Secondo i dati dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe) del Brasile, tra gennaio e agosto 2019 si sono verificati 72mila incendi contro i 40mila dello stesso periodo del 2018, con un aumento dell’83%.
Sebbene questa sia la stagione secca, che va da giugno a novembre, gli incendi in una foresta pluviale come quella amazzonica non sono mai spontanei ma sono opera dell’uomo. Il più delle volte si tratta di incendi dolosi, appiccati soprattutto dagli agricoltori per ottenere terre da coltivare e dagli allevatori per ottenere pascoli, attraverso disboscamenti illegali.
Chi dà fuoco alla foresta si sente protetto dal presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che ha prima sminuito la gravità degli incendi, sostenendo che sono causati dalla stagione secca, e poi ha dato la colpa alle organizzazioni non governative ambientaliste, accusandole di averli appiccati come ritorsione nei suoi confronti per aver tagliato loro i finanziamenti pubblici.
Incendi e disboscamenti sono collegati. La deforestazione è stata in qualche modo incoraggiata dal presidente stesso, che ha ridotto le sanzioni verso le società di produzione di legname e verso agricoltori e allevatori responsabili dei disboscamenti illegali. Questi ultimi ora starebbero appiccando numerosi incendi per ottenere quanta più terra possibile. Addirittura lo scorso 10 agosto hanno istituito il “giorno del fuoco” nella città di Novo Progreso, nello stato del Parà, uno dei nove stati che compongono la macro regione amazzonica.
Dall’inizio dell’anno, con l’avvio della presidenza di Bolsonaro, il disboscamento della Foresta Amazzonica ha assunto ritmi impressionanti, registrando lo scorso luglio un aumento del 278% rispetto all’anno precedente, per un totale di 1.345 kmq disboscati. Come se sparissero tre campi da calcio al minuto.
A lanciare l’allarme era stato il direttore dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe), Ricardo Galvao, che a inizio agosto è stato licenziato da Bolsonaro, che l’ha accusato di mentire e ha parlato di psicosi ambientalista.
Nel frattempo l’Amazzonia brucia, anche se stabilire la portata degli effetti di questo disastro ambientale è ancora presto. Secondo la Nasa, gli incendi avvenuti nel mese di agosto negli stati amazzonici di Amazonas e Rodonia sono in aumento rispetto allo stesso mese degli anni precedenti. Per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, ad agosto nello stato Amazonas hanno raggiunto i livelli più alti da 16 anni, mentre in tutta la macro regione dell’Amazzonia non erano così alti dal 2010.
Lo scorso lunedì 19 agosto la città di San Paolo è stata avvolta da una fitta coltre nera di fumo che ha oscurato il cielo. Il fumo proverrebbe dagli incendi scoppiati in Amazzonia, nonostante i 2.700 km di distanza, trasportato fin lì dai venti forti.
Quella amazzonica è la foresta pluviale più grande del mondo, con i suoi 5,5 milioni di kmq. Da sola produce circa il 20% dell’ossigeno della Terra e assorbe ogni anno circa 2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Il suo ruolo nell’ecosistema mondiale è fondamentale, per questo gli scienziati lanciano l’allarme sugli incendi in atto nella foresta, temendo che possano compromettere la lotta ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale.