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No alla fusione dei Comuni in Calabria: il valore della storia che la politica elude

di Maria Francesca Carnea

CATANZARO – Il 23 settembre u.s. si è svolto a Catanzaro un incontro sull’ordinamento degli enti locali, presente anche il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha evidenziato l’urgenza di riformare l’assetto istituzionale e amministrativo dei comuni calabresi, rilevando che la frammentazione degli enti locali limita l’efficacia nell’offerta dei servizi pubblici: “In Calabria troppi Sindaci, serve una riforma sui Comuni con pochi abitanti”.

Sembra che la dedizione e servizio al Bene Comune non vada oltre la parola magica ‘fusione’. Seppure sia da anni urgente innovare assetto istituzionale e amministrativo dei Comuni calabresi, si continua a guardare al dito e non alla luna. Il problema dell’inviluppo, della desertificazione, delle risorse fatte esigue, si concentra nella mediocrità, quanto, troppe volte, incapacità amministrativa nel servire gli enti locali, nella gestione delle risorse e nell’erogazione di servizi. Si ha talvolta il sospetto che si vada alla ricerca di soluzioni organizzative a un problema di cui crediamo di sapere tutto, senza però interrogarci realmente a fondo su quali siano le questioni vere alle quali dobbiamo trovare, invece, una risposta.

Credo che l’inabilità a saper sfruttare le economie di scala, incluse le risorse umane locali, incidono sull’indebolimento del ruolo degli enti comunali. Per ottimizzare l’uso delle risorse e migliorare l’efficienza dei servizi è essenziale promuovere formazione, valorizzare professionalità evitando improvvisazione politica. O si crede che la desertificazione dei Comuni nel meridione venga dal desiderio di libertà? Si ha diritto di rimanere nella propria terra se questa offre servizi, opportunità, sviluppo, speranza. Che cosa si trova? I politici nostrani che pensano di spalmare i territori, proponendo teatrini politici indecenti.

Il sistema che sottende la fusione, direziona verso l’appiattimento, ennesimo, delle potenzialità territoriali che, umiliati da anni, e da politiche non valorizzanti, generano idee di buio: la fusione.

La ridefinizione dell’assetto delle amministrazioni deve poter valorizzare i capitali umani intra locali, favorire i servizi, ingegnarsi, quindi, non verso la semplificazione del proprio lavoro, ma iniziare a sudare il proprio mandato. Non bisogna confondere la cittadinanza, cui è più che plausibile dare voce: non è una concessione o un favore che si fa, fino a prova contraria siamo parte, anche in Calabria, di una Repubblica democratica. Sono persuasa che per giustificare i costi, non si devono compromettere le storie dei territori. Migliorare, non è tagliare pezzi di autonomie, scremare territori, confondendo, vincolando al ricatto per assicurare i servizi o avere agevolazioni. Sia chiaro: Fusione è una cosa, compartire Servizi è altra e, questa sì, più nobile cosa, scrupolosa, rispettosa dei territori della Calabria e dei suoi cittadini. La nostra Calabria è terra di sole, l’ho sempre definita mistica per gli aspetti di profondità spirituale che ha maturato, nonostante i ‘nonostante’ in cui versa. Le strategie politiche, in genere, s’impegnano per superare le criticità dei territori, mancanza di servizi locali, assistenza sanitaria, inviluppo economico che non libera le aree di sviluppo per il lavoro. La modernizzazione delle amministrazioni comunali in Calabria, più che partire dalle fusioni, dovrebbe dire effettivamente a cosa si va incontro con la stessa, e forse, ancora prima, capire cosa significa ‘modernizzazione’.

Non si può pensare di scaricare sulle comunità, un disastro creato da chi non ha saputo amministrare, o lo ha fatto per apparentamenti di potere a beneficio di bacini di voti da gratificare. La gente ha perso fiducia nella politica proprio per questo sistema di noncuranza, ed è sbagliato il sistema culturale per cui dall’alto si sceglie ciò che solo dal basso si può capire, è questo sistema che occorre cambiare.

La storia dei Comuni ha un valore, una storia poderosa di cui se ne elude spessore. Grandi pensatori francesi della restaurazione costituzionale come Benjamin Constant e Alexis de Tocqueville, teorizzarono con tanta forza l’importanza del pouvoir municipal. Non è dato campanilistico, è Cultura, è Identità di cui i territori non possono essere espropriati, tantomeno per far quadrare conti ancora oggi non quadrati, vedi fondi pnrr persi. Ergo: la politica della Regione Calabria vuole e o no pensare, e con fatti concreti, alla propria gente, soprattutto del Crotonese, provincia assai stanca di bande festaiole, di marketing alchemico, mentre muore di disservizi?!

Come si arriva a pensare che i Comuni si debbano fondere perché sono troppi i Sindaci? È così che i costi quadrano, e s’incrementano i servizi? Il problema di base, in questa nostra bella e dissacrata terra di Calabria è l’insana formazione politica degli amministratori, molte volte di uso ‘terzi’ che deve destare allarme, sono le competenze da potenziare, un Sindaco è il riferimento primo in ogni Comunità, riveste una responsabilità di cui deve saper essere all’altezza, e per tutti i suoi compaesani con cui è chiamato a dialogare. I Comuni non sono poveri, direi che sono stati impoveriti da improvvisati alla politica ma non al potere. La politica delle elargizioni, beneficenze solidali, lavori pubblici, non ha fatto che favorire gruppi coalizzati di avidi speculatori, e nei diversi settori. Accanto alle grandi fortune feudali, le opere pubbliche in Calabria hanno favorito una nuova classe di ricchi i quali non hanno fatto altro che rinforzare la vecchia feudalità succedendole o alleandovisi.

Non ho fatto mai mistero, e ho espresso contrarietà alla fusione dei piccoli Comuni, facendone emergere inconsistenza già quando la stessa si prospettava con la Giunta Regionale presieduta da G. M. Oliverio, e si paventavano ombre tra Cirò (Chone) e gli amici di Cirò Marina (Crimisa). Non è la soluzione dei problemi, è una mera toppa di mescolanza che confonde ogni senso di evoluzione. A mio avviso è soluzione di poca lungimiranza politica, e spiego il perché.

La passione vera al bene comune è fedele a se stessa, in coerenza di pensiero poiché ciò che entra dentro al cuore, nell’intelletto non muta. L’esperienza storica narra che da quando i cittadini hanno ritenuto che fosse compito della comunità organizzata provvedere ai bisogni essenziali legati alla sussistenza e al benessere minimo delle persone, è sempre ai Comuni che essi hanno guardato. Il Comune, in sé, è una Istituzione che affonda le sue radici nella identificazione con una comunità che in esso si riconosce. Sostanzialmente l’organizzazione territoriale dei Comuni italiani riflette ancora quella originaria degli Stati preunitari, con pochissimi casi di modifica. Questo spiega la distribuzione numerica così diversa fra Regione e Regione, e spiega anche perché il numero dei Comuni italiani, pur certo molto elevato, non ha confronto con quello, per esempio, della Francia. Ciò spiega anche perché il solo Piemonte, Regione che ancora oggi porta i segni di un’organizzazione comunale operata dai Re sabaudi a imitazione del modello francese, conti 1.181 Comuni sul totale di 7.904 in tutta Italia, pur essendo il Piemonte per popolazione poco più di 4 milioni su un totale di quasi 58 milioni di italiani. La stessa Francia con i suoi oltre 34.000 Comuni testimonia di una resistenza che persino Napoleone non riuscì a superare. Si potrebbe dire che il Comune italiano, così come quello francese, è oggi il reperto istituzionale vivente più antico, che ha superato indenne ogni trasformazione ordinamentale. Nessun’altra istituzione ha una storia così antica e così forte: viene da epoche così lontane, ed è riuscita a rimanere attraverso i secoli radicata e intatta nella coscienza dei suoi abitanti.

Ciò che illumina la comprensione della dialettica, è l’invito rispettoso a pensare con il supporto di elementi di ragionevolezza. Fare tesoro della storia è opportuno: i Comuni, piccoli o grandi che fossero, nelle loro autonomie, sono stati, dall’anno 1000, le prime forme di società di sviluppo, e si fondano su principi opposti a quelli del feudalesimo, poiché prevedevano la partecipazione di tutta la popolazione, con le loro singole peculiarità. Mi piace riaffermare quanto il Costituente del 1948 scrisse all’art. 5 della Costituzione Italiana: “La Repubblica riconosce e promuove le Autonomie locali”, così diede ai Comuni italiani l’attestazione più significativa e importante che si potesse dare: quella di riconoscerli, e dunque di sapere che essi “venivano prima” della Repubblica, arrivavano dal passato. Non solo: quello stesso art. 5, stabilendo al secondo comma che “la Repubblica adegua i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”, riconobbe anche che essi erano e restavano forti e vitali, pronti a reggere la sfida del futuro.

Ogni riflessione sui Comuni, e soprattutto sui piccoli Comuni, va fatta sempre alla luce di questa consapevolezza e nel rispetto profondo di questa dimensione. Occorre realisticamente interrogarsi su cosa sia questa dimensione territoriale, in che cosa consista questo attaccamento quasi antropologico della popolazione rispetto al proprio Comune.

Chi avanza politiche di fusione, avalla confusione tra termine ‘Fusione’ e termine ‘Servizi’, questi ultimi sì, necessari per i cittadini, servizi assenti proprio grazie alle politiche del confondiamo e tralasciamo. Più che parlare della fusione, si dovrebbe dire a cosa si va incontro. E, attenzione: non nasciamo con una identità, l’identità è un dono sociale, ce la danno gli altri, è frutto del riconoscimento maturato neo tempi, cui ogni Comune può caratterizzarsi. Es.: se si parla del Comune di Cirò, il mondo intero conosce il suo prodotto identitario principe, cioè il Vino. Per questo occorre sapere, formare, conoscere il territorio, alimentare una sana comunicazione. E sono persuasa che il migliore investimento sia mutare sistema culturale, valorizzare la ricerca storica, autentica, in ogni Comune, inesplorata la nostra Calabria è da scoprire nelle sue meraviglie. In ogni Comune si può alimentare, attivandoli, fucine di sapere, valorizzando risorse professionali locali su cui investire, instillando fiducia: siamo seduti su un tesoro di territorio che permane inesplorato. Per esempio indagare su: il Comune di Cirò quando è nato? Quale documento lo attesta? Oppure: siamo sicuri che una delibera di Comune decreti l’esistenza di un altro Comune limitrofo, o è necessario un atto giuridico dell’Assessorato degli Enti locali da far approvare dall’Ente Regione? La conoscenza della storia rafferma identità, nobilita territori. Ecco, iniziare a essere meno approssimativi e più consapevoli di ciò che siamo e l’origine di cui ci facciamo portatori sani implementa al discernimento e valorizzazione della qualità del territorio, poiché migliorare è possibile oltre lo status quo che ha ingenerato l’involuzione cui assistiamo.

E, con Corrado Alvaro: “La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile”, e qui bisogna essere onesti intellettualmente per rafforzare il territorio, secondo strade che non liquidino cittadini, storia, identità, ma riconoscano che i talenti e le potenzialità in loco sono al centro delle politiche di sviluppo.

Trovo del tutto contraddittorio avversare la riforma dell’Autonomia Differenziata proposta dal Governo e pensare contestualmente di debellare autonomie con la fusione di Comuni.

Ergo: porsi domande è fondamentale per il divenire umano, cercare risposte è necessario, fino al possibile, al probabile razionale. E, dire di no all’imperfetto politico umano, è facoltà possibile e coerente. Luce d’intelletto chiede ragionevole contributo all’edificazione umana, all’edificazione dei territori, non alla fusione degli stessi. Le identità acquisite sono un privilegio da preservare sine tempore, alle capacità politiche il compito di tutelarle.

 

Maria Francesca CarneaFilosofa, Consulente Strategie di Comunicazione, già Docente invitato presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo in Roma, Membro Ordinario della Cattedra della Pace – Progetto educativo a supporto delle Nazioni Unite. Autrice di pubblicazioni a carattere storico, filosofico, socio-politico.

 

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