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Quarantena e riflessioni sulla vita, intervista all’autore Fabrizio Caramagna: «L’aforisma ci aiuta a conoscere noi stessi»

Siamo in quarantena da oltre un mese da quando è iniziata l’emergenza coronavirus, e mai come in questo momento ci siamo ritrovati così vicini con noi stessi, lontano dal frastuono quotidiano a cui eravamo abituati. Questo periodo, nonostante i mille disagi di vivere isolati dal mondo, ci sta dando un’occasione unica per riflettere sulla nostra vita, e cercare il senso profondo delle cose e del periodo storico che stiamo vivendo.

Ne abbiamo voluto parlare insieme a un grande autore italiano dei nostri tempi, Fabrizio Caramagna, che della riflessione ha fatto uno stile di vita attraverso i suoi aforismi, piccole perle di saggezza e meraviglia. L’aforisma, infatti, come dice lo stesso autore, è capace di mettere «in discussione i nostri schemi e stereotipi abituali. E ci aiuta a conoscere noi stessi». Quale momento migliore per farlo?

Fabrizio Caramagna, torinese, classe 1969, è uno degli aforisti viventi più citati d’Italia, fondatore del sito Aforisticamente.com e scrittore di libri di successo come “Il numero più grande è due” (Mondadori, 2019), unico romanzo al mondo fatto solo di aforismi. Le sue perle di saggezza da anni fanno il giro del mondo e del web e sono tradotte in undici lingue. L’autore ci racconta come sta vivendo questo periodo attraverso la sua lente di grande osservatore, sollevando importanti riflessioni e raccontandoci del suo mondo, l’aforisma, e dei suoi progetti futuri.

Fabrizio, per prima cosa come sta? E come sta vivendo questa quarantena?

«Sto bene. In realtà non sto facendo niente di molto diverso da prima, leggo e scrivo come facevo prima. Sono una persona solitaria e quindi le mie abitudini non sono mutate. Però sento dentro di me questa ansia leggera ma costante. Un’ansia relativa non tanto alla paura del virus quanto alla situazione economica che seguirà. E poi per la perdita di libertà. La democrazia è fondata su due pilastri, la libertà di parola e quella di movimento, e in questo momento ci viene a mancare un pilastro fondamentale della democrazia. Anche andare a trovare i propri genitori adesso non è possibile se non per comprovate necessità».

A livello sociale e umano cosa pensa di questa perdita di libertà che stiamo vivendo?

«A livello sociale siamo passati da una società globale a una società confinata nella propria casa: da un allargamento degli spazi a un restringimento totale. Un restringimento dello spazio a cui corrisponde però, a livello umano, un allargamento dello spazio dell’anima e della coscienza. In questo periodo di quarantena ci sono persone che stanno guardando le serie su Netflix, ma anche altre che stanno riflettendo sulla vita e sulla morte, sul senso del mondo e tante domande che prima non ci facevamo. Stiamo riscoprendo di essere mortali, di non essere invincibili. Stanno cambiando le cose. Prima eravamo una società di narcisisti, dove quello che contava era mostrare sé stessi, apparire, far vedere il proprio successo, la propria potenza. Ora abbiamo riscoperto il senso di comunità, l’apertura verso l’altro. Quando i cinesi ci hanno donato le mascherine a marzo hanno preso una frase di Seneca che diceva: “Siamo onde dello stesso oceano, foglie dello stesso albero, fiori dello stesso giardino”. Se pensiamo a questa frase riusciamo davvero a comprendere tutto quello che stiamo vivendo. Siamo tutti uguali, e siamo tutti sulla stessa barca».

Cosa pensa di questo virus? Si è fatto un’idea riguardo alla sua origine, a ciò che può averlo provocato?

«Io credo che il vero virus sia l’uomo. In questi anni l’uomo non ha fatto altro che disboscare foreste, distruggere ecosistemi. In Australia a gennaio sono morti un miliardo di animali a causa degli incendi! Questo virus è una delle conseguenze del disboscamento; mancando gli animali, che non ci sono più perché l’uomo li ha ammazzati, il virus ha fatto il salto dall’animale all’uomo. La natura, nel momento in cui si è sentita aggredita, è come se si fosse “ribellata”. Questo coronavirus ci sta dicendo che non possiamo più continuare a usare e sfruttare la natura come abbiamo fatto finora. È come il surriscaldamento climatico. Servono nuove politiche per la salvaguardia dell’ambiente e dell’umanità».

Parlando sto scoprendo che le piace documentarsi e riflettere su tanti argomenti. Come mai ha scelto proprio l’aforisma per spiegare il suo pensiero? Cos’è per lei l’aforisma?

«Spiegare l’aforisma è difficile. Ci hanno provato centinaia di autori, ma l’aforisma sfugge a qualsiasi definizione, perché si trova ovunque: nei romanzi, nelle preghiere, nelle poesie, nelle battute. Io vedo l’aforisma come una specie di formula per spiegare i misteri dell’universo, un po’ come la formula di Einstein per spiegare la teoria della relatività. Ogni volta è come se, scrivendo un aforisma, cercassi una verità che mi sfugge. A me piace perché in poche parole si possono esprimere pensieri profondi, e la concentrazione massima è un processo molto intenso e complesso. Oggi tutti devono scrivere libri di 400 pagine, io invece dico che i pensieri possono essere espressi anche in poche righe, questo è l’aforisma».

A volte però si confondono le frasi brevi (talvolta banali) con gli aforismi. Come si fa a riconoscere un aforisma?

«L’aforisma è un pensiero semplice, comprensibile ma mai banale. È una frase che porta alla luce qualcosa che noi avevamo già dentro di noi e leggendolo diciamo “È proprio così”. Ma l’aforisma è anche un pensiero divergente, che ci fa vedere la realtà da un punto di vista inedito, originale. L’aforisma poi fa anche arrossire, ci fa domandare “Ma questo sono io?”, perché ci fa scoprire i nostri difetti. È la capacità di concentrare l’universo in un granello di senape, questa è la sua bellezza. E credo che sia inconfondibile da qualsiasi pensiero banale. Anche tra corto e breve c’è differenza. Questa è l’epoca della brevità, ma molto spesso si confonde il breve con il corto. Scrivere corto non significa scrivere un aforisma. Il breve rispetto al corto ha una sua concentrazione, è una cosa folgorante, che colpisce, che scuote. È questa la bellezza dell’aforisma. L’aforisma è quel qualcosa che ti fa sobbalzare dalla sedia».

Sta dicendo aforismi mentre me li spiega, è incredibile!

«Io parlo, mangio, dormo e sogno in modo aforistico. E la differenza con un romanzo, ad esempio, è che l’aforisma è continuamente incentrato su sé stesso, è una continua interrogazione su chi siamo, sui nostri vizi, sulle nostre virtù, sulla nostra sofferenza, sulla nostra felicità, sulla morte. L’aforisma è un cammino verso la saggezza, è guardarsi dentro».

A proposito di romanzo, lei ha scritto “Il numero più grande è due”, che non è una raccolta di aforismi ma un romanzo vero e proprio. Perché ha scelto questo genere?

«Ho scelto questo genere perché è più leggero, la gente legge molti romanzi. Gli aforismi invece si leggono con più fatica, perché sono una continua riflessione, è come una ginnastica mentale. E questo è il motivo per cui il mio primo libro che ho pubblicato per Mondadori è un romanzo fatto solo di frasi brevi e di aforismi ma è un romanzo, perché c’è una trama. Il lettore ha bisogno di una trama. Ma è anche il primo romanzo al mondo fatto solo di aforismi e poesie, non ce ne sono altri in giro. È un esperimento inedito».

E come si sente ad essere l’autore di questo primato?

«In realtà mi sento poco apprezzato, perché nessun giornale nazionale ha messo in risalto questo primato tutto italiano. Si parla tanto di migliaia di libri, ma di un esperimento così innovativo non ne ha parlato quasi nessuno».

Perché, secondo lei?

«Per sapere quanti libri di un autore sono stati letti o quante persone sono andate a vedere un film ci sono dei dati statistici, ma per sapere quanto un autore è citato e chi è il più citato in Italia non ci sono rilevazioni. Io posso dire di essere uno dei più citati: in rete e sui social la gente mi cita continuamente, anche senza sapere chi sono. Perché, però, un autore di best-seller finisce sui giornali e un autore citato continuamente no? Perché la citazione dovrebbe avere un valore inferiore rispetto alla vendita di un libro? Forse è su queste domande che bisogna riflettere per capire il perché della mia “celebrità invisibile”».

Riguardo ai suoi progetti futuri ha qualcosa in cantiere?

«Sì, il mio prossimo libro “Se mi guardi esisto” dovrebbe uscire il 28 luglio, sempre per la Mondadori. È una storia d’amore anche questa, ma con riflessioni a trecentosessanta gradi su altri temi, in particolare sul tema dell’immigrazione. È un libro sull’empatia, sulla solidarietà, contro il razzismo, contro l’egoista indifferenza, è un libro sul prendersi cura del prossimo. È una storia d’amore, che nasce su un sito di incontri: nella prima parte viene fuori tutta la falsità e l’apparenza di internet, invece nella seconda parte la storia si sposta in un campo profughi, dove il protagonista conosce un’attivista svedese che si occupa di accoglienza dei rifugiati. Il primo romanzo (“Il numero più grande è due”, ndr) è amore allo stato puro, questo invece ha diversi temi e molte riflessioni. È sempre un romanzo fatto di aforismi e frasi brevi come il primo, ma è decisamente più narrativo».

In questo periodo quali sono gli argomenti più citati dei suoi aforismi?

«Diciamo che i miei aforismi sono “stagionali”, che a seconda del periodo vengono citati. Ad esempio in inverno vanno forti le frasi sulla neve, in primavera le frasi sui fiori (“Ogni fiore che sboccia ci ricorda che il mondo non è ancora stanco dei colori” è uno degli aforismi più gettonati), sugli alberi, sulla natura sono un must, d’estate invece le frasi sul mare. In questo periodo oltre agli aforismi stagionali ci sono quelli sull’amore, sull’amicizia, sulla vita, ma anche sulla solitudine, sulla paura di amare, sull’addio, sulla separazione».

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