Roma – In caso di accertamento nei confronti di società di capitali a base ristretta, la prova contraria da parte del socio non può essere rappresentata dalla mera estraneità rispetto alla gestione sociale, dovendo invece dimostrarsi che i ricavi “in nero” non sussistano oppure che gli stessi non siano stati distribuiti (Cassazione, sentenza n. 21158 del 29 luglio 2024).
La pronuncia della Corte di Cassazione deriva dall’impugnazione della decisione della Ctr delle Marche con cui la Ctr respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro una sentenza della Ctp di Pesaro. Nella sentenza, la Ctp aveva, a sua volta, accolto il ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento concernente l’Irpef relativa all’anno d’imposta 2004. Come emergeva dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo era stato emesso in ragione dell’attribuzione alla persona fisica, socio al cinquanta per cento in una Srl, del quaranta per cento del reddito da partecipazione definitivamente accertato nei confronti della predetta società, in virtù della presunzione di distribuzione degli utili conseguente alla ristretta base sociale.
La Ctr respingeva l’appello erariale, evidenziando che:
- l’atto impositivo era fondato sulla presunzione di distribuzione ai soci degli utili di una società a ristretta base sociale
- tale presunzione ammetteva la prova a discarico, prova fornita dal contribuente (i soci erano in contrasto tra loro; i bilanci non erano stati approvati; il contribuente aveva esperito azioni giudiziarie nei confronti dell’altro socio; il contribuente era stato estromesso dalla gestione societaria fin dall’agosto 2005).
Avverso la citata sentenza della Ctr, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in Cassazione ritenendo che i giudici di secondo grado:
- avessero erroneamente ritenuto che la presunzione di distribuzione degli utili ai soci di una compagine a ristretta base societaria fosse vinta dalla circostanza che il contribuente non era familiare dell’altro socio e aveva dissidi e contrasti con quest’ultimo
- avessero trascurato circostanze rilevanti e idonee a confermare l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili anche nei confronti del contribuente.
I motivi di ricorso proposti dall’amministrazione finanziaria sono stati ritenuti fondati e, pertanto, meritevoli di accoglimento con cassazione della pronuncia impugnata e rinvio ad altra sezione della Ctr Marche.
In linea generale la Cassazione ha richiamato il costante orientamento di legittimità formatosi sull’articolo 39, primo comma, lettera d), del Dpr n. 600/1973 il quale legittima la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Cassazione n. 20851/2005 confermata da Cassazione n. 1924/2008; n. 18032/2013 e n. 10679/2022).
Detta presunzione opera con riferimento allo stesso esercizio in cui gli utili sono stati realizzati (Cassazione n. 25468/2015) e anche in assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extra-bilancio (Cassazione n. 24572/2014). Non è, invece, sufficiente – a parere del Collegio – che il socio si limiti a dimostrare la propria estraneità alla gestione sociale (come affermato dalla pronunce della Cassazione n. 23247/2018 e n. 18042/2018).
Nel caso di specie, il giudice di appello non ha fatto corretta applicazione dei citati principi di diritto. In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto il superamento della presunzione di distribuzione degli utili al socio sulla base dei seguenti elementi indiziari:
- i soci erano in contrasto tra loro, tanto che il ricorrente aveva promosso iniziative giudiziarie, anche penali, nei confronti dell’altro socio
- i bilanci non sono stati approvati
- il contribuente era stato estromesso dalla gestione societaria fin dall’agosto 2005.
Tenuto anche conto dell’anno d’imposta in contestazione (2004), la Cassazione ha ritenuto che le predette circostanze indiziarie non fossero affatto rilevanti.
I contrasti tra i soci, la mancata approvazione dei bilanci e la ritenuta estromissione dalla gestione sociale sono fatti verificatisi in epoca successiva, così come correttamente evidenziato correttamente dall’Ufficio.
In definitiva, il ragionamento presuntivo della Ctr non è legittimo e non può essere condiviso, atteso che sono state valorizzate circostanze di fatto irrilevanti e trascurate circostanze di fatto significative; né risulta essere stata fatta una doverosa considerazione complessiva di tutti gli elementi indiziari acquisiti.