I provvedimenti eseguiti dalla squadra mobile agrigentina diretta da Giovanni Minardi, contengono accuse gravi nei confronti dei tre: associazione a delinquere dedita alla gestione di un centro di prigionia illegale in Libia, torture, violenze e minacce.
Tutto ciò “accompagnato – sostengono gli investigatori – dalla mancata fornitura d’acqua” ai migranti che venivano rinchiusi in attesa di imbarcarsi verso le coste siciliane. Vessazioni a cui i migranti erano sottoposti per costringere i loro congiunti al pagamento di somme di denaro per la loro liberazione. Contestati diversi reati: tratta di persone, violenza sessuale, tortura, omicidio, sequestro di persona a scopo di estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
I tre fermati sono Mohamed Condè, Hameda Ahmed e Mahmoud Ashuia: il primo arriva dalla Guinea, gli altri due dall’Egitto. Sono stati fermati mentre si trovavano in un centro d’accoglienza di Messina, dove erano stati trasferiti dopo lo sbarco a Lampedusa.
IL RACCONTO DEI TESTIMONI: DONNE VIOLENTATE SISTEMATICAMENTE
“Tutte le donne che erano con noi, una volta alloggiate all’interno di quel capannone sono state sistematicamente e ripetutamente violentate dai 2 libici e 3 nigeriani che gestivano la struttura. Preciso che da quella struttura non si poteva uscire. Eravamo chiusi a chiave. I due libici e un nigeriano erano armati di fucili mitragliatori, mentre gli altri due nigeriani avevano due bastoni”. È una delle testimonianze dei migranti rinchiusi nel campo di prigionia di Zawyia, in Libia, che hanno consentito ai pm della Procura di Agrigento di squarciare il velo sugli orrori che avvengono nel paese nordafricano spiccando un provvedimento di fermo nei confronti di due egiziani e un cittadino della Guinea.
“Le condizioni di vita, all’interno di quella struttura, erano inaudite . Ci davano da bere – ancora il testimone – acqua del mare e, ogni tanto, pane duro. Noi uomini, durante la nostra permanenza all’interno di quella struttura venivamo picchiati al fine di sensibilizzare i nostri parenti a pagare loro delle somme di denaro in cambio della nostra liberazione. Di fatto avveniva che, i predetti organizzatori ci mettevano a disposizione un telefono col quale dovevamo contattare i nostri familiari per dettare loro le modalità con il quale dovevano pagare le somme di denaro pretese dai nostri sequestratori”.
Il testimone poi prosegue: “Ho avuto modo di apprendere che la somma richiesta dagli organizzatori in cambio della liberazioni di ogni di noi, si aggirava a circa 10000 dinari libici. Io, malgrado incitato a contattare i miei familiari, mi sono sempre rifiutato, Proprio per questo motivo sono stato oggetto di bastonate da parte loro. Preciso che, in occasione di un mio rifiuto, un nigeriano, con il calcio della pistola, dopo che mi ha immobilizzato il pollice della mia mano destra su un tavolo, mi ha colpito violentemente al dito, fratturandolo. Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura ho avuto modo di vedere che gli organizzatori hanno ucciso a colpi di pistola due migranti che avevano tentato di scappare”.
Tra le testimonianze anche quella di un migrante che ha raccontato le torture subite nel campo di prigionia illegale: “Durante la mia permanenza all’interno di quella struttura, a causa delle mie rimostranze contro la mia ingiusta detenzione, sono stato più volte picchiato. Ho subito delle vere e proprie torture che mi hanno lasciato delle cicatrici sul mio corpo. Specifico che sono stato frustato tramite fili elettrici. Altre volte preso a bastonate, anche in testa”.
E ancora: “L’uomo era spregiudicato, in quanto picchiava tutti i prigionieri e li torturava, frustandoli con i cavi elettrici; li bastonava servendosi di tubi in gomma”.
TESTIMONE: IN CAMPO LIBICO TORTURE CON SCARICHE ELETTRICHE
“Eravamo tutti sottoposti a continue violenze e torture da parte dei nostri carcerieri, poiché pretendevano il pagamento di una somma di denaro, da parte dei parenti, in cambio della nostra liberazione. Chi non pagava veniva torturato con la corrente elettrica. Ti davano delle scosse che ti facevano cadere a terra privo di sensi”. Questo uno dei racconti forniti dai migranti ai magistrati della Procura di Agrigento su quanto avveniva in una prigione illegale in Libia, a Zawyia.
“Ho assistito personalmente a tanti omicidi avvenuti con la scossa elettrica – ancora il testimone -. Succede che ti forniscono un cellulare con il quale contattare i parenti per esortarli a pagare il riscatto. Laddove non si ricevevano le somme richieste il migrante veniva poi ucciso”.
E ancora: “Io sono stato picchiato più volte, anche senza alcun motivo apparente. Noi migranti venivamo picchiati tramite un tubo di gomma che ci procurava tanto dolore e, alcune volte, anche delle ferite. Personalmente, all’interno di quel carcere, ho avuto modo di vedere che un migrante è deceduto a causa della fame. Era malnutrito e nessuno prestava a lui la necessaria assistenza. Ho visto, anche, tanti altri migranti ammalati che non venivano sottoposti alle cure necessarie. Ho visto che un carceriere, una volta, ha sparato e colpito alle gambe un nigeriano, colpevole di aver preso un pezzo di pane. Ho avuto modo di vedere che, tante volte, nel corso della giornata, le donne venivano prelevate dai carcerieri per essere violentate”.
“Da questa prigione – conclude il racconto – si usciva solamente se si pagava il riscatto. Chi non pagava, al fine di sollecitare il pagamento, veniva ripetutamente picchiato e torturato”. (www.dire.it)