamento, di carenze strutture fatiscenti, mancanza di strutturali, riscaldamento, di acqua calda, personale insufficiente, e codici di comportamento interni da accettare? È questo il rischio ambientale su cui si può agire e si deve fare qualcosa, oggi, adesso. Non ci possiamo rassegnare a questo scenario desolante. Dobbiamo reagire, con forza e determinazione. È necessario un cambiamento radicale, una svolta epocale che riporti al centro del sistema carcerario il rispetto dei diritti umani e la tutela della salute psico-fisica dei detenuti. Non possiamo dimenticare che dietro ogni detenuto c’è una persona, un’anima con la sua storia, il suo passato e la voglia di futuro. Non possiamo condannare queste persone ad una morte senza senso, negando loro il diritto alla speranza e ad un futuro migliore. Dobbiamo farci ispirare da figure come Miguel de Cervantes, che proprio all’interno delle mura carcerarie trovò la forza e l’ispirazione per scrivere il Don Chisciotte, al lume di una candela, con una sola mano, perché l’altra l’aveva persa, con una piuma d’oca per penna. Una storia di resilienza di secoli fa che ci insegna che anche nelle situazioni più buie, lo spirito umano può trionfare, se alimentato dalla creatività, dalla speranza e dal desiderio di riscatto. lo credo tantissimo al valore della cultura e dell’arte in contesti di disperazione, perché anche un libro, una storia, un dipinto, può essere linfa di speranza. Possiamo trasformare le carceri in luoghi di cultura, di formazione e di lavoro, dove i detenuti possano riscoprire la propria dignità e costruire un futuro migliore. Dobbiamo investire nel personale carcerario, formandolo adeguatamente e garantendogli gli strumenti necessari per svolgere il proprio lavoro con umanità e professionalità. Dobbiamo garantire ai detenuti un accesso facilitato alle cure mediche e psichiatriche. Dobbiamo riformare il sistema penitenziario, orientandolo verso il trattamento e il reinserimento sociale dei detenuti. Dobbiamo ampliare le possibilità di accesso a misure alternative alla detenzione, che in parte già esistono rendendole però maggiormente fruibili da parte della magistratura di sorveglianza, prevedendo percorsi di riabilitazione individualizzati. Ma accanto a questi progetti lungimiranti oggi c’è bisogno di una risposta più concreta, immediata, dirompente. È dal 2006 che non abbiamo un indulto e non ricordo nemmeno più da quanto non abbiamo un’amnistia e le Camere penali dell’intro territorio nazionale sono nella direzione di una proposta seria che muova in questa direzione di una soluzione immediata. Non possiamo più rimanere inerti di fronte a questa strage silenziosa. È tempo di agire, di alzare la voce e di pretendere un cambiamento radicale. Insieme, possiamo costruire un sistema carcerario più giusto e più umano, dove la vita e la dignità di ogni persona siano tutelate e valorizzate. Concludo ringraziandovi tutti, uno per uno, per esservi uniti a noi in questa battaglia per la civiltà e per il rispetto dei diritti umani. La vostra voce ed il vostro contributo si uniranno a quello di centinaia di altri interventi già offerti su scala nazionale. A differenza di una goccia d’acqua che perde la sua identità quando si unisce all’oceano, la vostra voce non perderà l’identità del vostro singolo e prezioso contributo. Insieme, possiamo fare la differenza.

Aldo Truncè

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