Dovrebbe, quest’ultimo, rappresentare un tempo costruttivo, di ricostruzione emotiva e personale, per divenire più autentici, specie con noi stessi.
Un tempo di solidarietà, di cui si avrebbe tanto bisogno, sempre, non solo adesso.
Le relazioni liquide, ossia quelle relazioni fragili, di cui parlò Bauman, potrebbero sussistere anche in questo momento, in cui in maniera fittizia restano tali, fragili, precarie, trasvestendosi di sorrisi ed unione su scala nazionale/mondiale, sebbene i mass media rimandino tutt’altro.
Il processo, il concetto di unione è qualcosa che merita più di qualche mese di sedimentazione.
Ha bisogno di tempo per maturare in ognuno di noi, non sboccia così all’improvviso, e soprattutto un’intera umanità che ha vissuto per secoli in un modo non cambia per effetto di un Virus per quanto devastante esso possa essere.
Si assumono atteggiamenti poiché è la morale che li vuole, quella stessa morale che abbandoniamo nel momento in cui torniamo a sentirci forti come razza umana. La morte è un qualcosa che accompagna il mondo tutti i giorni, gente che muore nelle guerre, bambini che vengono bombardati in Siria, tumori provocati dal nostro disinteresse verso il mondo che ci ospita, eppure non piangiamo, non facciamo silenzio, non smettiamo di cantare sotto la doccia e soprattutto se siamo felici noi va bene così e non abbiamo più quel senso della morale, della mancanza di rispetto verso il prossimo, pur fregandocene inavvertitamente spesso dello stesso.
Stiamo sperimentando la “Vulnerabilità”, e momentaneamente la coda la stiamo riponendo in mezzo alle nostre gambe, ma la vera domanda è quanto durerà e soprattutto quali effetti sortirà qualora essi ci siano come società.
La paura, il terrore che stiamo vivendo in realtà non ha cambiato la nostra società, almeno al momento, e non è neanche detto che ne abbia posto le basi per un cambiamento.
Appena subito un forte trauma ci sono dei tempi di reazione immediati, un po’ come quando si mette la mano sul fornello che scotta e la si ritrae immediatamente, anche in quel caso, non sempre è detto che si abbia acquisito una nozione.
L’inconscio collettivo che diviene collettività nel terrore per poi tornare ad un Sé di massa che si configura come minaccioso, diffidente.
Lavorare sul Sé sociale è certamente qualcosa di più di Barbara D’Urso che piange lavandosi le mani, ricordandoci quanto sia importante qualcosa che alla fine lo è sempre stato.
Negli anni non mi è parso di vedere un popolo così attento, specialmente al proprio Sé, piuttosto ho osservato un popolo modaiolo, il quale si riempiva e si riempie, specialmente oggi, la bocca parlando di Sociologia, di Psicologia e di quali comportamenti assumere e quali no.
Una Nazione dove costantemente si stilano profili su tutto e tutti, su come si è, su come si dovrebbe essere, ed alla fine non lo sappiamo nemmeno noi.
Insomma l’epoca della tuttologia,” tutti un po’ Psicologi, un po’ Medici, un po’ Infettivologi, un po’ di tutto”.
Presumibilmente prima non sapevamo esistessero varie tipologie di mascherina, forse sapevamo ne esistesse una, adesso parliamo di valvole e si cerca quella di marca, quella a doppia/tripla protezione e magari non sappiamo nemmeno precisamente da cosa ed in quali modalità ci protegga.
Una cosa a cui però non possiamo porre controllo è il, seppur minimo, “processo di autenticità” che avviene in ognuno di noi, il processo comunicativo con noi stessi che è ciò in cui ripongo speranza.
Io proporrei: “Uniti Noi con il Nostro Sé ce la faremo”, non solo adesso ma specialmente nel futuro come Umanità, in quanto solo realizzando nuovi costrutti dentro ognuno di noi, goccie di questo mare chiamato Mondo, e calcificandoli avremo la più grande forma di prevenzione, di ricostruzione e di riumanizzazione del nostro Pianeta, valutando ognuno il proprio universo interno e curandolo, cosa a cui si pone poca attenzione.
(Francesco Cifariello)