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In aumento l’indice di povertà assoluta in Italia

ROMA – Oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si contano 5 milioni 694mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie (l’8,4% dei nuclei). E’ quanto emerge dal rapporto della Caritas su povertà ed esclusione sociale in Italia presentato.
Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale, risulta ancora il più alto della serie storica, non accennando a diminuire. Se si guarda infatti ai dati in un’ottica longitudinale, dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare.

In Italia più che nel resto d’Europa le difficoltà economiche sembrano destinate a perpetuarsi di generazione in generazione. Chi è cresciuto in famiglie svantaggiate tende a trovarsi, da adulto, in condizioni finanziarie precarie. Un circolo vizioso che colpisce il 20% degli adulti europei tra i 25 e i 59 anni che, a 14 anni, vivevano in una situazione economica difficile. In Italia, il dato sale al 34%, segno di un’eredità che pesa sul futuro. Valori più alti di povertà ereditaria si raggiungono solo in Romania e Bulgaria (Eurostat).

LE FAMIGLIE POVERE RADDOPPIANO AL NORD

Una questione tutt’altro che meridionale: dal 2014 al 2023, infatti, il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506 mila nuclei a quasi un milione (+97,2%); se si guarda al resto del Paese la crescita è stata molto più contenuta, +28,6% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il dato nazionale è di +42,8%). Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente. L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9% del Nord), anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2%.

POVERTÀ MINORILE AL 13,8%, AI MASSIMI STORICI

Accanto alla questione “settentrionale”, un altro nodo da richiamare è quello della povertà minorile, che da tempo sollecita e preoccupa. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori oggi è ai massimi storici, pari al 13,8%: si tratta del valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età. Lo svantaggio dei minori è da intendersi ormai come endemico nel nostro Paese visto che da oltre un decennio l’incidenza della povertà tende ad aumentare proprio al diminuire dell’età: più si è giovani e più è probabile che si sperimentino condizioni di bisogno. Complessivamente si contano 1milione 295mila bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore.

POVERI ANCHE CON UN LAVORO

Accanto alla povertà minorile, un altro elemento di allarme sociale che si coglie dagli ultimi dati Istat rilasciati lo scorso 17 ottobre, riguarda i lavoratori: continua infatti a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego. Complessivamente tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato (dal 14,7% del 2022). Quest’ultimo in particolare è un dato che spaventa e sollecita, segno emblematico di una debolezza del lavoro che smette di essere fattore di tutela e di protezione sociale.

“SENZA AIUTI 331 MILA FAMIGLIE, RIPRISTINARE IL SOSTEGNO UNIVERSALE

Il passaggio alle nuove misure contro la povertà, Assegno di inclusione e Supporto alla Formazione e al lavoro (che tra il 2023 e il 2024 hanno sostituito il Reddito di Cittadinanza), segna un cambiamento profondo nell’approccio alla povertà: con queste misure, il diritto a ricevere sostegno non è più garantito “solo” in base alla condizione di povertà. Lo afferma il Rapporto 2024 su Povertà ed esclusione sociale di Caritas italiana, diffuso oggi.
Ora l’ADI (ad oggi percepito da 697.640 famiglie) è destinato solamente a nuclei familiari con persone non occupabili, come minori e disabili, mentre il SFL pè riservato a chi è ritenuto occupabile e richiede percorsi formativi per il reinserimento lavorativo. Questa distinzione ha ridotto della metà il numero di famiglie raggiunte rispetto al RDC, lasciando senza supporto 331.000 nuclei, molti dei quali sono residenti al Nord, vivono in affitto o sono nuclei monocomponenti, categorie escluse per via dei nuovi criteri in vigore.
Sebbene esista una clausola di accesso per chi è in “condizione di svantaggio” (come senza dimora o vittime di tratta), il numero di beneficiari rimane limitato a causa di iter burocratici lunghi e vincolanti. A livello territoriale, l’ADI mostra una copertura maggiore nelle regioni del Sud, ma solo in alcune aree la misura raggiunge un’incidenza significativa (fino al 7%), mentre al Nord, dove la povertà è in crescita, l’incidenza dell’ADI non supera l’1%. Nel frattempo, il ruolo della Caritas è diventato cruciale: durante la transizione, molte famiglie si sono trovate senza sostegno e hanno dovuto fare affidamento su di essa. Anche per chi riceve la misura il supporto nel contatto con i servizi pubblici è diventano fondamentale per orientarsi tra procedure complesse e burocrazia digitale.
La Caritas, che sta monitorando l’attuazione delle nuove misure, sottolinea fin d’ora l’urgenza di ampliare la copertura di ADI e SFL, migliorare la chiarezza e semplificare l’accesso, auspicando il ripristino di un sistema di sostegno universale e continuativo che eviti l’esclusione delle tante persone in povertà assoluta presenti nel nostro paese. (www.dire.it – Agenzia Dire)

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