ROMA – Con la sentenza n. 25659 del 4 settembre 2023 la Corte di cassazione ha chiarito che, con riguardo al contenzioso tributario, il sindacato del giudice di merito sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario, divenuto definitivo, è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni originarie o sopravvenute, di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto. Di conseguenza, non può essere accolto il ricorso avverso il provvedimento di diniego proposto dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo.
La sentenza
La sentenza in commento ha origine da una controversia che ha visto contrapposta l’Agenzia delle dogane a una società nei cui confronti, a seguito di un controllo, sono stati emessi un avviso di accertamento e un atto di irrogazione sanzioni. Dopo aver impugnato tardivamente gli atti, la società ha proposto istanza di riesame in autotutela, avverso cui le dogane hanno emesso provvedimento espresso di diniego.
La società ha quindi proposto ricorso in Ctp contro il provvedimento amministrativo.
Dopo l’accoglimento del ricorso da parte dei giudici di primo grado, l’ente pubblico ha proposto appello, respinto dalla Ctr secondo cui il provvedimento di diniego è un atto impugnabile, trattandosi di un atto con cui l’Amministrazione ha riesaminato la vicenda accertativa, “con ciò di fatto sostituendo i precedenti provvedimenti impositivi e sanzionatori, che pertanto restavano assorbiti dal nuovo”.
L’Adm ha impugnato la pronuncia della Ctr lamentando, per quanto di interesse, violazione e falsa applicazione dell’articolo 19, comma 3, del Dlgs n. 546/1992, per cui gli atti diversi da quelli indicati al comma 1 della norma non sono impugnabili autonomamente e che ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri.
A parere dell’Agenzia delle dogane il giudice regionale sarebbe incorso in un errore di interpretazione di norme sostanziali quando ha affermato che il provvedimento di diniego di autotutela si sostituisce agli atti impositivi e sanzionatori, di modo ché gli stessi resterebbero assorbiti dal nuovo che, quindi, sarebbe autonomamente impugnabile.
Ritenendo fondato il motivo di ricorso, la Corte suprema ha cassato la sentenza e, decidendo nel merito, ha rigettato il ricorso introduttivo della società.
Si premette che l’autotutela è lo strumento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria esercita il potere di riesaminare la propria azione e, conseguentemente, di annullare gli atti che riconosca illegittimi e/o infondati, in attuazione dei principi costituzionali di capacità contributiva, di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa. L’autotutela può essere esercitata d’ufficio dall’ente impositivo o su richiesta del contribuente interessato a cui, in caso di diniego espresso, è notificato il relativo provvedimento.
Il tema al centro della controversia tende a definire il perimetro entro il quale può essere proposto un ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego di autotutela.
Nel caso specifico il giudice d’appello ha ritenuto di dare risposta affermativa al quesito affermando il principio per cui, allorquando l’atto di diniego dell’istanza di autotutela valuti nel merito i fatti e i motivi prospettati dal richiedente, “inizia un vero e proprio procedimento di riesame, con una nuova valutazione della situazione in fatto di diritto”. In tal modo il provvedimento negativo si sostituirebbe al precedente provvedimento che, quindi, resterebbe assorbito dal nuovo.
Secondo l’interpretazione del giudice del rinvio, quindi, ci si troverebbe dinanzi a un caso di autotutela sostitutiva che, invece, secondo i principi generali dell’ordinamento, è ammessa solo nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria sostituisce un atto impositivo viziato con un nuovo atto impositivo. In tal modo, infatti, l’ufficio procede a correggere gli errori dei propri precedenti atti, annullando l’originario provvedimento viziato e sostituendo lo stesso con un provvedimento nuovo, che può avere un dispositivo e/o una motivazione differente, in quanto emendati dal vizio originario.
La Corte di cassazione ha respinto l’interpretazione del giudice di merito che si è scostato dall’orientamento consolidato per cui, con riguardo al contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute. Deve, invece, escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo.
In altre parole, posti i limiti del sindacato della Commissione tributaria sulla valutazione della fondatezza dell’originaria pretesa tributaria, il contribuente potrà impugnare il diniego di autotutela dell’ufficio soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità dello stesso rifiuto (ad esempio, perché sottoscritto da soggetto non legittimato o perché fondato su motivi contraddittori), ma non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr Cassazione, sezione V, n. 257