Per la sua incantevole posizione geografica, sul vertice di un ameno colle (473 mt.), che si erge al centro delle valli del Clitunno, del Topino e del Tevere, la città è stata definita ”Ringhiera dell’Umbria”.
Celebre altresì per gli affreschi delle sue chiese, che ne fanno un punto di riferimento essenziale per la conoscenza della pittura umbra. Inoltre i suoi santuari rappresentano, nel turismo religioso, una tappa importante, ancora quasi tutta da scoprire, della spiritualità umbra. Montefalco fu centro abitato fin dalla più remota antichità. Probabile ‘pago’ rurale, conserva memoria in una rara epigrafe del ‘marone’ (magistrato tipico degli antichi umbri). Durante il periodo romano il colle si popolò di ville patrizie, di cui permane il ricordo nei toponimi: Assegnano, Camiano, Colverano, Rignano, Satriano, Vecciano. Numerosi resti epigrafi e scultorei (Museo Comunale, Chiostro di San Fortunato) testimoniano, nonostante le molte dispersioni, il periodo più antico e meno noto.
Il Cristianesimo vi fu introdotto, si suppone, da San Fortunato, evangelizzatore della zona, vissuto nel IV secolo. Sul suo sepolcro il vescovo spoletino Spes consacrò una basilica, fatta edificare per voto del magister militum Severo (inizi V secolo). Questa chiesa divenne la pieve di un vasto territorio, ben documentata dal secolo XI in poi.
Nel Medioevo l’abitato ebbe il nome di Coccorone. Secondo una tradizione, che nel secolo XVI era definita antica, il toponimo sarebbe derivato da un presunto fondatore, il senatore romano Marco Curione. Moderni storici, invece, lo fanno discendere dal greco oros (monte). Già nel secolo XII Coccorone era libero comune: un tipico ‘comune di ville’ o ‘comune di pieve’, che raccoglieva l’antichità dell’antico ‘pago’ preromano.
Nell’autunno del 1185 l’imperatore Federico Barbarossa vi sostò a lungo e in quella circostanza, tra l’altro, accolse di nuovo nelle grazie imperiali la città di Spoleto, da lui fatta devastare trent’anni prima.
Improvvisamente, tra la fine dell’anno 1249 e i primi mesi del 1250, il luogo prese il nome attuale di Montefalco, probabilmente legato ad uno dei falchi dell’imperatore Federico II, che aveva soggiornato in Coccorone dal 9 al 13 febbraio 1240.
Il libero comune fu retto nel XII e agli inizi del XIII secolo dai consoli (1180 – 1235) e dai boni homines (1180 – 1213); poi, ben presto, dal podestà (attestato del 1239), dai vari consigli (speciale, dei giudici, dei sapienti, documentati a partire dal 1227), e dalla ‘curia’ comunale (citata dal 1195), che poi si estrinsecò nelle magistrature tradizionali (priori del popolo, camerario, correttori delle società, cancelliere, ecc.).
Lo Statuto Comunale è ricordato, con valore retroattivo di almeno cinquant’anni, la prima volta nel 1282. Esso venne aggiornato in più riprese, fino all’ultima redazione del 1425.
Nel corso del secolo XIV Montefalco fu a lungo sede preferita dei rettori del ducato di Spoleto (1320 – 1355).
Uno di questi, il francese Jean d’Amiel, vi fece costruire due poderose rocche papali, avvalendosi anche dei consigli e pareri tecnici del celebre architetto senese Lorenzo Maitani, il quale allora dirigeva i lavori della cattedrale di Orvieto. Ma già nel corso del secolo XV tali importanti costruzioni venivano distrutte. Successivamente (1379 – 1424 e 1438 – 1439) Montefalco fini sotto la signoria dei Trinci di Foligno, i quali tentarono di farne un caposaldo della loro potenza. Recuperato alla Chiesa con un energico intervento del cardinale Giovanni Vitelleschi, fu per breve tempo governata da Niccolò Maurizi da Tolentino, il quale ne riorganizzò l’amministrazione e, in particolar modo, suddivise il territorio in quattro quartieri. Da allora Montefalco conobbe una grande attività artistica e culturale, che si protrasse ininterrottamente per quasi un secolo. Tale floridezza economica e civile venne bruscamente interrotta da un avvenimento assai grave. Il 18 ottobre 1527 Montefalco fu presa per tradimento e saccheggiata da un distaccamento delle Bande Nere, comandato da Orazio Baglioni, e tenuta occupata per oltre un mese. Gravi pestilenze ed un generale deterioramento della situazione economica compirono il resto.
Nel 1848, a seguito dell’ampliamento del territorio comunale con l’aggregazione dei castelli di Fabbri, Fratta e San Luca, smembrati da Trevi, a seguito restaurazione pontificia (1812) Montefalco ottenne da Po IX, (già arcivescovo di Spoleto) l’ambitissimo titolo di città.
Tradizionalmente è ricordata quale patria di ben otto santi, tra cui emerge la insigne mistica agostiniana Santa Chiara della Croce (1268 – 1308). Diede pure i natali al poeta Nicola da Montefalco (secolo XV) autore di un canzoniere amoroso, il Filenico (conservato autografo nella Biblioteca Classense di Ravenna); al pittore Francesco Melanzio (1460-1519), formatosi al seguito del Perugino e del Pintoricchio; al cardinale Giovanni Domenico de Cuppis, decano del Sacro Collegio, pronosticato più volte papa nei conclavi cui partecipò; al sacerdote Don Brizio Casciola (1896-1954), amico di personaggi illustri (Sabatier, Fogazzaro, Pascoli, ecc.). Montefalco ospitò tra le sue mura anche il Papa Giulio II nel 1507, e fu scelta quale patria adottiva dal celebre musicista e cantore Domenico Mustafà (1829 – 1912), già direttore perpetuo della Cappella Sistina.