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“La bellezza è quella forza timida che viene fuori nonostante tutto”. Intervista a Daniela Carnevale, autrice della silloge “Bella di notte”

Presenti, sensuali, affamate di vita. Voci di donne appassionate e caldissime si distendono in un raffinato gioco di suoni, irradiando sfumature di femminilità potenti. Il ritmo è eccitato, volitivo, i versi devono farsi rapidi per assecondare secondo sorprendenti cadenze un flusso di pensieri dinamico ed energico, che ha le note piene della carnalità e della decisione di spiriti diversi, attenti e coraggiosi, capaci di ascoltare e che non vogliono mai rimanere passivi. Il dolore ha lasciato tracce sensibili, ma non ha intaccato quanto sta più nel profondo. Le cicatrici che sono il segno del suo passaggio compongono un disegno unico, persistente sull’anima. Per ricominciare poi a fiorire esso non è più da nascondere, bensì da mostrare come una delle parti più sincere di sé. Sincerità che può anche essere contraddizione, in una ricerca incessante della verità intima che torna sui propri passi spesso, tentando di orientarsi in un mondo per sua natura magmatico, dominato dal divenire, imprevedibile in tutto tranne che nella sua incessante urgenza di rinnovamento. I dettagli concreti e quotidiani sono scintille che hanno in sé il fuoco di ricordi intensi, avvolti di emozione, capaci di annullare ogni distanza di tempo e di volontà tra echi languidi e slanci voraci. La vertigine del non trovare riferimenti è talvolta travolgente, e spinge fino al desiderio di annichilirsi. Ma una dolce forza vitalistica torna sempre a innervare i pensieri, ispirata da un distacco ironico e da una consapevolezza che il mondo è in sé trasformazione e nuova generazione.

Intervista all’autrice

Come nasce la silloge Bella di notte?

Stavo lavorando ad un libro quando mi sono detta: che farmene di tutte queste poesie? Perché tenerle nascoste se c’è chi mi dice che sono brava? Si tratta di poesie scritte all’incirca quattro, cinque anni fa tranne qualcuna che è stata scritta lo scorso anno. Tre anni fa era venuto fuori un libro contenente circa sessanta poesie ma la proposta editoriale che avevo ricevuto non mi convinceva e così ho tagliato, modificato, aggiunto ed è venuto fuori questo libro che ho intitolato “Bella di notte” come il titolo della prima poesia contenuta nel libro.

Molte di queste poesie sono nate durante la quarantena perché ho avuto molto tempo libero e quindi molto tempo per ascoltarmi dentro, una delle cose che la ruvidità della vita non mi permette di fare. Faccio molta fatica a non lasciarmi soffocare da quelle che sono le attività quotidiane, ma per scrivere a me serve condurre una vita normale perché tutto quello che vivo è fonte di ispirazione per me. Diventa però complicato ritagliarmi del tempo per scrivere. Il dolore, talvolta, questo tempo me lo ha dilatato. Le parole fluiscono, diventano belle, morbide. Il dolore mi è servito anche per scrivere questo libro.

La femminilità è il nucleo delle tue poesie: quale immagine della donna e della vita hai voluto trasmettere?

L’immagine della donna che ho voluto trasmettere è quella della donna libera, libera di essere chi vuole. Non soltanto forte e invincibile o almeno non agli occhi degli altri. Esiste una libertà femminile che viene prima della libertà di essere forti, invincibili e realizzate, è la libertà di cadere e di non farcela per una volta. È la libertà di essere fragili. Nel libro ho voluto riflettere anche su questa libertà femminile. La fragilità è un atto sovversivo, è un atto di forza. È anche qui che risiede l’emancipazione: decidere di essere. Scegliere la fragilità alla forza presuppone comunque una scelta: io scelgo di essere fragile.

La fragilità, come la forza, arricchisce. La donna vuole e deve essere anche libera di fermarsi per un po’, di cadere e di cercare di capire cosa vuol farne della sua vita. Solo quando la donna attraversa la fragilità non è più ricattabile, né manipolabile perché non è più leggera. Si parla spesso delle difficoltà che hanno le donne di emergere in ambito lavorativo, formativo o familiare o del fatto che la donna, a volte, faccia più fatica perché le vengono tolte delle possibilità. Però, io credo che spesso alla donna venga tolta anche la possibilità di cadere, di fermarsi un momento per capire, per capirsi. Credo che la donna possa essere tante cose e noi dobbiamo accoglierla per quello che è.

Dentro una donna abitano tante donne e alcune di loro siamo costrette a soffocarle. Con la poesia io le rendo libere, ho il mio salvagente e mi ritengo fortunata.

La donna può essere una casalinga e questo non la rende meno emancipata di una donna che lavora. La donna può decidere di starsene chiusa in casa e questo non la fa sottomessa. Se è lei a deciderlo, la donna sta esercitando la sua libertà. E a volte c’è un motivo dietro le sue scelte che non sono dettate per forza di cose da una visione antifemminista. Quello che possiamo fare noi per lei è fare in modo che la donna arrivi a chiedersi: è questo quello che voglio? È qui la rivoluzione. Ognuno di noi dev’essere libero di avere una propria idea di libertà e la libertà risiede nella nostra testa prima che nelle nostre azioni quotidiane. La donna deve avere gli strumenti per capire e decidere da sola o con l’aiuto di qualcuno qual è la sua idea di libertà senza essere giudicata.

Quello che possiamo fare noi è concederle gli strumenti e non sempre lo facciamo. Non lo so se la poesia possa rappresentarne uno. Per me lo è stato. Se ho dei limiti, vorrò superarli ma posso essere libera anche di non farlo? Anche questo significa essere libera, amarsi. È per il mio bene o è la società che vuole che io superi dei limiti? E perché la società conta più di quello che voglio io? La donna non deve eccellere solo perché c’è un uomo o una società che glielo impediscono, la donna deve, per prima cosa, essere. Allora eccellerà, allora potrà esplorare la sua idea di libertà e raggiungerla.

Fra i vari temi uno spazio importante è dedicato anche al cambiamento e alla trasformazione: quali sfumature hai esplorato nei tuoi versi e quale idea emerge a tal proposito?

Gran parte delle poesie inserite nel libro sono state scritte dopo aver metabolizzato delle situazioni complicate. Quando superiamo – in parte – un dolore, una delusione è lì che avviene il cambiamento e la trasformazione. La rivoluzione perché avvenga ha bisogno di una rottura. Dobbiamo accogliere i cocci per capire il nostro valore, per capire che cosa possiamo essere, per conoscere l’interezza. Dobbiamo capire quello che ci manca per arrivare poi ad una integrità che non deve necessariamente corrispondere a quella di un altro individuo. È necessario soffrire. Le belle di notte fioriscono nel buio, ecco l’importanza della resilienza: riconoscere il buono e la luce nonostante il male, il buio.

Nel libro ho voluto magnificare il buio e quindi tutto ciò che ha a che vedere con il nostro buio e quindi i nostri limiti, i nostri timori, i nostri dolori, i nostri scheletri nell’armadio. È un modo per dire a noi stessi che sì, abbiamo paura, sentiamo un grande dolore ma non per questo è sbagliato averne. Il buio ci tempra, ci fa uscire fuori la nostra vera essenza. Dunque le belle di notte sono tutte quelle persone belle ma di una bellezza che non deve necessariamente essere visibile. La bellezza è quella forza timida che viene fuori nonostante tutto. È la bellezza che viene fuori nei momenti difficili e che nessuno può vedere ma c’è e solo noi possiamo saperlo e le rendiamo grazie perché è quella bellezza nascosta che ci rende unici e liberi e ci permette di andare avanti, sempre, trasformandoci di volta in volta.

Quali emozioni, pensieri, sentimenti speri di suscitare nei lettori?

Io ho sempre avuto l’ambizione di dare fastidio, di scuotere. Aver scritto un libro non fa di me una persona più forte o più emancipata di una persona che non l’ha fatto, ma so di avere un posto tutto mio nel quale rifugiarmi. È qui l’emancipazione, è qui la mia forza. È un posto nel quale ho la possibilità di essere me, è un posto nel quale mi interrogo ed interrogo, è un posto nel quale le delusioni prendono un’altra forma e il dolore ha una dignità, è un posto che mi permette di mettermi in gioco, di sporcarmi le mani laddove non era previsto che io lo facessi, è un posto dove sono libera. Io ho detto delle cose perché avevo delle cose da dire e continuerò a farlo anche se quelle cose dovessero essere lette da cinque persone. Poco importa. Io non cambierò quelle cinque persone o forse sì o forse una di loro cambierà idea su qualche cosa o non le scuoterò minimamente ma io ho avuto il mio spazio, il mio momento.

Io saprò che il mio lampo ha avuto il suo cielo nella notte; che poi questo lampo sia stato colto, visto, abbia fatto danni o meno, a me poco interessa, io so che c’è stato perché l’ho voluto. E questo fa di me una persona emancipata, forte, libera: aver voluto. Il fatto che abbia portato a compimento quello che ho voluto, è già qui la mia rivoluzione. E non perché mi accontenti, ma perché sono consapevole del fatto che il cielo è immenso, è lontano, è bellissimo ed essere riuscita anche solo per un attimo a sgualcire un pezzetto di esso col rischio di averlo reso meno bello è molto e questo mi rende felice. Qualora ricevessi dell’affetto e della stima mi sentirei indegna e felice allo stesso tempo. Se ho commesso degli errori – eccome se l’ho fatto – allora vorrà dire che mi sarò accaparrata, ingiustamente, per cecità o sordità o compassione umana qualche complimento immeritato e aver rubato un po’ d’amore di qua e di là. Non la considero una cosa così sgradevole, ho voluto mettermi in gioco e sono felice di aver avuto questa possibilità. Ad ogni modo spero sempre e mi auguro che qualcuna delle mie poesie possa essere per qualcuno la carezza della sera, le parole incastonate dentro al petto e che faticano ad uscire, la leggerezza di un amore che ci abita dentro, la rabbia e il perdono.

Alcune riflessioni sullo stile, la simbologia e il linguaggio poetico di Bella di notte

Io ho cominciato a scrivere quelle che poi ho chiamato poesie pensandole come canzoni. Ed è per questa ragione che sono molto legata alle rime, soprattutto quelle baciate. Ho sempre voluto dare un suono alle strofe che scrivevo. Col tempo ho imparato a discostarmi da questo stile e ho capito che siamo noi a dare un suono alle poesie quando le leggiamo, quel suono non ha quasi mai nulla a che vedere con le rime contenute in un testo ma da quanto silenzio ci offre nel nostro intimo una volta letto quel testo.

Siamo noi a dare un suono alla poesia ed esso dipende da quello che ci suscita, è tutto lì io credo, da come decidiamo di raccontarla una poesia, da come leggiamo una strofa o un verso che possono sembrarci banali ma non lo sono perché condizionati dall’immagine che quella strofa o quel verso fanno nascere dentro di noi.

Come hai affrontato l’ispirazione e il processo creativo nella scrittura della silloge?

È stato bello scoprire che ogni qual volta io riuscivo ad essere quanto più sincera, onesta, leale e autentica nella scrittura, tanto più riuscivo ad arrivare dove volevo arrivare. È stato catartico e drammatico scavare dentro di me così in profondità ma mi è servito a conoscermi e conoscere gli altri.

Come poetessa come ti definisci?

Per rispondere a questa domanda voglio usare le parole di Patrizia Cavalli. Lei una volta ha detto: “m’imbarazza definirmi poeta, c’è qualcosa che non mi torna, preferisco dire che a volte scrivo poesie”. Ecco, condivido appieno queste parole. Anche per me è lo stesso. Per me scrivere significa liberare una parte di me, la parte più pura, la parte più dura, più arrabbiata, più delusa, più vulnerabile, più fragile.  È qualcosa che devo fare, tutto qua. Non scrivere significherebbe commettere un torto a me stessa, ucciderei una parte di me. Ed io voglio vivere.

Stai lavorando a altri progetti?

Sì, ho scritto un’altra silloge poetica, devo sistemare delle cose ed è pronta. Le poesie che vi sono inserite sono molto diverse da quelle contenute in “Bella di notte”, le trovo più dure ed introspettive. C’è una consapevolezza maggiore, più maturità per così dire, almeno dal mio punto di vista. Prima, quando scrivevo una poesia, ero molto attenta a lasciare un messaggio, una speranza. Oggi no, sono più egoista, mi lascio andare e faccio venir fuori quello che voglio senza preoccuparmi di dover lasciare un messaggio o uno spunto di riflessione. Offro solo me stessa.

L’autrice si racconta…

Mi chiamo Daniela Carnevale. Sin da piccola ho sempre amato scrivere: racconti, poesie e canzoni. Ciò mi ha permesso di partecipare per anni ai concorsi letterari regionali e nazionali, ottenendo così vari riconoscimenti tra i quali il Premio Lunezia, dove mi sono classificata al primo posto nella sezione Autore di testo 2021, e la pubblicazione di alcune mie opere in antologie legate a premi letterari.

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