Crediti non spettanti e inesistenti, analisi tra penale e tributario
La Suprema corte si pronuncia sulla qualificazione dell’indebita compensazione dei crediti inesistenti tornando al doppio binario sulle conseguenze riscontrabili nei due diversi ambiti
Roma – Con la sentenza n. 6 del 2 gennaio 2024 la terza Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene nuovamente sull’identificazione del credito inesistente, ai fini della sanzionabilità penale dell’indebito utilizzo del medesimo, sconfessando l’orientamento espresso nella sentenza della Cassazione n. 34419 dell’11 dicembre 2023.
Il provvedimento de quo, infatti, si inserisce nel solco delle decisioni che ritengono la bipartizione operata a livello sanzionatorio tributario tra crediti non spettanti e inesistenti (articolo 13 Dlgs n. 471/1997 commi 4 e 5) non coincidente con la dicotomia delle diverse fattispecie di reato previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 10-quater del Dlgs n. 74/2000, anch’esse riferibili rispettivamente all’indebito utilizzo di crediti non spettanti e inesistenti.
In particolare, con la sentenza citata, i giudici di legittimità disconoscono a livello penale la necessaria compresenza dell’assenza totale o parziale del presupposto costitutivo e della non riscontrabilità attraverso i controlli formali, elementi invece tipizzanti la fattispecie di inesistenza caratterizzante l’illecito amministrativo.
Infatti la Suprema corte, seguendo la tendenza autonomista del diritto penale nei confronti del diritto tributario, ravvisa la presenza di una condotta tipizzante l’utilizzo di credito inesistente nel caso di assenza o carenza del presupposto generante il credito medesimo, senza la necessaria ed ulteriore non tracciabilità dell’utilizzo mediante metodologie di controllo meno approfondite quali quelle elencate dall’articolo 13, comma 5, terzo periodo, Dlgs n. 471/1997 in ambito tributario.
La sentenza, che richiama la recente pronuncia della Cassazione n.16353/2023, si basa su due elementi:
- uno di natura temporale-legislativa in quanto la fattispecie di utilizzo di credito inesistente, in quanto tale, è entrata in vigore con il Dlgs n. 158/2015 il quale con l’introduzione dell’articolo 10-quater, comma 2 Dlgs n. 74/2000 “non ha fatto alcun riferimento alla coeva novella legislativa introdotta nell’art. 13 comma 5 D.lgs. 471/2015”, la quale ha positivizzato una definizione di credito inesistente in campo tributario
- l’altro di natura sistematica, in quanto ove si dovesse applicare la bipartizione espressa ai commi 4 e 5 del già menzionato articolo 13 si giungerebbe alla conseguenza, definita “assurda” dalla stessa Cassazione, che “nella stessa disposizione conviverebbero irragionevolmente due diversi presupposti della medesima condotta”, ossia, nel caso di utilizzazione di crediti non spettanti, non sarebbe richiesto il requisito della loro facile rilevabilità attraverso controlli formali, mentre nel caso di utilizzo di crediti inesistenti si, con il paradosso che la condotta più grave (inesistenza) avrebbe un margine di applicazione meno ampio di quella meno grave (non spettanza).
La classificazione non spettanza/inesistenza in ambito penale assume significativo rilievo in quanto incide non solo in merito alla pena edittale normativamente prevista e, conseguentemente, all’applicazione o meno delle intercettazioni e delle misure coercitive personali, ma soprattutto perché delimita l’operabilità della causa di non punibilità per pagamento del debito tributario, prevista solo per i reati di cui all’articolo 10-quater comma 1 (indebito utilizzo di crediti non spettanti).
Dall’altro lato si segnala come l’orientamento integrazionista, ossia che equipara la qualificazione del credito d’imposta ai fini tributari e penali, è stato recentissimamente condiviso dalle Sezioni unite civili con la sentenza n. 34419/2023, la quale, riprendendo un orientamento espresso dalla medesima sentenza n. 7615/2022, afferma che ai fini della definizione del credito inesistente, anche in ambito penale, si deve fare riferimento ad entrambi i requisiti espressi dal novellato articolo 13 comma 5 Dlgs n. 471/1997. Il contrasto pertanto non risulta ad oggi risolto.