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Tratto da una storia vera: “L’ultima crociera” di Chiara Clini tra storia e ombre della Seconda Guerra Mondiale

Londra, 1940. Jacopo Abramo Errera, giovane ebreo veneziano, ha abbandonato l’Italia per sfuggire alle retate del governo fascista. Dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini, però, il governo inglese lo etichetta come nemico e collaboratore del regime. Il suo è il destino di moltissimi innocenti che hanno raggiunto il Regno Unito: Churchill ha ordinato di rastrellare italiani, tedeschi e austriaci senza distinzione. Così, dopo un breve periodo di detenzione in un campo di prigionia, oltre mille uomini vengono imbarcati sull’Arandora Star, una nave da crociera pronta a dirigersi oltreoceano per allontanare la minaccia. Harriet fa parte della Aliens Advisory Committee, la commissione incaricata di giudicare i cosiddetti “stranieri nemici”. Ha partecipato all’interrogatorio di Jacopo e ha letto nei suoi occhi l’innocenza, oltre che l’anima di un uomo buono e sincero. Se ne è innamorata subito, e vuole salvarlo. Inizia così una disperata e difficile corsa contro il tempo. Wolfgang è un marinaio dell’U-boot che punta i siluri contro la Arandora Star. Stringe tra le mani una copia logora di Moby Dick e passa le giornate d’immersione a pensare che il suo comandante, Gunther Prien, si sia trasformato in Achab, il folle capitano del Pequod. Nel cuore della tragedia, quando l’equipaggio di Prien è pronto a fare fuoco contro la nave, il destino dei tre protagonisti si sovrappone. Chiara Clini, all’esordio nel romanzo, costruisce un affresco storico di grande portata, un commovente e intenso racconto a più voci.

L’ultima crociera, Chiara Clini, Piemme 2024.

Intervista all’autrice

L’ultima crociera racconta una tragedia storica poco conosciuta. Cosa l’ha spinta a trasformarla in un romanzo e quali sono state le principali fonti di ricerca?

Il naufragio dell’Arandora Star, o meglio, la storia dello zio Guido che morì in mare dopo aver donato il suo salvagente ad un altro giovane naufrago, è la prima storia che ho sentito raccontare da mia madre. Ero piccola e ho scoperto molti anni dopo che la mia storia di famiglia si inseriva nella tragedia più grande della Seconda Guerra Mondiale, degli italiani arrestati in Inghilterra perché stranieri e dunque nemici, e che insieme allo zio Guido c’erano moltissimi innocenti, come il segretario della Lega dei Diritti Umani, Decio Anzani, famoso antifascista ed anche intellettuali ebrei come Uberto Limentani. Moltissimi altri naufraghi poi, come lo zio Guido, provenivano da Bardi, il paesino della montagna parmense da cui erano partiti, 5, 10 o 15 anni prima per andare a lavorare in Inghilterra. A Bardi, dov’è nata mia mamma, il comitato pro vittime, da circa vent’anni si è impegnato molto per far conoscere questa storia e ha promosso ricerche storiche che sono state alla base del mio lavoro di scrittura, in particolare i volumi di Maria Serena Balestracci. Preziosissimo il materiale raccolto da Alfio Bernabei, le testimonianze raccolte in rete dai sopravvissuti al campo di Bury e molti altri testi storici. Mi sono servita poi del diario di bordo del Korvettencaptain Gunther Prien, comandante del sommergibile U 47.

La narrazione del romanzo si sviluppa attraverso tre voci distinte: Jacopo, Harriet e Wolfgang. Qual è il significato di questa scelta e cosa sperava che i lettori provassero attraversando le prospettive così differenti dei protagonisti?

Al centro del mio romanzo c’è il rapporto con l’altro vissuto come nemico. Ma chi è veramente il mio nemico? Ho cercato di mettermi nei panni di tutti gli attori di questa storia e mi è sembrato giusto che per primi a confrontarsi fossero un uomo e una donna. Ognuno di loro non è quello che sembra. Jacopo non è fascista, è ebreo. E Harriet, non è né eroina, né santa, cerca di fare solo il suo dovere e quando si trova a interrogare Jacopo sente il peso  degli ordini che ha ricevuto: non può lasciar libera una spia. Ma quando scopre la sua innocenza fa veramente di tutto per salvarlo. È come se Euridice cercasse di liberare Orfeo dagli inferi. Ma dal punto di vista storico il vero nemico era il pericolo nazista. Gunther Prien, il capitano decorato da Hitler in persona, è centrale in questa storia perché è lui che lancia l’ultimo siluro contro il transatlantico che affonderà in 35 minuti. Ma anche per raccontare l’equipaggio del sottomarino di Prien ho sentito il bisogno di approfondire e non semplificare. Ho letto testimonianze di semplici marinai coinvolti loro malgrado nella follia del Reich e della guerra. Il male, come diceva Hannah Harendt è spesso, molto spesso solo banale e Wolf è insieme carnefice e vittima.

La Seconda Guerra Mondiale e le sue atrocità fungono da sfondo per la trama. Come è riuscita a raccontare le ingiustizie e le difficoltà di quel periodo senza perdere il senso di speranza e umanità che permea i suoi personaggi?

Ho cercato, come dicevo nella risposta precedente, di infilarmi le scarpe di tutti i personaggi e di conoscerli nella loro vita quotidiana, nelle loro paure, insicurezze, nei loro desideri. Ho letto splendidi romanzi ambientati nella Seconda Guerra Mondiale, da Graham Greene a Helen Humprey, Elizabeth Jane Howard, David Grossman, Vassily Grossman e ho cercato di imparare da loro, di studiare i loro personaggi e cercare di restituirne la loro umanità.

Qual è il messaggio che spera di trasmettere ai lettori attraverso la sua storia?

Io credo che dovremmo guardare all’umanità che c’è in ognuno di noi, a quello che ci unisce e non   a quello che ci allontana. Non è l’essere straniero l’uno all’altro che ci rende nemici e quelli che vengono da lontano, lasciano le loro case e si stabiliscono da noi (come hanno fatto moltissimi miei parenti emigrati in Inghilterra nel secolo scorso ma non solo, mia nonna è nata infatti a Buenos Aires) lo hanno fatto perché spinti dalla necessità di sopravvivere, perché cercavano una vita migliore. Non è facile andarsene dal proprio paese. La nostalgia e il dolore della lontananza ci accompagnano. Vorrei che non ci dimenticassimo di questo perché questo dolore ci ha riguardato e ci riguarda. E poi, dato che è una storia di mare, vorrei che si ricordasse che la legge del mare, da tempo immemorabile, è che ogni naufrago deve essere salvato. Non importa di che nazionalità sia o quale sia il colore della sua pelle.

In che modo crede che i temi affrontati possano risuonare con il mondo di oggi?

Credo che la questione dell’immigrazione che tanto ci spaventa oggi, tornata ancora più attuale con l’elezione di Trump che vuole deportare gli stranieri come gli italiani che il 2 luglio 1940 sono partiti da Liverpool per essere deportati in Canada, sia purtroppo attualissima. Come rimane attuale l’equazione straniero nemico. Che contesto con tutta me stessa. E purtroppo è attualissima anche la questione della legge del mare.

Con il suo esordio nel romanzo storico, ha creato una narrazione intensa e complessa: quali sfide ha affrontato nel dar vita a una storia che fonde finzione e realtà storica?

La parte più difficile è stata armonizzare tre voci e tre personaggi provenienti da mondi completamente diversi.  All’inizio ho lavorato soprattutto su Jacopo e Harriet ma, appena nati, questi due personaggi sembravano appartenere a mondi narrativi, stili di scrittura e psicologie diverse e non conciliabili. Ho lavorato per farli incontrare. E alla fine, quando ormai era maturo anche Wolf, mi sono accorta di avere messo insieme Abramo, Agar e Ismaele.

Biografia dell’autrice

Nata a Parma, Chiara Clini è attrice di teatro e sceneggiatrice.
Diplomata in recitazione all’Accademia dei Filodrammatici di Milano, ha lavorato con il Teatro Stabile di Bolzano, di Venezia e con Nuova Scena di Bologna. Nel 2002 è Ilse ne I giganti della montagna per la regia di Nanni Garella. Laureata in Lettere con una tesi sulla drammaturga Sarah Kane, ha scritto per numerose serie televisive Rai e Mediaset, fra cui Nati ieri, Codice rosso, Un amore, Una vendetta. Nel 2024 ha scritto l’adattamento drammaturgico del racconto vincitore del Campiello Giovani, in scena a Padova. Un suo prozio, Guido Conti, ha vissuto in prima persona la tragedia dell’Arandora Star.

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