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Esdebitazione, giro di vite per i debitori in malafede

Roma – La Corte di giustizia europea, nella sentenza del 10 aprile 2025, causa C-723/2023, ha stabilito che la normativa Ue relativa alle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una legge nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione, se il debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori di un terzo e sia stato dichiarato “interessato” nella dichiarazione giudiziale di insolvenza fraudolenta del terzo.

Una coppia di coniugi erano gli amministratori di due società, oggetto di una procedura in esito alla quale sono state dichiarate insolventi, in modo fraudolento. In entrambe le procedure, detti soggetti, nella loro qualità di amministratori in solido di tali società, sono stati identificati come “interessati” dalla qualificazione e sono stati privati del diritto di amministrare i beni altrui, nonché di rappresentare chiunque per un determinato periodo (cinque anni in una delle procedure e sette anni nell’altra). Peraltro, essi hanno perso tutti i diritti che detenevano in quanto creditori dell’insolvenza o della massa delle stesse società. Inoltre, sono stati condannati, congiuntamente e in solido, al pagamento del deficit patrimoniale delle due società, nonché alle spese del procedimento. Avendo avuto difficoltà a rimborsare tali somme, uno degli amministratori ha avviato un procedimento di accordo di pagamento stragiudiziale dinanzi alla Camera ufficiale di commercio, industria e navigazione spagnola di Gijón. Poiché tale procedimento non è sfociato nella conclusione di un accordo, l’istante ha depositato una domanda di dichiarazione di insolvenza dinanzi al Tribunale di commercio di Oviedo, il quale, con ordinanza, ha dichiarato l’insolvenza personale dell’amministratore e ha qualificato tale insolvenza come “fortuita”.

Nell’ambito della procedura di insolvenza avviata nei suoi confronti, l’amministratore ha presentato una domanda di esdebitazione dei debiti non pagati. L’Agenzia delle entrate spagnola si è opposta a tale domanda facendo valere che l’insolvenza rientrava nell’eccezione prevista all’articolo 487, paragrafo 1, punto 4, del Testo consolidato della legge fallimentare spagnola e ricordando che l’amministratore era stato dichiarato “interessato” nell’ambito delle richiamate procedure di insolvenza, che le insolvenze in questione erano state qualificate come “fraudolente” e che l’amministratore non aveva interamente assolto la propria responsabilità.

Quest’ultimo, di contro, ha sostenuto, da un lato, di essere un debitore in buona fede nei confronti dei propri creditori e che il fatto di essere stato dichiarato “interessato” nella procedura di insolvenza delle società di cui era amministratore in solido, nella sua qualità di fideiussore, non limitava il suo accesso all’esdebitazione nei confronti dei suoi creditori. D’altra parte, l’eccezione prevista all’articolo 487, paragrafo 1, punto 4 della legge fallimentare spagnola, in quanto istituisce una responsabilità oggettiva che non può essere ponderata, sarebbe contraria al sistema istituito dalla direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, il quale richiederebbe la presa in considerazione delle circostanze soggettive in cui si trova il debitore, al fine di determinare se quest’ultimo sia stato disonesto.

Le questioni pregiudiziali sottoposta alla Corte
Manifestando dubbi sulla compatibilità della normativa fiscale nazionale con il diritto europeo, il Tribunale di commercio di Oviedo, sospeso il procedimento, ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione debba essere interpretato nel senso che esso osta a una norma nazionale come l’articolo 487, paragrafo 1, punto 4, del Testo consolidato della legge fallimentare spagnola, che ha incluso nella nozione di “condotta disonesta o in malafede” del debitore le condotte di quest’ultimo nei confronti dei creditori di terzi, diversi da quelli inclusi nell’elenco dei creditori della procedura fallimentare del debitore stesso in quanto persona fisica
  • se l’articolo 487, paragrafo 1, punto 4 del Testo consolidato della legge fallimentare sia conforme all’articolo 20 della direttiva 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione e che modifica la direttiva 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza), nella misura in cui prevede una deroga nella procedura di seconda opportunità che preclude un esito di esdebitazione integrale
  • se l’articolo 487, paragrafo 1, punto 4, del Testo consolidato della legge fallimentare sia conforme all’articolo 20, paragrafo 2 e al considerando 79 della direttiva 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, nella misura in cui la norma nazionale non contempla la situazione individuale del debitore, prevedendo una deroga oggettiva, senza che i giudici spagnoli possano valutare le circostanze soggettive del debitore che accede alla procedura di seconda opportunità.

La risposta degli eurogiudici
La Corte di giustizia premette che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza prevede che gli Stati membri mantengono o introducono disposizioni che negano o limitano l’accesso all’esdebitazione o che revocano il beneficio dell’esdebitazione o che prevedono termini più lunghi per l’esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi quando, “nell’indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti”, l’imprenditore insolvente ha agito, in particolare, “nei confronti dei creditori” in modo disonesto o in malafede.

Detta disposizione contiene un’indicazione temporale indiretta quanto al momento in cui il debitore deve aver agito in modo disonesto o in malafede, vale a dire “nell’indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti”, il che consentirebbe di ritenere che i creditori di cui a detta disposizione siano quelli che possono essere determinati sia nel momento in cui il debitore interessato si è indebitato, sia nel corso della procedura di insolvenza, sia al momento del rimborso dei debiti. Tale indicazione temporale può essere intesa nel senso che essa depone a favore di un’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, secondo la quale il termine “creditori” riguarda unicamente i creditori nei confronti dei quali il debitore si è direttamente e personalmente indebitato, ossia “i propri” creditori, e non quelli che, inizialmente, erano creditori di un terzo e che sono divenuti creditori del debitore solo a seguito di una sentenza che ha dichiarato tale debitore “interessato” dall’insolvenza fraudolenta del terzo. Tuttavia, nei limiti in cui una persona che agisce in qualità di amministratore di una società la cui insolvenza è stata qualificata come fraudolenta sa che, conformemente alla normativa nazionale applicabile, essa può essere dichiarata “interessata”, ai sensi di tale normativa nazionale, e, quindi, divenire il debitore dei creditori di tale società, questa persona non può ignorare che i creditori nei confronti dei quali decide di impegnare detta società sono potenzialmente i propri creditori. Pertanto, in un simile caso, una condotta disonesta o di malafede nei confronti dei creditori della stessa società e quindi dei suoi potenziali creditori personali deve essere assimilata a una condotta disonesta o di malafede nei confronti dei propri creditori.

Per quanto riguarda, poi, il contesto in cui si inserisce l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, i togati comunitari rilevano che tale disposizione costituisce la prima di una serie di disposizioni derogatorie al principio dell’accesso a una procedura che può condurre a un’esdebitazione totale e che, pertanto, essa deve essere interpretata restrittivamente.

Orbene, poiché il legislatore dell’Unione ha deciso di imporre agli Stati membri di mantenere o di introdurre tale deroga a detto principio e non si è limitato a concedere loro un margine di discrezionalità al riguardo, occorre adottare un’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza che consenta, per quanto possibile, di impedire che debitori che hanno agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi possano beneficiare di un’esdebitazione.

Per quanto riguarda, poi, continua la Corte, l’obiettivo dell’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre una deroga all’accesso all’esdebitazione “quando il debitore è disonesto o ha agito in malafede”, senza limitare ulteriormente, in tale considerando, la cerchia dei creditori nei confronti dei quali il debitore avrebbe tenuto una condotta disonesta o di malafede.

Infatti, per quanto riguarda specificamente gli elementi di cui occorre tener conto per stabilire se un debitore sia stato disonesto, il legislatore ha fatto riferimento, ad esempio, alla natura e all’entità dei debiti; al momento in cui questi debiti sono sorti; agli sforzi compiuti dall’imprenditore per estinguerli e ottemperare agli obblighi giuridici, comprese le autorizzazioni e la necessità di una corretta contabilità; alle iniziative intraprese dall’imprenditore per vanificare le azioni di rivalsa dei creditori; all’adempimento degli obblighi che incombono, nel caso di una probabilità di insolvenza, all’imprenditore che è dirigente di una società; al rispetto del diritto dell’Unione e nazionale in materia di concorrenza e lavoro.

Ebbene, tale elenco, che non ha carattere tassativo, non contiene alcuna indicazione secondo cui la cerchia dei creditori, nei confronti dei quali il debitore ha agito in modo disonesto o in malafede, sarebbe in qualche modo limitata e non includerebbe le persone che erano inizialmente i creditori di un terzo e che sono divenute i creditori di tale debitore a seguito dell’insolvenza fraudolenta del terzo. Dall’altro lato, gli elementi così elencati coprono un’ampia gamma di situazioni e sono redatti in termini che consentono di ritenere che il legislatore dell’Unione intendesse ricomprendere la condotta di un debitore nei confronti sia dei propri creditori, sia dei creditori di un terzo, come la società di cui tale debitore era amministratore.

Pertanto, alla luce dell’obiettivo così evidenziato, l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza non può essere interpretato nel senso che una persona che è stata riconosciuta responsabile dell’insolvenza fraudolenta di una società commerciale possa sottrarsi alla responsabilità solidale che essa ha, in forza del diritto nazionale, nei confronti dei creditori di tale società chiedendo l’apertura di una procedura di insolvenza personale e, nell’ambito di tale procedura, l’esdebitazione integrale dei suoi debiti.

Esdebitazione e circostanze di esclusione

Nell’esaminare la seconda e la terza questione pregiudiziale sottoposte, gli eurogiudici osservano che, per quanto concerne, in primo luogo, la questione di stabilire se l’articolo 23, paragrafo 2 della direttiva menzionata osti a una normativa nazionale che esclude l’accesso a una procedura di esdebitazione in circostanze diverse da quelle elencate in tale disposizione, la giurisprudenza europea ha già statuito che deve essere interpretata nel senso che l’elenco di circostanze ivi contenuto non ha carattere tassativo e che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità che consente loro di introdurre disposizioni che negano o limitano l’accesso all’esdebitazione, revocano il beneficio, o prevedono termini più lunghi per l’esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi in circostanze diverse da quelle elencate dalla disposizione in argomento, purché, come risulta dal tenore letterale di detta disposizione, tali circostanze siano ben definite e simili deroghe siano debitamente giustificate.

Per quanto riguarda, poi, le condizioni alle quali è subordinato l’esercizio della facoltà così accordata agli Stati membri, vale a dire che le deroghe da essi introdotte riguardino !determinate circostanze ben definite” e siano “debitamente giustificate”, la Corte di giustizia ha statuito che, quando il legislatore nazionale adotta disposizioni che prevedono simili deroghe, i motivi devono risultare dal diritto nazionale o dalla procedura che ha condotto a queste ultime e che tali motivi devono perseguire un legittimo interesse pubblico.

Al riguardo, la Corte ricorda che, da un lato, la direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza fa riferimento alle deroghe “debitamente giustificate da motivi stabiliti dal diritto nazionale” e menziona un motivo “debitamente giustificato a norma del diritto nazionale”: quindi, il legislatore dell’Unione ha ritenuto sufficiente che fossero rispettate le modalità previste a tal fine nelle diverse normative nazionali. Dall’altro lato, la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che l’articolo 23, paragrafo 2 della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza non osta a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in determinate circostanze ben definite, quali la situazione in cui, nei dieci anni precedenti la domanda di esdebitazione, un debitore sia stato sanzionato con una decisione amministrativa definitiva per una violazione molto grave in materia tributaria, una violazione della previdenza sociale, un’infrazione di ordine sociale, o qualora sia stato oggetto di una decisione definitiva di estensione della responsabilità, a meno che tale debitore, alla data di presentazione di tale domanda, abbia interamente assolto i suoi debiti tributari e previdenziali, purché dal diritto nazionale risulti che una simile esclusione è giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare.

La stessa conclusione si impone – secondo i togati comunitari – alla luce di una disposizione nazionale come l’articolo 487, paragrafo 1, punto 4 del Testo consolidato della legge fallimentare spagnola, il quale prevede che un debitore che, nel corso dei dieci anni precedenti la domanda di esdebitazione, sia stato dichiarato “interessato” in una sentenza che ha qualificato l’insolvenza di un terzo come “fraudolenta”, potrà ottenere l’esdebitazione solo a condizione che, alla data di presentazione di tale domanda, egli abbia assolto tutti i debiti rientranti nella sua responsabilità.

Nel caso concreto, il legislatore spagnolo ha esposto i motivi che l’hanno indotto a prevedere deroghe all’esdebitazione, riferibili alla buona fede del debitore ma, comunque, un debitore, pur in buona fede, non può avere accesso a un’esdebitazione integrale per i debiti che, “in via eccezionale e a causa della loro natura speciale, sono considerati non legalmente ammissibili all’esdebitazione”.

Pertanto, nella questione in esame, il giudice del rinvio deve valutare, da un lato, se tali motivi costituiscano motivi di legittimo interesse pubblico e, dall’altro, se dalla normativa nazionale risulti che detti motivi hanno giustificato l’esclusione di un’esdebitazione in circostanze ben definite come quelle enunciate nella normativa spagnola di riferimento.

Quanto, infine, alla questione di stabilire se l’articolo 23, paragrafo 1, osti a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in circostanze ben definite e senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se il debitore interessato ha agito in modo disonesto o in malafede, la Corte di giustizia osserva che, se è vero che tale disposizione riguarda espressamente gli imprenditori insolventi che abbiano agito “in modo disonesto o in malafede”, una simile menzione manca al paragrafo 2 di tale articolo. Infatti, l’articolo 23, paragrafo 2, si limita a prevedere che gli Stati membri possano mantenere o introdurre disposizioni che negano o limitano l’accesso all’esdebitazione, revocano il beneficio, o prevedono termini più lunghi per l’esdebitazione integrale o periodi di interdizione più lunghi “in determinate circostanze ben definite e nei casi in cui tali deroghe siano debitamente giustificate”, senza tuttavia esigere l’esistenza di un comportamento disonesto o in malafede da parte degli imprenditori interessati. Ebbene – secondo la Corte – atteso che l’articolo 23, paragrafo 2, non osta, secondo la giurisprudenza europea, a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in circostanze ben definite in cui il debitore non ha agito in modo disonesto o in malafede, si deve ritenere che tale disposizione non osti neppure a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione in simili circostanze senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se il debitore interessato abbia agito in modo disonesto o in malafede.

Quindi, l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere disposizioni nazionali che escludono l’accesso alla procedura di esdebitazione in situazioni che non sono caratterizzate da un comportamento disonesto o di malafede del debitore interessato senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se tale debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede.

Tuttavia, il legislatore dell’Unione ha espressamente subordinato l’esercizio di tale facoltà alle condizioni che le deroghe previste nella medesima disposizione si riferiscano a “determinate circostanze ben definite” e siano “debitamente giustificate”. Ne risulta che, quando il legislatore nazionale introduce disposizioni che prevedono simili deroghe, i motivi di tali deroghe devono risultare dal diritto nazionale o dal procedimento che ha condotto a queste ultime e detti motivi devono perseguire un legittimo interesse pubblico. Il diritto nazionale deve, in definitiva, consentire di individuare il motivo di legittimo interesse pubblico che giustifica, in tali circostanze ben definite, l’esclusione di un’esdebitazione.

Conclusioni
L’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che esclude l’accesso all’esdebitazione qualora il debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede nei confronti dei creditori di un terzo e sia stato dichiarato “interessato” nell’ambito della dichiarazione giudiziale di insolvenza fraudolenta del terzo.

Il paragrafo 2 della norma menzionata, inoltre, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede una deroga al principio dell’accesso a una procedura che può portare a un’esdebitazione non prevista da tale disposizione e che esclude tale accesso qualora, nel corso dei dieci anni precedenti la domanda di esdebitazione, il debitore sia stato dichiarato “interessato” in una sentenza che ha qualificato l’insolvenza di un terzo come “fraudolenta”, a meno che, alla data di presentazione di tale domanda, egli abbia assolto tutti i debiti rientranti nella sua responsabilità, senza che i giudici nazionali siano chiamati a valutare soggettivamente se tale debitore abbia agito in modo disonesto o in malafede, purché tale esclusione sia debitamente giustificata a norma del diritto nazionale.

 

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