Roma 3 sett 2024 – Con la sentenza n. 21870 del 2 agosto 2024, la Corte di cassazione pone un importante principio in tema di legittimazione attiva all’impugnazione, affermando che in tema di processo tributario, il condebitore solidale non può contestare, in sede di impugnazione della cartella di pagamento, l’operatività o meno del raddoppio dei termini (articolo 43, comma 3, Dpr n. 600/1973), vigente ratione temporis, in relazione alla notificazione dell’avviso di accertamento sottostante, notificato al debitore principale, trattandosi di processo radicato in forza di un titolo diverso e successivo al consolidarsi dell’accertamento nei confronti del debitore principale.
Il caso
La controversia in questione origina dalla notifica di alcune cartelle di pagamento nei confronti di una società a responsabilità limitata, quale debitrice solidale per il pagamento di tributi derivanti da iscrizioni a ruolo effettuate nei confronti di altra Srl. La ricorrente beneficiava, infatti, di una quota del patrimonio di tale società a seguito di scissione parziale.
Il giudice di primo grado rigettava tutte le lamentele avanzate dalla parte privata affermando che:
- l’agente della riscossione aveva correttamente notificato le suddette cartelle alla ricorrente ai sensi dell’articolo 25, comma 1, del Dpr n. 602/1973, quale coobbligato solidale con il debitore principale
- l’operazione di scissione in questione era diretta a eludere gli obblighi tributari precedentemente sorti, anche considerando che le operazioni alla base delle riprese erano state contestate come oggettivamente inesistenti
- il fatto aveva rilevanza penale (articolo 11 del Dlgs n. 74/2000)
- non era intervenuta la decadenza dall’azione accertativa per raddoppio dei termini con effetto anche nei confronti della coobbligata solidale
- anche in caso di scissione societaria parziale, per i debiti tributari della scissa relativi a periodi di imposta precedenti all’operazione di scissione, dovevano rispondere solidalmente e illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione.
La sentenza di primo grado veniva confermata dai giudici d’appello. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la contribuente, contestando, tra gli altri motivi di impugnazione, anche la presunta violazione e falsa applicazione degli articoli. 43, del Dpr n. 600/1973, 57, del Dpr n. 633/1972, e 27 della Costituzione, per aver il giudice d’appello affermato che il raddoppio dei termini di accertamento opererebbe anche nei confronti di un soggetto diverso da quello penalmente responsabile. L’Agenzia replicava con controricorso di costituzione per il rigetto dell’impugnazione.
La decisione della Cassazione
Con la sentenza in esame la suprema Corte rigetta il ricorso proposto dalla società contribuente, ritenendo che, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini per la notificazione degli avvisi (articolo 43, comma 3, Dpr n. 600/1973, vigente ratione temporis), in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, andrebbe a operare in relazione all’accertamento e al suo titolo di responsabilità principale, senza estendersi automaticamente al coobbligato solidale destinatario di un autonomo atto di iscrizione a ruolo.
Fissato detto principio di diritto con riferimento al procedimento amministrativo, la motivazione espressa dal giudice di secondo grado è stata corretta dai giudici di legittimità, nel senso che non può la contribuente, in sede di impugnazione delle cartelle di pagamento, utilmente contestare l’operatività o meno del raddoppio del termine (ex articolo 43, Dpr n. 600/1973) in relazione agli avvisi di accertamento sottostanti. Viene così fissato anche il seguente, ulteriore principio di diritto relativo al processo, secondo cui ”in tema di processo tributario, il condebitore solidale non può contestare in sede di impugnazione della cartella di pagamento l’operatività o meno del raddoppio dei termini di cui all’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, vigente ratione temporis, in relazione alla notificazione dell’avviso di accertamento sottostante notificato al debitore principale, trattandosi di processo radicato in forza di un titolo diverso e successivo al consolidarsi dell’accertamento nei confronti del debitore principale”.
Osservazioni
Nella sentenza impugnata in Cassazione, i giudici d’appello, pur pervenendo alla corretta decisione di dismettere la prospettazione della società, hanno erroneamente motivato ritenendo che l’effetto del raddoppio del termine ai fini dell’esercizio del potere impositivo per effetto della rilevanza penale del fatto non sia limitato al debitore principale, bensì si estenda al coobbligato solidale. I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, al contrario, hanno ben evidenziato che il raddoppio del termine opera solo in relazione all’accertamento e al suo titolo di responsabilità principale.
In termini generali normativi segnaliamo che il legislatore ha apportato, tramite l’articolo 37, comma 24, del Dl n. 223/2006, una novella all’articolo 43 del Dpr n. 600/1973 prevedendo, al terzo comma che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
In via parallela, ai fini dell’Iva, per effetto della novella prevista dal comma 25 del citato Dl n. 223/2006, è stato inserito il medesimo capoverso, all’articolo 57 del Dpr n. 633/1972, dopo il secondo comma.
Nella ricostruzione del quadro normativo applicabile, un passaggio fondamentale è fornito dall’interpretazione della Cassazione sulla ratio del raddoppio del termine, che emerge chiaramente allorquando la suprema Corte è stata chiamata a decidere circa il se, ai fini Irap, il raddoppio dei termini può trovare applicazione. La risposta è stata costantemente negativa, in quanto la disciplina introdotta dall’articolo 37 del Dl n. 233/2006 non si applica agli accertamenti relativi all’Irap, poiché le violazioni riferibili a tale imposta non sono idonee a porre in essere fatti penalmente rilevanti (cfr Cassazione pronunce nn. 4775/2016 e 1425/2018). Pertanto, il principio di legalità penale pare presidiare la materia impedendo l’estensione del raddoppio del termine ai in caso di violazioni rilevanti ai soli fini dell’Irap.
Nel caso concreto i giudici di legittimità adoperano la medesima logica, per affermare che l’operare del raddoppio del termine di accertamento dipende indissolubilmente dal fatto che il comportamento tenuto costituisca fatto penalmente rilevante. Secondo gli stessi giudici una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dal comma 2 dell’articolo 25 della Costituzione. Ne discende che, in presenza dei presupposti per la denuncia penale in ragione di una fattispecie di reato, il raddoppio del termine decadenziale non può quindi automaticamente operare nei confronti del coobbligato solidale.
In conclusione, si può affermare che con la sentenza in commento i giudici di legittimità giungono all’affermazione di due importanti principi di diritto: da un lato escludono che il raddoppio del termine decadenziale in presenza delle condizioni per l’effettuazione della denuncia penale possa operare nei confronti del coobbligato solidale. Dall’altro, gli stessi giudici ritengono che, in relazione al processo tributario, il condebitore solidale non possa contestare in sede di impugnazione della cartella di pagamento l’operatività o meno del raddoppio dei termini di cui all’articolo 43, comma 3, del Dpr n. 600/1973, vigente ratione temporis, in relazione alla notificazione dell’avviso di accertamento sottostante notificato al debitore principale, trattandosi di processo radicato in forza di un titolo diverso e successivo al consolidarsi dell’accertamento nei confronti del debitore principale.