A poche ore dalla terribile notizia del bimbo di due anni dimenticato in auto sotto il sole nel parcheggio della Cittadella di Catania, l’opinione pubblica s’interroga sulla colpevolezza di un uomo disperato, distrutto, che piange continuamente e non riesce a spiegare l’accaduto. L’uomo, come atto dovuto, è indagato dalla Procura di Catania, per omicidio colposo. In un contesto in cui, egli stesso, si è già condannato. Non si dà pace e, secondo quanto riferiscono persone vicine alla coppia, continuerebbe a ripetere che è stata colpa sua. La morte di un figlio così piccolo non può che rappresentare per un genitore un duro colpo. L’incredulità di fronte a questo evento inaspettato spinge l’opinione pubblica a chiedersi “perché è successo?” L’effetto del sovraccarico cognitivo è stato indistinguibile dagli effetti dell’urbanizzazione, spiegano gli scienziati. Secondo i ricercatori la vita della metropoli, pur non riducendo le generali capacità cognitive degli individui, plasma il cervello in modo che impari a focalizzarsi solo sugli stimoli particolarmente importanti, tralasciandone il resto. La frenesia delle città modifica le nostre capacità cognitive, adattandole alle necessità del caos urbano. Tutto ciò non farà altro che proiettare negli occhi del giovane padre il rifiuto di questa realtà incomprensibile e quanto mai dolorosa. Quando un figlio muore, il genitore si aggrappa a quell’immagine idealizzata mentre lotta contro un mondo che gli ha rubato la persona che più amava. La tristezza sarà sempre presente, così come il risentimento. Un terribile dolore interiore. Un modo di manifestare lo sconforto e il malessere rispetto a qualcosa che genera rifiuto. Non possiamo evitare che queste brutte cose accadano, ma possiamo diventare più forti ad ogni colpo che incassiamo. Sono occasioni per imparare ad essere resilienti, per maturare secondo il nostro ritmo e per renderci conto che la vita non è contro di noi, ma è semplicemente la vita: incerta e tante volte volubile.