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I canoni delle concessioni demaniali sono “legittimamente” indeducibili

ROMA – La Corte di cassazione, con la pronuncia n. 28297 del 4 novembre 2024, ha affermato che l’articolo 10 del Tuir, nonostante al comma 1 lettera a) annoveri canoni, livelli, e altri oneri quali costi deducibili, si riferisce a oneri reali, le cui obbligazioni sono caratterizzate da realità e ambulatorietà. I canoni delle concessioni demaniali, oggetto di obbligazioni personali del privato concessionario, non rientrano tra gli stessi in quanto attengono al rapporto intercorrente tra il soggetto privato e la Pubblica Amministrazione.

 

I fatti
Un privato concessionario ha impugnato, nella Ctp competente, le cartelle emesse dall’Amministrazione finanziaria, in base all’articolo 36-ter del Dpr n. 600/1973, nei confronti suoi e del proprio padre e dante causa, con le quali veniva recuperato a tassazione, per tre anni di imposta, l’importo – erroneamente dedotto dai contribuenti dal reddito derivante da alcuni immobili realizzati su arenile in concessione demaniale – del canone concessorio del suolo.
La Ctp ha accolto il ricorso, mentre il giudice tributario di secondo grado ha dato ragione all’Amministrazione.
Avverso tale ultima sentenza, dunque, la ricorrente (anche in qualità di erede del padre) ha proposto ricorso in Cassazione a cui l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Le norme rilevanti
L’articolo 36-ter del Dpr n. 600/1973 prevede, al primo comma, che gli uffici periferici dell’Amministrazione finanziaria procedono, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione, al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti o dai sostituti di imposta sulla base di criteri selettivi fissati dal ministro delle Finanze, tenendo in debita considerazione le specifiche analisi del rischio di evasione e le capacità operative dei medesimi uffici.
L’esito di tale controllo, in ossequio al comma 4 dell’articolo 36-ter, è comunicato al contribuente o al sostituto di imposta, con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i sessanta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.

Il controllo formale, in sostanza, consiste nella verifica della corrispondenza tra i dati relativi a deduzioni, detrazioni e ritenute indicati in dichiarazione; la documentazione conservata dal contribuente e i dati desunti dalle dichiarazioni presentate e dalle informazioni trasmesse da altri soggetti o a quelli forniti da enti esterni (per esempio enti previdenziali o assistenziali).
Se si riscontrano differenze tra i dati in possesso dell’Agenzia delle entrate e quelli dichiarati, il contribuente può essere anche invitato dall’ufficio a fornire la relativa documentazione.

A questo proposito, rileva, in particolare, l’articolo 36-ter, comma 2, lettera c), che consente all’ufficio, senza pregiudizio per l’azione accertatrice (ex articolo 37 e seguenti), di escludere in tutto o in parte le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi menzionati nella lettera b).

Ai sensi dell’articolo 10 del Tuir, inoltre, rilevano come costi deducibili i canoni, i livelli, i censi e altri oneri e, dunque, la reale criticità interpretativa, nel caso in esame, consiste nella possibilità di annoverarvi i canoni concessori e, conseguentemente, di comprendere la legittimità o meno della deduzione degli stessi operata dai contribuenti.

 

La decisione della suprema Corte
Il ricorso proposto dalla contribuente è fondato su due motivi, che la suprema Corte ha ritenuto infondati.
Il primo consiste nella violazione o falsa applicazione dell’articolo 36-ter, Dpr n. 600/1973.
La contestazione è nel senso che l’Agenzia avrebbe dovuto procedere non a un controllo meramente formale, ma sostanziale, provvedendo a notificare non la cartella, ma l’avviso di accertamento, non ricorrendo i presupposti previsti dalla norma di cui si denuncia la violazione e ritenendosi, inoltre, l’erroneità della sentenza di appello, nella parte in cui essa si incentra sull’assenza di lesione nel diritto alla difesa del contribuente.
Il giudice tributario regionale, sostiene la Corte di legittimità, invece, ha correttamente verificato l’espletamento, da parte dell’ufficio accertatore, delle formalità previste a seguito del controllo formale e, in particolare, quella di cui al comma 4, chiarendosi peraltro da parte della contribuente che tale profilo non era il punto rilevante delle proprie contestazioni.

La ricorrente risultava proprietaria di un immobile, concesso in locazione, realizzato su area demaniale, per la quale versava un canone di concessione.
L’articolo 10 del Tuir consente la deduzione, dal reddito che produce un bene immobile, di canoni, livelli e censi e altri oneri gravanti sui redditi degli immobili.
Deve trattarsi, però, di oneri reali, cioè obbligazioni connesse funzionalmente al bene e caratterizzate dall’ambulatorietà (la circolazione dell’obbligazione insieme al bene a cui afferisce).
Il canone concessorio, sostiene la Corte di cassazione, non è annoverabile negli oneri reali in quanto rappresenta un’obbligazione connotata da un rapporto personalistico intercorrente tra il soggetto privato e la Pubblica Amministrazione. Esso non ha, dunque, i caratteri di realità e ambulatorietà che assurgono a necessari per la deduzione.

A parere della Cassazione, il motivo di ricorso deve essere rigettato poiché l’Amministrazione finanziaria ha effettuato una rettifica a seguito di un controllo meramente formale fondato sull’esclusione ictu oculi del canone dedotto dal novero degli oneri deducibili dal reddito ai sensi dell’articolo 10 del Tuir e, appunto, l’articolo 36-ter del Dpr 600/1973 consente, al comma 2 lettera c) di escludere, in sede di controllo formale, le deduzioni dal reddito non spettanti, dovendosi procedere in via ordinaria (quindi previo apposito avviso di accertamento) solo quando occorra una complessa attività di verifica o di interpretazione.

Detto ciò, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto “l’art. 10 TUIR, allorché al comma 1 lett. a) annovera canoni, livelli, censi ed altri oneri quali costi deducibili, si riferisce ad oneri reali, le cui obbligazioni sono dunque caratterizzate dalla realità, in quanto legate al bene e pertanto ambulatorie. Tra essi non rientrano dunque i canoni delle concessioni demaniali, che formano l’oggetto di obbligazioni personali del privato concessionario, in quanto ricollegate al rapporto intercorrente tra quest’ultimo e la pubblica amministrazione. Conseguentemente l’amministrazione finanziaria può senz’altro disconoscere la deduzione del canone demaniale, operata dal contribuente nella propria dichiarazione, in sede di controllo formale di cui all’art. 36 ter, D.P.R. n. 600/1973, in quanto la rettifica dipende da un’esclusione emergente ictu oculi”.
Le considerazioni poste a fondamento del rigetto del presente motivo determinano l’assorbimento del secondo motivo di ricorso in cui si è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 del Tuir, oltre che insufficiente e contradditoria motivazione.
La suprema Corte di cassazione, dunque, ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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