Editoriale – Durante tutto il corso della vita, che viene originata non per nostro volere ma per una conseguenza di una grande architettura universale, l’uomo è alla ricerca di sostegno, di conforto e di un riparo rispetto a tutti gli accadimenti negativi che si susseguono. Sin dalla nascita, i primi vagiti e i pianti a squarciagola tipici dei bambini testimoniano un malessere di cui noi non possiamo ricordarne certo da cosa sia originato. Poi con la presa di coscienza molte futilità non congeniali rispetto alle prerogative sono motivo di pianto e di contestazione. Ed è così che il riparo dell’uomo è chi lo ha messo al mondo, il genitore, i nonni, la famiglia, successivamente poi gli amici. E man mano che il tempo avanza e le esperienze scorrono ci si renderà conto, che in effetti pur camminando insieme e tra milioni di persone, ognuno vive una sua solitudine talvolta chiara, talvolte oscura, in cui si ricerca una luce che possa guidarci nelle scelte difficili, nelle situazioni più disparate in cui l’uomo non aveva messo in contro di doverci capitare. Da piccoli, si ha la sensazione che i grandi siano infallibili, poichè dotati di quel valore aggiunto che è l’esperienza che si acquisisce nelle fasi della vita. Quando ero poco più che dodicenne, sentivo mio padre che faceva le opportune romanzine, affermando che i grandi erano da prendere come esempio e che andavano ascoltati proprio perchè dotati di “esperienza“. E quindi ho sempre pensato che vi fosse un periodo della vita adulta in cui si raggiungesse una certa perfezione anche nell’esercizio del libero arbitrio. Purtroppo non è affatto così. Laddove noi pensiamo di trovare riparo e che l’obiettivo sia raggiunto si apre sempre un altro varco, con la sensazione iniziale ma consapevolezza conseguente di essere sempre a metter sù mattoni, alzando muri laterali ma senza mai riuscire a coprire la volta stellata. Il cielo, che con le sue stelle incanta l’anima, e che raggiungiamo con lo sguardo che arriva a quell’infinito che non riusciremo mai a comprendere fino in fondo. Questo non deve scoraggiare l’uomo, nè indurre alla rassegnazione, ma ad un certo punto della vita adulta, anche un pò avanzata ci si rende conto che dobbiamo applicare a quella esperienza quotidiana non di certo bastevole, qualche altra filosofia di vita, che sia in grado di farci capire cose, contesti, sotto una angolazione diversa e approfondita. L’universalità delle cose, del lavoro che caratterizza l’uomo sin dalla primordiale antichità come costruttore di capanne, lavoratore, edificatore di templi. Ci sono le varie evoluzioni dell’architettura, che nel corso dei secoli hanno caratterizzato la storia, la cultura di cui oggi siamo attenti osservatori. Ma l’arte che ci consente di osservare le sculture artistiche come quelle della nostra città eterna, sono intrise di capacità espressiva, ma soprattutto di una filosofia trasversale di vita che riesce a celebrare l’interiorità e ad accrescere il significato della presenza dell’uomo sulla terra. E dunque siamo destinati a lavorare sempre, fino al termine dei nostri giorni e fino a quando quell’incipit che ci ha dato vita si spegnerà inesorabilmente catapultandoci volenti o nolenti in quella eternità della volta stellata.
Daniele Imperiale – Direttore di AndradeLab