In caso di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di immobili, l’importo del mutuo erogato all’acquirente superiore al prezzo di acquisto dell’immobile è sufficiente a giustificare la rettifica dei corrispettivi dichiarati. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18866 del 10 luglio 2024.
La fattispecie in esame trae origine da un ricorso di una contribuente, socia accomandante di una società immobiliare, che ha impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale un avviso di accertamento che ha determinato un maggior reddito di partecipazione conseguente ad un avviso di accertamento emesso nei confronti della società partecipata.
L’avviso nasce da una verifica fiscale, a seguito della quale l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate ha ritenuto non congrui i corrispettivi delle alienazioni di alcuni immobili ceduti dalla società partecipata ed ubicati all’interno di un complesso immobiliare, sulla base del riscontro tra le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società e l’entità della commissione per la mediazione percepita dall’agente immobiliare, nonché l’importo (di gran lunga superiore rispetto al corrispettivo) dei mutui bancari accesi presso gli istituti di credito.
Il ricorso è stato respinto in primo grado, mentre in secondo grado i giudici della competente Commissione tributaria regionale hanno riconosciuto, in parte, le ragioni della contribuente.
L’Agenzia delle entrate pertanto ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto le ragioni della Amministrazione Finanziaria sulla base del seguente iter interpretativo. La Corte ha precisato che l’erogazione agli acquirenti di mutui di importo superiore al prezzo indicato nell’atto pubblico di compravendita è sufficiente a giustificare la rettifica dei corrispettivi dichiarati, in misura corrispondente a tale prezzo.
Più in particolare, nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione con effetto retroattivo della presunzione semplice, ai sensi dell’articolo 24, comma 5, della legge n. 88 del 2009, che ha modificato l’articolo 39 del Dpr n. 600 del 1973 e l’articolo 54 del Dpr n. 633 del 1972, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dall’articolo 35 del Dl n. 223 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su un unico elemento, purché dotato dei requisiti di precisione e di gravità. L’elemento in questione, tuttavia, non può essere costituito dai soli valori Omi, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, al fine di non incorrere nel divieto di “presumptio de presumpto“.
Al riguardo, si fa presente che ai sensi dell’articolo 2729 cc – rubricato presunzioni semplici – “Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti”.
La Cassazione chiarisce che, in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, dal momento che non si verifica alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova.
La Corte ha inoltre stabilito che la presunzione semplice, per la quale il corrispettivo versato per l’acquisto dell’immobile non può essere inferiore all’importo del mutuo concesso dalla banca, è rafforzata dalle disposizioni sul limite massimo di finanziabilità stabilito con la deliberazione del 22 aprile 1995 del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (Cicr), secondo cui l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario non può superare l’80% del valore dell’immobile oggetto di compravendita (potendo raggiungere il 100% soltanto in presenza di garanzie integrative) nonché dalle regole poste dalla Banca d’Italia agli istituti bancari per concedere finanziamenti di credito fondiario, regole la cui violazione sarebbe lesiva degli interessi degli stessi istituti di credito, tenuti a garantire il capitale dato a prestito con beni il cui valore non può essere inferiore: in base a tali regole, il prezzo di cessione degli immobili non può essere inferiore all’80% dell’ammontare del mutuo contratto.
Nella fattispecie in esame, la Corte osserva come nella sentenza impugnata non si chiarisca quali siano state le reali ed eventuali ulteriori spese degli acquirenti, tali da giustificare da parte delle banche l’erogazione di mutui per importi superiori ai limiti massimi consentiti, mentre il fisco ha modulato la pretesa per i valori occulti tenendo conto dei parametri del Cicr.
La Cassazione lamenta il fatto che il giudice non può limitarsi ad enunciare il giudizio in cui consiste la sua valutazione, dovendosi impegnare anche nella descrizione del processo cognitivo, attraverso il quale è passato dalla sua condizione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto dinamico della dichiarazione stessa.
Inoltre, viene rilevata la sussistenza di un vizio funzionale delle decisioni laddove, nel violare i parametri giuridici in tema di formazione della prova critica ai sensi dell’articolo 2729 c.c, i giudici di secondo grado si siano limitati a svalutare i singoli elementi acquisiti senza accertarne l’effettiva rilevanza in un approccio di sintesi.
La Corte ha già precisato che è di sua competenza controllare se l’art. 2729 c.c, oltre ad essere applicato a livello astratto, lo sia stato anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che risultino o meno ascrivibili alla fattispecie astratta.
Nel caso sia devoluta al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti ricavabili dagli articoli 2727 e 2729 c.c. per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, se il giudice stesso, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso, ove valutati nella loro sintesi.
Nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle entrate, quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, in contrasto con tale principio di diritto, la Commissione tributaria regionale non abbia applicato correttamente la predetta disciplina civilistica, risultando sostanzialmente assertiva e sbrigativa la valutazione fattuale e probatoria effettuata.