Roma – Sono passati 32 anni dalla strage di Via D’Amelio: era il 19 luglio 1992 quando un attentato mafioso costò la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina.
Il 19 luglio 1992 rappresenta una data indelebile nella memoria collettiva italiana. Trentadue anni fa, infatti, il giudice Paolo Borsellino veniva assassinato in un attentato mafioso a Palermo, insieme agli agenti della sua scorta. Questo evento tragico non solo ha scosso l’Italia, ma ha anche rafforzato la determinazione nella lotta contro la mafia. Ripercorriamo insieme la storia di questo magistrato coraggioso e il suo impegno incrollabile per la giustizia.
Gli Inizi della Carriera
Paolo Borsellino nacque a Palermo il 19 gennaio 1940. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza all’Università di Palermo, intraprese la carriera di magistrato, ispirato dall’ideale di giustizia e dal desiderio di contrastare la criminalità organizzata che affliggeva la sua terra natia. Negli anni ’70, Borsellino si unì al pool antimafia, un gruppo di magistrati che lavorava in stretta collaborazione per combattere la mafia.
L’amicizia con Giovanni Falcone
La figura di Paolo Borsellino è inseparabile da quella di Giovanni Falcone, altro magistrato simbolo della lotta alla mafia. I due condivisero non solo una profonda amicizia, ma anche una visione comune sulla necessità di un approccio sistematico e coordinato per affrontare la mafia. Il loro lavoro congiunto portò alla realizzazione del Maxiprocesso di Palermo, un processo senza precedenti che vide la condanna di numerosi esponenti mafiosi.
Il Maxiprocesso di Palermo
Il Maxiprocesso, iniziato nel 1986 e conclusosi nel 1992, fu un momento cruciale nella lotta alla mafia. Grazie alle testimonianze dei pentiti, tra cui Tommaso Buscetta, e al lavoro instancabile del pool antimafia, il processo portò a 346 condanne, di cui 19 ergastoli. Borsellino e Falcone dimostrarono che era possibile colpire la mafia nei suoi vertici, un risultato che suscitò sia speranza che paura.
L’isolamento e la morte di Falcone
Il 23 maggio 1992, Giovanni Falcone venne assassinato in un attentato dinamitardo a Capaci. La morte del suo amico e collega colpì profondamente Borsellino, che sentì il peso di un isolamento crescente. Nonostante ciò, Borsellino continuò il suo lavoro con la stessa dedizione e coraggio, consapevole del rischio che correva.
L’attentato di Via D’Amelio
Il 19 luglio 1992, mentre si recava a far visita alla madre, Paolo Borsellino fu vittima di un attentato in via D’Amelio a Palermo. Una Fiat 126 carica di tritolo esplose, uccidendo il giudice e cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’attentato fu un atto di ritorsione della mafia, che mirava a colpire lo Stato nel cuore delle sue istituzioni.
L’eredità di Borsellino
A trentadue anni dalla sua morte, il ricordo di Paolo Borsellino continua a vivere nel cuore degli italiani. La sua dedizione, il suo coraggio e il suo sacrificio rappresentano un esempio luminoso per le nuove generazioni. Borsellino non fu solo un magistrato, ma un simbolo di giustizia e integrità, la cui eredità continua a ispirare la lotta contro la criminalità organizzata.
La storia di Paolo Borsellino è una testimonianza di quanto un singolo individuo possa fare la differenza nella lotta contro le ingiustizie. La sua vita e il suo lavoro rimangono un monito per tutti noi, ricordandoci che la lotta per la giustizia richiede coraggio, determinazione e, a volte, il sacrificio supremo. Trentadue anni dopo la sua tragica morte, il suo esempio continua a vivere e a guidare il cammino verso un’Italia libera dalla mafia.