Roma -E’ stata pubblicata la relazione finale della “Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria”, istituita dal ministro dell’Economia e delle Finanze e il ministro della Giustizia, che il 30 giugno scorso ha concluso i lavori, condotti con il presupposto che la “riforma strutturale della giustizia tributaria” è una delle priorità d’azione del Governo (. Il documento mette a fuoco le criticità esistenti nel processo tributario e le proposte di misure e di interventi legislativi, elaborate nell’obiettivo di migliorare la qualità della risposta giudiziaria e l’efficacia e l’efficienza del sistema, nonché di ridurre i tempi del processo.
Nella relazione sono delineati i compiti specifici che sono stati attributi alla Commissione interministeriale:
– di tipo ricognitivo, relativamente alla legislazione vigente e al contenzioso pendente presso i giudici di merito e il giudice di legittimità, ossia la Corte di Cassazione
– di tipo propositivo in senso ampio, in vista di “possibili misure e interventi normativi”
– di tipo precettivo, mediante la formulazione di disposizioni legislative che possano essere incluse “in atti del Governo o del Parlamento”
– di referto sulle attività svolte, verso i Ministri, inclusa la relazione finale, da trasmettere entro il 30 giugno 2021.
La relazione fa sapere che, per svolgere tali compiti nel modo più efficiente e spedito, la Commissione si è riunita dieci volte, sempre in modalità telematica, ha costituito al proprio interno due sottocommissioni, che si sono riunite sei volte, e ha collocato i dati normativi e di fatto man mano acquisiti e le proposte di legge depositate in Parlamento su un’apposita piattaforma informatica.
I componenti della Commissione, ricordiamo, sono stati Giacinto della Cananea (presidente), Fabrizia Lapecorella (vicepresidente), Massimo Guido Antonini, Pietro Bracco, Clelia Buccico, Margherita Cardona Albini, Gianni De Bellis, Andrea Giovanardi, Enrico Manzon, Sebastiano Maurizio Messina, Domenico Pellegrini, Ernesto Maria Ruffini, Livia Salvini, Maria Vittoria Serranò, Luca Varrone, Glauco Zaccardi.
Inoltre, hanno partecipato alle audizioni il primo presidente della Corte di Cassazione, il presidente del Consiglio di Stato, i rappresentanti della Corte dei conti e vari esperti. Vi hanno preso parte, inoltre, i rappresentanti del Consiglio nazionale forense, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e di numerose associazioni di magistrati, di professionisti e di studiosi.
La prospettiva dell’Ue e la criticità della giustizia tributaria
La relazione mette in luce che spesso ci si rivolge ai principali partner europei anche per trarne spunti per il riordino della giustizia tributaria. Al riguardo, è possibile individuare tre modelli fondamentali nel sistema delle tutele: quello inglese degli “administrative tribunals”, quello francese che unisce le controversie amministrative e fiscali, quello tedesco che distingue i vari ambiti della giurisdizione (civile, amministrativo, finanziario, sociale).
L’ampio ricorso alla giurisdizione per dirimere le dispute tra i contribuenti e il Fisco è, però, una peculiarità dell’ordinamento italiano. Gli altri principali Paesi si affidano a strumenti e a procedure più o meno definiti dalle leggi, ma comunque più elastici e meno costosi non solo per i singoli contribuenti, ma per l’intera collettività.
Le criticità, infatti, che emergono presso le commissioni tributarie regionali sono:
– la notevole complessità e variabilità della normazione, che influisce negativamente sulla certezza del diritto
– il deficit di conoscenze attorno alla giurisprudenza di merito
– la durata del processo
– l’insufficiente livello di specializzazione dei giudici
– le dimensioni quantitative del contenzioso tributario
– la diffusa percezione di una imperfetta indipendenza dei giudici tributari.
Lo stato attuale della giustizia tributaria solleva più di una problematica quanto alla compatibilità con i criteri generali condivisi a livello europeo, non solo sotto il profilo temporale. Da una parte, non consente ai cittadini e agli imprenditori di operare in un contesto normativo analogo, altrettanto favorevole, rispetto a quello disponibile negli altri principali paesi europei, e dall’altra non agevola l’amministrazione finanziaria nell’espletamento dei suoi compiti. Una riforma ad ampio raggio, strutturale, sembra, si legge nella relazione, urgente, oltre che necessaria.
Le direttrici della riforma
L’azione riformatrice della giustizia presenta una notevole importanza sotto tre profili distinti, ma connessi, che abbracciano sia le finalità alla base delle quali il Governo ha presentato la richiesta, sia le sollecitazioni che provengono dall’Ue, sia le linee di azione e gli interventi legislativi che possono essere giustificate o assumere senso e significato unicamente nel quadro di una tale riforma.
Per l’attuazione della riforma sono sette le direttrici di azioni, di ciascuna delle quali nella relazione vengono delineati i lineamenti essenziali:
– intervenire sui procedimenti tributari, ampliando il contraddittorio e il ricorso all’autotutela
– migliorare l’offerta complessiva di giustizia, con correttivi agli strumenti deflattivi del contenzioso, in particolare la conciliazione giudiziale
– colmare il deficit di informazione sulla giurisprudenza dei giudici tributari
– rafforzare la specializzazione dei giudici tributari
– consolidarne, al tempo stesso, l’indipendenza
– apprestare migliori difese processuali degli interessi in gioco
– migliorare l’offerta di giustizia all’interno del giudizio di legittimità.
Le proposte
La prima parte della relazione punta gli occhi sullo stato attuale della giustizia tributaria e i correttivi possibili, riportando le audizioni effettuate dalla Commissione tra maggio e giugno 2021, i dati statistici del contenzioso tributario, l’analisi della mediazione tributaria, i tratti comuni delle proposte di legge sulla giustizia tributaria negli anni 2013-2021, a cui seguono monografie dedicate a diversi aspetti del contenzioso.
La seconda parte prende in esame le proposte di interventi legislativi elaborate dalla Commissione, corredate da corpose relazioni illustrative.
Tante le soluzioni prospettate e tra queste spicca la proposta del riconoscimento normativo, con carattere di generalità, del diritto del contribuente al contraddittorio, inserendo la norma nello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212/2000), anche per assicurare la sua applicazione da parte degli enti impositivi non statali. La Commissione, sul punto, ricorda che il diritto del contribuente al contraddittorio endoprocedimentale ha sì il fine di consentire all’interessato di anticipare la sua “difesa” rispetto all’eventuale fase contenziosa, ma ha anche lo scopo di consentire all’autorità fiscale di conoscere elementi di fatto e/o di diritto che assicurano un più fondato e legittimo esercizio del potere impositivo. In questi termini, il contraddittorio può avere un significativo effetto deflattivo sul contenzioso tributario, oltre ad essere naturalmente espressione di civiltà giuridica.
Il legislatore, richiama la relazione, ha recentemente emanato l’articolo 5-ter del Dlgs n. 218/1997, tesa ad assicurare il contraddittorio con riferimento ai principali tributi erariali. La norma attualmente in vigore, che riconosce con maggiore ampiezza il diritto al contraddittorio, è l’articolo 12 dello Statuto, per il quale il contribuente, dopo il rilascio del processo verbale di verifica, ha diritto di presentare entro 60 giorni deduzioni difensive che devono essere valutate dall’autorità fiscale, dandone conto nella motivazione dell’eventuale atto impositivo successivamente emesso. L’atto emanato senza l’osservanza di tale termine è nullo.
Nello stesso passaggio è avanzata anche una seconda proposta sul tema, in via subordinata e con modifica dell’articolo 5-ter citato, che escluderebbe dall’invito obbligatorio gli avvisi di accertamento parziale di cui all’articolo 41-bis del Dpr n. 600/1973, che siano fondati esclusivamente sui dati presenti in anagrafe tributaria. Ciò in linea con la circolare n. 4/2021 con cui l’Agenzia delle entrate rappresenta agli uffici l’esigenza di “valorizzare al massimo le occasioni e gli strumenti di contraddittorio preventivo”.
La relazione interviene anche sull’inammissibilità dell’impugnazione degli estratti di ruolo, intervento che si rende necessario, come si legge nella nota di Ruffini, per l’enorme proliferazione, negli ultimi anni, di controversie, innanzi alle Commissioni tributarie, ai Giudici di pace e alla Magistratura ordinaria, di impugnazione degli estratti di ruolo e della conseguente determinazione di ingenti costi gestionali e amministrativi per il presidio dei relativi contenziosi. Ferma restando l’impugnabilità della cartella, la relazione si sofferma sull’analisi della natura dell’estratto, che non costituisce un atto di riscossione e non contiene, per sua natura, nessuna pretesa esattiva, né impositiva e non ha una natura direttamente lesiva della sfera patrimoniale del debitore. Ebbene, la proposta prevede la sua non impugnabilità, garantendo comunque i diritti dei debitori che potranno impugnare il primo atto di riscossione a essi notificato.