CIRO’ (KR) Si impreziosisce la conoscenza e storia di Cirò: in un documento del 1769, custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli*, troviamo argomento significativo per la storia reale di Cirò, utile alla conoscenza della Comunità, e alla Cultura del territorio. Narra particolarmente le vicende legate alla Chiesetta sotto il Titolo di S. Cataldo. L’importante documento rischiara periodo in cui tracce del culto emergono a dare valore anche alla storia nel territorio.
Prima di addentrarci nella sua lettura, occorre aprire piccola parentesi consultando il testo* di Giovan Francesco Pugliese in cui, scrivendo delle, cosiddette, quattro porte di Cirò: Mavilia, Scezzari, Cacovia e Falcone, diede riferimenti su stemmi e santi ricordati, tra essi, però, non viene menzionato San Cataldo che, invece, vedremo, dalla disamina del documento, è presente. Pugliese scrive: di Mavilia, al prospetto esterno vi erano i seguenti stemmi: al mezzo, le armi del Sovrano, a destra quelle del feudatario, a sinistra lo stemma dell’Università rappresentante una Gru che posa sopra tre monti, un piede alzato, collo inarcato in atto di beccare un serpe che sta ritto. La parte interna, è coperta a lamia, e vi eran dipinti i santi Francesco da Paola, ed Antonio protettori. Nel prospetto della porta di Scezzari, invece, si vedevano gli stemmi regi, e quelli del feudatario, e nell’interno, che era anche a lamia, dipinti lo Spirito Santo, S. Rocco, S. Leonardo, S. Francesco da Paola, S. Antonio e la Concezione. La porta di Cacovia, epoca in cui, dice, già possedevasi Cirò in feudo dalla famiglia Spinelli, nell’interno conteneva l’effigie dei SS. Giuseppe e Nicodemo. La porta di Falcone, con interno a lamia, conteneva l’effigie di S. Francesco e S. Antonio. (pp. 35-36).
Menziona in seguito che: le tre chiesette di S. Lorenzo, S. Cataldo, e Carmine, essendo di Patronato particolare, i rispettivi Patroni ne han cura. Lo stesso s’intende per la Chiesa della Madonna di Mare. (p. 259).
Pugliese indica nel riferimento a porta Mavilia la presenza dei dipinti dei santi Francesco da Paola e Antonio come protettori di Cirò. La storia, e sua documentazione, ci illumina ricordandoci che Cirò ha due Santi Patroni: San Francesco da Paola e San Nicodemo da Sikròs, che ne sono anche protettori insieme a S. Antonio da Padova.
Dall’Archivio di Stato di Catanzaro, si desume che:
- nel protocollo del notaio Nasca Filippo, che comprende gli anni dal 1630 al 1634, e precisamente nell’atto al foglio 567, datato 6 giugno 1634, redatto a Cirò nel convento di S. Francesco di Paola, si legge: Li giorni passati (cioè il 1° maggio 1634) fu proposto e concluso in pp.co (pubblico) parlamento che se ricevesse e se prendesse per Patrono e Protettore di detta t.ra (terra) il glorioso San Francesco de Paola.
- Dal protocollo del notaio Blefari Giovan Domenico relativo all’anno 1665, f. 327, risulta che l’Università del Cirò il 13 settembre 1663 in pubblico e general parlamento elesse S. Antonio di Padova suo Protettore, cioè fu concluso in detto pubblico parlamento che si debba ricevere il detto miracoloso s.to Ant.o per Protettore di detta Patria del Cirò, e suoi cittadini, et habitanti, con obligo di sollennizzare la festa ogni anno à 13 di Giugno nella Chiesa dé Patri Con.li (Conventuali) di detta terra, cioè nella Chiesa del Convento di S. Francesco d’Assisi.
- Atto del notaio Giuseppe Fortuna del 14 gennaio 1696, presso l’Archivio di Stato di Catanzaro, da fogli 1-2v del relativo protocollo. Carlo Francesco Spinelli, Principe di Tarsia e Marchese di Cirò, avanti al notaio, al regio giudice e ai testimoni, presenta una reliquia, cioè una mascella con due molari del Corpo di S. Nicodemo, abate basiliano che visse nella terra di Mammola. Il vicario diocesano, visti gli attestati sull’autenticità della reliquia prelevata dal Corpo di S. Nicodemo e sulla venerazione verso tale Santo, in data 14 gennaio 1696, dal palazzo vescovile di Cirò, concede il suo beneplacito e la proclamazione di S. Nicodemo a Patrono e Protettore di Cirò.
Di altri patronati o protettorati di santi non se ne ha conoscenza in Cirò, mentre la devozione popolare nei secoli ha acuito sentimento votivo sia verso il Santo Vescovo Cataldo, sia verso Santa Rita da Cascia.
Dal documento che andiamo a considerare, e che attiene la Chiesa di San Cataldo, possiamo evincere date, riferimenti, fondatore, eredi, quindi lascito all’Università di Cirò. Siamo nel 1642, anche tempo in cui vigeva il Padronato di Cappellania che veniva, con accurata attenzione, concessa dall’Ordinario del luogo su esplicita richiesta. Capita così, che si possa arrivare a capire di più circa il culto verso San Cataldo, a quale tempo risale la devozione in Cirò e nella sua marina.
Il documento verte sulla natura di un Padronato di Cappellania laicale fondato dal fu Pietro Trusciglio di Cirò, sotto il Titolo di S. Cataldo a’ 25 Settembre dell’anno 1642. L’uno, cioè, D. Antonio Caporale stà nella ferma credenza, che tal Padronato non sia stato fondato, se non da trasmetterli col titolo semplicemente ereditario, onde crede che egli come Cappellano istituito e presentato dall’Università di Cirò, quale legataria di detto Padronato a lei lasciato dalla fu Lucrezia d’Amico nel 1754, che fu l’ultima erede del fondatore, debba venire manotenuto per Cappellano della Cappellania suddetta, come alla medesima da legittimo Padrone presentato. Crede dall’altra parte tutto il contrario il suo avversario D. Alessio Casoppero: imperciocchè suppone che l’anzidetto Padronato sia per diritto di sua fondazione familiare, e gentilizio non solamente per la famiglia discendiva d’esso fondator Trusciglio, ma anche per la sua famiglia contentiva non solo per li mascoli, ma ben anche per le femine e loro eredi, e successori in perpetuum; onde conchiude che tal Padronato si appartenga per la voce attiva ad esso lui, come discendente per linea materna dalla fu Francesca Trusciglio sorella germana del fondatore, il quale ad essa con titolo ereditario tal Padronato lasciò. […]
FATTO DELLA CAUSA
Vi fu nella Città di Cirò una Cappella col titolo di S. Cataldo, la quale abbandonata e non curata incominciò a rovinare; così che ne’ principi del secolo passato ritrovavasi già diruta. Pietro Trusciglio mosso da pia divozione volle riedificarla, con costituirle una congrua dote sì per lo di lei decoroso e convenevole mantenimento, come per quello del Cappellano, il quale a divini uffici attender dovea. Poiché l’ebbe riedificata, e dotata, ne pretese il Padronato e perciò nel 1641 con sua supplica all’Ordinario, domandò che conceduto gli fosse della suddetta il Padronato, “tanto ad esso lui quanto a’ suoi eredi e successori, e che potesse a suo libero arbitrio presentare per Cappellano in detta Chiesa quel Sacerdote che gli parerà, etiam che fosse Chierico in minoribus. Quello presentato si abbia da confirmare dagl’Illustriss. Sig. Vescovo pro tempore. Fol. 15”. In sequela di ciò verificossi dal Vicario l’esposto ed indi poi a’ 25 Settembre 1642 ne seguì la concessione.
[…] Aveva il fondatore della supplica domandato all’Ordinario, che il Cappellano presentato dovesse essere perpetuo; e così furono i Cappellani antecedenti al Sacerdote Leonardo Vencia. Ma poiché vide che tali perpetui Cappellani sulla fiducia di non poter venire amossi, poco curavano il decoro, ed il servizio di detta Chiesa; quindi pensò esso fondatore, rappresentando tali inconvenienti all’Ordinario, dimandare la permissione di essere tali cappellani ad nutum, ed amovibili: e il Vescovo accertatosi già della verità dell’esposto, aderì a tale supplica, con alterare la natura di tal cappellania, rendendola, per rispetto al suo Cappellano, amovibile ad nutum, dall’essere ch’ella prima avea di perpetua: il che seguì nell’anno 1657. […]
Lasciò, esso testatore, erede universale la Francesca Trusciglio sua germana, moglie di Cesare Perrotta, dal qual matrimonio questa ne fu la descendenza. […] Detta Francesca Trusciglio, erede del fondatore, tramandò con titolo ereditario il Padronato anzidetto a Giovanni ed Eleonora Perrotta di lei figli, che detta Eleonora lasciò di lei eredi D. Francesco e D. Domenico d’Amico di lei nipoti nati dalla sorella premorta Lucrezia Perrotta; e che il predetto D. Francesco d’Amico lasciò di lui erede D. Domenico di lui fratello germano, che ad esso lui sopravvisse; che in di poi detto D. Domenico d’Amico venuto a morte abbia istituito suoi eredi quattro figli legittimi e naturali che a lui sopravvissero per nome Giovanni, Lucia, Ippolita e Lucrezia; che i tre primi passati da questa a miglior vita di tempo in tempo lasciando superstite Lucrezia d’Amico juniore di loro sorella germana, l’abbiano istituita loro erede e che questa, venendo a morte nel 1754, abbia istituito erede il Clero di Cirò, ed alla suddetta Università articolante abbia lasciato il Padronato di detta Cappellania di S. Cataldo; che in seguela di tal testamento l’Università suddetta, precedenti pubblici editti, abbia nominanto per Cappellano il suddetto D. Antonio Caporale. […] Detta cappellania di S. Cataldo possegga nella Città di Cirò per sua dote una gabella di terre aratorie, luogo detto Aridonnici; di più nel luogo detto le Piante due pezzetti di terre; nel luogo detto Rudi altro pezzetto di terre, e nel luogo detto Puzzacchia una clausura di piantagione di olivi: che di più? Nel medesimo luogo altre terre libere, e nel luogo detto sotto il Vescovado due piedi di gelsi, che per censi enfiteutici possegga annui carlini ventuno, e per censo bullare un capitale di ducati cento venti dovuto dal Mag. Nicodemo Marino di detta Città, che frutta annui ducati nove, e carlini sei. Questa è la pruova per l’identità de’ beni, che a detto Padronato, come per sua dote, s’appartengono.
Riguardo Donna Lucrezia D’Amico, nel testo del Pugliese si legge: Non debbo però passare sotto silenzio, che la ricca gentil donna Lucrezia d’Amico designava di convertire la di lei casa di abitazione in Monastero di donne, ma non so se deviò pensiero, o fu prevenuta dalla morte. Tale abitazione è quella in faccia alla porta Scezzari, detto Palazzo di Mauro, nelle cui interne pareti del magazzino si scernono ancora le pitture delle quali avea cominciato a decorarla. (p. 204).
Padronato della Chiesa
Pietro Trusciglio di Cirò, avendo riedificata e dotata una chiesa già diruta sotto il nome di S. Cataldo, ne pretese il Padronato: qual Padronato, che qualità aver dovea, colle parole che seguono spiegollo: … supplica per tanto V. S. Illustriss. Resti servita concedergli detta Chiesa per suo ius patronato di suoi eredi, e successori qualsivogliano in futurum. A tale supplica segue la concessione dell’Ordinario: Cum omnibus juribus suis annexis connexis dicto Magnifico Pietro, suisqye heredibus, successoribus in pepetuum in jus patronatus, cum potestate construendi in ea sepulturem pro se suisque heredibus, etiam entraneis o successoribus, aliisque de eorum voluntate quibuscumque nominandi, o presentandi in Cappellanum.[…]
Nella prima fondazione spiegò che ‘l Padronato lo volea perpetuo per decoro della famiglia Triscuglio. Nella dispositiva tutto il contrario rilevasi: Supplica per tanto V. S. Illustriss. Resti servita concedergli ella Chiesa per suo ius patronato de’ suoi eredi e successori qualsivogliano in futurum. Ecco che si scorge la qualità di detto Padronato, di non essere familiare, e gentilizio, ma ereditario semplice, o al più dubbioso, che qualità contenga. […]
Nacque fin dal V secolo la costumanza presso i nobili, che ognuno di questi ne’ suoi villaggi vi si costruisse un Chiesa per uso della sua famiglia. Il Concilio tenuto in Agadè nell’anno 506, can 21, così la Consuetudine rammenta: Si quis etiam extra Parochias, in quibus legitimus est oratorium in agro habere voluerit, reliquis festivitatibus, ut ibi Missas teneat propter fagitationem familae, iusta ordinatione permittimus[…] Ecco dunque l’origine del Padronato familiare, il quale provenne dalla detta consuetudine de’ nobili che reputarono tali Chiese da esso loro fondate, come per uso della loro famiglia, o de’ fondi, entro cui dette Chiese fondavano; onde venne l’usanza di riservarvi il Padronato, o a loro discendenti di sangue o pure a’ possessori degli stessi fondi. Quindi ne nacque il Padronato gentilizio o ‘l Padronato reale, e feudale, che siegue il possessore dello stesso fondo con la stessa univesalità de’beni, a differenza del padronato personale, che alli solo eredi si trasmette.
Pietro Triscuglio non aveva inteso fare un Padronato gentilizio, non avendolo lasciato a coloro che la sua famiglia rappresentavano, ma bensì alla sua sorella, con cui la di lui agnazione andava a finire ed estinguersi. Si avvalora tutto ciò da quello ch’egli disponse per rispetto alla sepoltura formata entro la stessa Chiesa di S. Cataldo suo Padronato colle parole seguenti: Item voglio ed espressamente comando che nella Cappella di S. Cataldo Jus Padronato vi si possano seppellire l’infrascritte persone, cioè Francesca Triscuglio mia sorella ed erede, Gio Perrotta Trusciglio, e suoi eredi e successori ex linea masculina tantum, con titolasi della mia casata Trusciglio, solamente concedo licenza che vi si possano seppellire Lucrezia ed Eleonora Perrrotta tantum figlie di detta mia sorella, e miei nipoti, e non le loro discendenza né masculine, né femminine.
Da questa disposizione nasce congettura che ‘l Padronato anzidetto non lo abbia egli voluto familiare. Si dimostra che ‘l Padronato istituito dal fu Pietro Trusciglio sia ereditario semplice, a che indi non si appartenga veruna ragione se non se a coloro che sono eredi di detto Fondatore.
Ergo: la Chiesa di San Cataldo, e la presenza sul territorio di Cirò della devozione al Santo, non nasce dunque dal nulla, farsi domande induce a esplorare, poiché tracce di noi vanno ricercate non subite.
Ecco che la storia è concretezza attestata, di cui non temere, piuttosto onorare, per quanto edificante. L’identità di un popolo e suo territorio mai sarà se non si approfondisce ricerca vera, nel senso del giusto e del rispetto del sacro. Le leggende pagane lasciano il tempo che trovano, usando e manipolando la buona fede delle persone ad opera di chi da queste trae profitto, la Cultura, di contro, non ama la mediocrità, guarda al bene comune e si struttura a questo. La storia è fatta di periodi: non si può dimenticare il passato ma nemmeno rendere imbarazzante il presente.
Squarcio sul tempo storico e conoscenza di S. Nicodemo da Sikròs
Dal prezioso documento emerge molto di più di quello che ci narra: ci troviamo nel 1641, e giunge opportuna la disamina dell’autore Giuseppe Toscano Mandatoriccio, sommo giureconsulto, nativo di Rossano, stimato e ammirato da Federico II di Prussia, opportuna analisi per la stessa storia di Cirò, infatti ci permette di aprire uno squarcio sul tempo storico legato alla conoscenza di S. Nicodemo.
Scrive: Vi fu nella Città di Cirò una Cappella col titolo di S. Cataldo, la quale abbandonata e non curata incominciò a rovinare; così che ne’ principi del secolo passato ritrovavasi già diruta.
Ergo: la chiesetta di S. Cataldo, esisteva già, e Pietro Trusciglio, mosso da pia divozione, volle riedificarla. A Cirò, nel 1641 S. Nicodemo non era nemmeno conosciuto, mentre S. Cataldo sí, e in un tempo ancora precendete, cioè ne’ principi del secolo passato. Infatti, è noto che il testo di Apollinare Agresta, il primo ad avanzare l’ipotesi – rinvenuta errata – che a Cirò fosse nato S. Nicodemo, è avvenuta nel 1677, quindi prima di questa data, la notizia di Nicodemo cittadino di Cirò non era affatto conosciuta, tanto meno a Cirò in cui, e solo il 14 gennaio 1696 viene proclamato Patrono e Protettore di Cirò.
È di pubblico dominio che S. Nicodemo non è nato a Cirò, luogo dove non è mai venuto, dato acclarato e spiegato ampiamente, e non solo dalla sottoscritta*, il Bios di S. Nicodemo è lautamente chiaro.
Contestualmente, emerge dal documento altra, e più che mai opportuna considerazione. Infatti occorre ripudiare, disconoscere vivamente quanto, impropriamente e illecitamente, ai danni della storia dell’arte, della storia e cultura del territorio, è stato asserito sul dipinto rinvenuto nella Chiesa di San Giovanni Battista, in Cirò. Difatti, il soggetto del dipinto non può essere, come ingannevolemente e forzatamente titolato, S. Nicodemo, e il documento conferma quanto già asserivo. Per il bene culturale di Cirò, quello autentico, della sua storia, mi feci latore di esegesi critica del dipinto, dimostrando l’inappropriatezza dell’abuso che si vuole far passare, con attribuzione di nome al dipinto, e diedi spiegazione circa i suoi tre segni caratteristici: mitria, gesto benedicente della mano destra, Cristo patiens. Il delirio per attribuzione di nome, l’uso abusato del pulpito, frutto di forsennato fanatismo, ignoranza e inculturazione cui si vuole ridurre la Comunità di Cirò -finanziamenti estorti docet-, approfitta anche del malsano uso che si fa dei fondi pubblici e della Chiesa locale stessa, che persevera nell’inettitudine e manca alla sua missione. S. Paolo ci ricorda nella sua Prima lettera ai Corinzi, che il cristiano deve essere testimone di sincerità, purezza. Deve altresì essere amante della verità, parola cara al Nuovo Testamento, per indicare non solo onestà intellettuale ma piena adesione al messaggio e alla persona di Cristo, Via, Verità, Vita (Gv 14,6).
Il Santo Vescovo Cataldo, infatti, è conosciuto in Cirò ne’ principi del secolo passato al 1641, e trova evidentemente il suo posto e onore nelle Chiese: di fatto il dipinto rinvenuto nella Chiesa di S. Giovanni Battista è, e rappresenta, un Santo Vescovo, e l’affresco risale al XV secolo. Anche ad occhio nudo, comparando le icone risulta chiara la pertinenza rendendo risibile ogni forzatura.
Bisogna essere grati a Pietro Trusciglio, a quanto fece e dispose per valorizzare, in Cirò, la Chiesa titolata a S. Cataldo, così antica, e in cui i resti di fondatore e eredi designati, meritano menzione.
Ne consegue
Valorizzare la storia mai confonde, né disgrega, riporta ogni asse al suo posto, con autorevolezza, rispettando le tracce delle generazioni che ci hanno preceduto, ed è facile intuire che se si costruiscono castelli di sabbia, questi sono destinati a capitolare. Trovo necessario non raccontare storie ma puntare alla verità della storia poiché nella verità dimora il giusto.
Auspico che il Santo Vescovo Cataldo possa essere eretto a Protettore de facto di Cirò, si impegni chi di dovere nel suo proprio, affinché la devozione venga riconosciuta, gratificata, se ne rinfranchi amorevolezza, con autonoma valorizzazione nel rispetto dei territori amici limitrofi. Occorre non confondere, secondo l’insegnamento di Alcide De Gasperi, che non si può trascurare senza ritegno la cura dei beni che si amministrano, nè delle anime, per occuparsi di similpolitica in modo troppo ravvicinato. Chi sceglie una strada non può travalicare limiti non suoi, ma pensare al bene della Comunità, e delle anime del Popolo di Dio. Ecco che i ruoli devono mantenersi distinti e distanti, nel reciproco rispetto.
Esistono norme per la proclamazione dei santi protettori, il Diritto Canonico lascia alla libertà dei fedeli la scelta, ma subordina l’elezione formale al rispetto di una procedura amministrativa che impone all’autorità ecclesiastica competente l’approvazione della scelta, e poi alla Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti, l’emanazione di un atto di conferma. Il bene è un atto concreto, e parlare di spiritualità è cosa assai seria, chiede coerenza di fede, oltre che savio sapere poiché, con S. Tommaso d’Aquino, la fede emotiva non è fede, le emozioni non sono soggetto della fede, soggetto della fede è l’intelletto speculativo. Ecco che, attraverso il Santo Vescovo Cataldo, si acquisisce una rinfrancante traccia lucente della storia e cultura di Cirò.
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*Giuseppe Toscano Mandatoriccio, Per l’Università di Cirò e per essa per D. Antonio Caporale nella causa che ha nel S. C. con il Canonico Pignataro. Degnissimo Commessario il Signor D. Stefano Patrizj. Presso lo scrivano Rosa. In banca di Rubino, Biblioteca Nazionale di Napoli, 1769.
*Giovan Francesco Pugliese, Descrizione ed istorica narrazione dell’origine, e vicende politico-economiche di Cirò, Vol. I., Napoli, 1849, pp. 35-36; 204; 259.
*Maria Francesca Carnea, La bellezza di un ritrovamento, in Monastica.eu, 2021, https://www.monastica.eu/2021/04/24/santo-vescovo-ciro
*Maria Francesca Carnea, San Nicodemo da Sikròs. Monaco eremita del Kellarana, IlTesto ed., 2021.