Ma – ci si chiede – è realistica oggi una siffatta prassi politica? Sarebbe mai possibile governare le nostre società complesse e composte da milioni di persone con forme di democrazia diretta, ancorché lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa abbia trasformato il mondo in un villaggio globale? E quand’anche fosse tecnicamente possibile, sarebbe politicamente auspicabile? Giova rammentare che la differenza tra «la libertà presso gli antichi», come si esprimeva Benjamin Constant (1767-1830) pensando all’Atene di Pericle, e «la libertà presso i moderni» è di tipo qualitativo, cioè sostanziale.
La moderna democrazia liberale, che è da considerare una irrinunciabile conquista dello spirito umano e non una forma transuente legata ad un determinato periodo storico, prevede necessariamente la rappresentanza politica mediata da istituzioni, ancorché elettive sulla base di una libera competizione tra una pluralità di soggetti politici, giacché, con buona pace di Rousseau e dei suoi remoti discepoli, il governo delle complesse società moderne richiede un personale specializzato e competenze particolari. Rispetto e decisioni articolate su materie complesse, come ci si può illudere di pronunciarsi con un semplice ‘sì’ o con un semplice ‘no’?
È pur vero che la nostra Costituzione prevede una forma di democrazia diretta quale il referendum abrogativo, ma gli conferisce una funzione integrativa e marginale, limitando le materie che ne possono essere oggetto, e subordinando la validità del pronunciamento popolare ad un giudizio preventivo della Corte Costituzionale e a una soglia di partecipazione minima degli aventi diritto. Insomma: la moderna democrazia liberale, vale a dire la migliore forma di governo che si conosca, o è democrazia mediata, o, semplicemente, non è. Le derive plebiscitarie precedono o sanciscono le svolte illiberali.
C’è poi da aggiungere che la democrazia liberale, per poter funzionare bene, ha bisogno che, accanto alle istituzioni giuridiche, agisca in via permanente una sorta di camera di decompressione delle passioni, a formare una cittadinanza cosciente e informata, affinché gli elettori non si lascino incantare dalle ricorrenti sirene del populismo e della demagogia. Siffatta camera di decompressione delle passioni non può essere, evidentemente, un organo costituzionale. Deve essere il risultato di una continua opera di educazione i cui soggetti non possono che essere la scuola, la famiglia, la chiesa, gli intellettuali, una stampa e una televisione responsabili, che formino e non deformino. Al maturo esercizio della democrazia non ci sono scorciatoie, non ci sono piattaforme virtuali che tengano.
La democrazia liberale implica partecipazione matura dei cittadini alla cosa pubblica, una partecipazione delle menti prima ancora che dei cuori che non si può esaurire nel pigiare un tastino. La sovranità, poi, come sancisce la nostra Costituzione, ancorché appartenga al popolo, la si esercita nelle forme stabilite dalla Costituzione stessa. Per il resto, mi sento di dire che Jean-Jacques Rousseau, che molti citano e pochi hanno veramente letto, è un cattivo maestro, padre intellettuale di tanti errori commessi nel Novecento. Molta della fortuna che ha trovato presso i posteri è da ascrivere al fatto che i suoi scritti, in un momento storico propizio, fecero vibrare corde assai sensibili, ma non profonde, dell’animo umano. Sul suo pensiero, Deo adiuvante, conto di scrivere in un prossimo futuro un articolato ed argomentato saggio, per quel poco che potrà contare.
Giuseppe Lalli