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Un noir in cui si chiudono delle indagini ma si aprono delle domande. Intervista all’autore Antonio Lidonnici sul romanzo “Le colpe dei padri”

È facile smarrire sé stessi nei caruggi bui, lungo la banchina del Porto Antico, nei parchi che come verdi gioielli sono incastonati nel grigio dei palazzi di Genova. È facile perdere chi ti sta accanto e hai giurato di proteggere: ti volti, e chi ami è svanito nell’ombra. In quella città, dove ha scelto di nascondersi il male più oscuro, Giacomo Minuti deve ritrovare non solo il senso della sua esistenza, ma fare giustizia. È diventato famoso, ma la fama ha portato con sé cambiamenti che non riesce ad accettare: un nuovo commissario, una nuova mansione che lo porta a contatto con l’umanità più bassa della città. Questa volta, chi uccide è portatore di una mannaia morale che sembra accanirsi su chi è diverso, colpendolo al cuore nel modo più crudele possibile, portando via non solo la dignità, ma la speranza di una redenzione. Quando la morale si fa portatrice di giustizia, è lì che si deve cercare la verità. E Giacomo scoprirà quanto può essere feroce la volontà di fare del bene.

Puoi raccontarci come è nata e si è sviluppata l’idea del romanzo Le colpe dei padri? Quali sono state le tue fonti di ispirazione principali?

Se ci ripenso, mi viene quasi da ridere. Un giorno vengo contattato su Whatsapp da un amico che mi chiede di vederci. Davanti a un aperitivo inizia a raccontarmi un sogno, caratterizzato dalla presenza di una figura molto particolare, perversa e affascinante: in quel momento è nato l’antagonista della storia. Tuttavia, avevo comunque bisogno di costruire una storia all’interno della quale andarlo a inserire; per questo sono andato a cercare nel luogo in cui mi rifugio di solito quando ho bisogno di ispirazione: i giornali. Quasi per coincidenza, mi è capitato di leggere una serie di articoli collegati da un filo conduttore, sottile ma ben visibile: il pregiudizio. Ho provato a dare un corpo, dei nomi e delle storie ai soprusi più comuni che circondano la nostra quotidianità, quelli che siamo abituati a vedere, quelli per cui ci limitiamo a commentare e girarci dall’altra parte, come se fossero in un mondo diverso dal nostro, come se non potessero toccarci. Loro sono diventati i personaggi secondari. A quel punto, è bastato mettere in azione il personaggio che mi accompagna da ormai tre romanzi, l’ispettore Giacomo Minuti.

Chi è Giacomo Minuti, il protagonista del libro? Puoi descriverci il suo carattere, il suo background e le sue principali motivazioni?

Mi verrebbe da dirti che è un ispettore “suo malgrado”. Più che un tutore della legge, rappresenta l’uomo comune, con i suoi vizi, i suoi difetti, le cose che non ha voglia di fare ma deve fare, le sue perversioni, i suoi limiti. Non riesce a separare quasi mai il personale dal professionale: le due sfere si mescolano di continuo. Per questo, si ha quasi la sensazione che Giacomo Minuti non sia tanto protagonista delle indagini che conduce quanto parte integrante delle stesse; a volte, sembra essere quasi trasportato dagli eventi. Volevo che fosse proprio così: disordinato, incostante, umorale. Insomma, un uomo qualunque.

Nel tuo libro affronti diverse tematiche legate a giustizia e morale. Quali sono i principali temi che hai esplorato e come hai scelto di rappresentarli?

Domanda difficile… rischio spoiler altissimo. Quello che posso dirti è che tutti noi, più o meno consapevolmente, agiamo sulla base di “un’etichetta” che diamo a chi abbiamo davanti. Una madre single, che magari è costretta a prostituirsi per mantenere il figlio, è una buona o una cattiva madre? Un uomo che adotta una bambina ma poi si scopre omosessuale dovrebbe rinunciare al suo diritto di paternità? Sono domande difficili, ma a cui troppo spesso ci sentiamo in diritto, comunque, di rispondere. Se, per esempio, in giro ci fosse qualcuno deciso a sterminare tutti coloro che, secondo la sua morale, non agiscono bene?

Che tipo di atmosfera hai voluto creare per Le colpe dei padri? Cosa possono aspettarsi i lettori in termini di tono, ambientazione e stile narrativo?

Come in ogni noir che si rispetti, l’atmosfera è densa, tesa, ma con spazi improvvisi nei quali il lettore può respirare e raccogliere le fila della storia: come se fossero delle oasi in un deserto di palpitazioni costanti. Genova si presta a questo genere di storie, perchè essa stessa è una città ricca di contraddizioni, misteri e situazioni difficili da capire. Ecco, in tutte le mie storie l’ambientazione non è soltanto lo sfondo della storia, ma faccio in modo che sia protagonista, che partecipi alle indagini. Per quanto riguarda il mio stile narrativo mi piace citare un lettore che, dopo aver letto il libro, mi disse che gli sembrava fosse stato scritto con un bisturi: pulito, rapido, tagliente e preciso.

C’è un messaggio in particolare che hai voluto trasmettere?

Potrei citare un proverbio indiano che recita, più o meno, “prima di giudicare qualcuno, cammina per cento lune nelle sue scarpe”.

Perché consiglieresti di leggere Le colpe dei padri? A chi pensi possa piacere particolarmente questo romanzo e perché?

Secondo me potrà essere piacevole da leggere per chi ama mettersi in discussione, perchè è un noir in cui si chiudono delle indagini ma si aprono delle domande. Amo le storie che ti lasciano qualcosa su cui riflettere; in questa storia, ho cercato di fare in modo che l’ultima pagina lasci una sensazione di sospeso al lettore, una serie di domande che non è detto troveranno una risposta.

L’autore si racconta…

Mi costituisco: non posso fare a meno di scrivere, ma provate voi a non scrivere con una mamma insegnante di italiano.

Insieme a mia moglie Valentina, appassionata fotografa, cerchiamo di trasmettere a nostro figlio Ettore il piacere dell’arte, in ogni sua forma.
Scrivo di sera, perchè concilia, ma penso sempre alla scrittura, perchè non posso farne a meno.
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