pseudonimo di Sher B. Di recente, l’uomo ha infatti aperto una nuova etichetta discografica, con la quale
lancerà anche alcuni dei suoi prossimi lavori.
Ciao Mario, io partirei parlando di questo periodo. Immagino che anche il tuo lavoro sia stato
scombussolato dal Coronavirus. Hai dovuto rinunciare a qualche progetto?
“Certo, come immaginerai ho dovuto rinunciare a tantissimi progetti. In primis ai due tour, sia per quanto
riguarda la musica classica, sia per la dancehall. Avevamo un po’ di date a Milano, con l’apice del tour ai
magazzini generali. Tutto annullato ovviamente. Ti posso dire però che questo periodo legato al
Coronavirus mi ha dato delle nuove idee creative, perché sostanzialmente ho avuto molto tempo per stare
in studio a riflettere, a meditare, ad aggiornare, a creare. Insomma, a fare un po’ di tutto. E’ stato forse
l’unico periodo della mia vita in cui sono riuscito a dedicarmi a me stesso. Mi occupo davvero di tante cose,
quindi le giornate durano poco per poter esprimere al massimo tutto quello che potrei fare”.
Bene. Entriamo nel dettaglio di tutto ciò che hai potuto creare.
“Ho finito un sacco di pezzi, un disco per pianoforte. Ho praticamente preparato il nuovo singolo. In questi
giorni è tra l’altro uscita la mia nuova etichetta discografica, insieme con Warrior Inc., che si chiamerà Sher
B. Empire. Uno dei miei obiettivi è stato sempre quello di trovare e lanciare sul mercato dei nuovi ragazzi,
creare musica. Insomma, condividere e connettere le persone il più possibile tra di loro. Sono molto felice
perché, contrariamente a quanto si può pensare per via del Coronavirus, sono riuscito a fare tante cose”.
Immagino che questa fase ti abbia anche permesso di studiare ulteriormente…
“Esatto. Occupandomi anche di musica classica, ho bisogno pure di tanto studio, soprattutto per quanto
riguarda i nuovi repertori. Stiamo organizzando un tour, che sognavo di fare da una vita, nelle cattedrali
italiane. La prima data era prevista il 14 agosto in un monastero a Firenze”.
So che hai cominciato a suonare da piccolissimo. Questa passione per la musica ti è stata tramandata o è
innata in te?
“Guarda, si dice che ogni cosa può essere innata, ma in realtà un tramando c’è sempre. Io ho l’orecchio
assoluto, che è una cosa con cui si nasce. Un bambino appena nato non sa parlare, quindi non ti può dire se
ce l’ha oppure no. Ad ogni modo, mio padre suonava e di conseguenza, per quanto la mia passione potesse
essere innata, è stato lui a favorire il mio amore per la musica. Sono nato organista, proprio perché a casa
avevo quello. Da lì ho iniziato a fare i primi repertori, per poi spostarmi sul pianoforte ed arrivare alla
conoscenza di tutta la musica in generale. Tra l’altro faccio anche il maestro: ho fondato la mia scuola
internazionale e in più sono in quella pubblica italiana.”.
Hai sempre creato in un autonomia la tua musica?
“Sì. Ho sempre creato la mia musica perché sono del parere che per fare qualcosa di bello e di grande si
debba essere se stessi. Quello che adesso manca alla scuola italiana è che tutti hanno quella cultura da bar.
Tutti sono preparati soltanto a quello che accade in questo momento, che è un limite. In molti dicono: la
musica si è fermata al rock, agli anni ’70. Non è vero, anche se purtroppo ci siamo cullati sul lavoro che
avevano fatto altre persone. Per quanto riguarda la mia musica, la creo invece in maniera scrupolosa e
precisa, direi persino maniacale. C’è una continua ricerca su di essa”.
Veniamo alla tua casa di produzione. Sono usciti tanti artisti da lì?
“Beh, sì. Anche se devo dire che qualche anno fa c’era più il senso di amicizia, ci si trovava, si faceva musica.
Adesso il mercato discografico è cambiato, si pensa solamente ai soldi, agli ascolti. Il mainstream adesso è
predominato dalla musica Trap. Anche se, a parer mio, quest’anno sarebbe stato di nuovo dell’indie.
L’arrivo del Coronavirus ha però bloccato un po’ tutto. La musica identifica i vari periodi in cui l’uomo vive,
seppur sia tutto indotto. Il gusto non si sceglie, ma si impone. Fa parte del business. In base a dove va il
mercato, va la musica. C’è anche chi cambia sound o quant’altro in base all’audience”.
Hai detto che hai fondato la Sher B. Empire, la tua nuova etichetta. Quali sono i suoi obiettivi?
“Vorrei riuscire a dare voce ai ragazzi che non ce l’hanno. A quelli che ancora sono chiusi nella loro
stanzetta in cerca di successo, ma che purtroppo non sanno come muoversi. Provano a scimmiottare quello
che vedono; non hanno capito che essere la parodia di qualcun altro non porta da nessuna parte. Di questo
ne abbiamo esempi lampanti ovunque. Voglio far capire ai giovani che non si può fare strada se non si
prendono d’esempio i grandi maestri. E la bravura di un maestro non è detto che vada di pari passo con il
successo e i soldi”.
Ritorniamo alla tua musica. A me ha colpito il fatto che ti è stata assegnata la medaglia al valore musicale.
Come hai vissuto questo riconoscimento?
“E’ stata un’emozione davvero intensa. Per me, raggiungere un obiettivo del genere mi ha fatto strapiacere.
L’ho vissuto con grandissima soddisfazione. Esulando da quelle persone che magari guardano più il titolo
che hai rispetto alla qualità che puoi offrire, la medaglia al valore musicale è stata il riconoscimento al
lavoro che ho svolto per anni. E ti assicuro che non c’è niente di più bello per un artista, se non quello di
vedere che la sua musica è arrivata”.
Ho una curiosità, legata ad uno dei nomi d’arte che usi: Sher B. Da dove nasce?
“In realtà questa è una storia molto arcaica. Come hai detto uso diversi nomi, il che porta spesso la gente a
chiedermi di che razza sono. Sher B. è un nome biblico che deriva dalle dodici tribù di Israele; per la
precisione da quella di Asher. Utilizzo vari nomi per contestualizzare la tipologia di musica che faccio. Con la
dancehall e la Trap mi chiamo Sher B., quando mi immergo nella musica classica sono Mario Sbs Spataro.
Anche se ultimamente sento la necessità di far convergere la mia musica in un unico e grande calderone.
Perché chi mi conosce in un solo ambito, fa fatica a credere che io mi occupi anche dell’altro”.
A proposito dei generi musicali di cui tu ti occupi, approfondiamo un po’ la grossa ricerca che c’è dietro.
“Beh, diciamo che ho avuto sempre il mio genere musicale; per quanto riguarda la parte pop ho spaziato
nella dancehall e, fin da quando ero bambino, ho cominciato a fare concerti di musica reggae col nome di
Sher B. Negli anni, non ho mai suonato musica leggera e italiana. Per la classica il discorso è invece diverso:
lì ci stanno i repertori e l’accademia pianistica richiede un determinato programma”.
Che visione hai della musica?
“A dire il vero, ho una mia visione della storia della musica. Penso che in tutte le epoche la musica sia
rimasta sempre la stessa, non dal punto di vista della sonorità ma da quello concettuale, ossia di come
veniva fluita. Sono cambiati i mezzi, i vestiti… ma l’appeal dell’artista, del musicista, è rimasto sempre
uguale nei secoli. Adesso noi siamo abituati a vedere un’artista x della nostra epoca, per chi ha vissuto con
Mozart era la stessa cosa. Per quanto riguarda me, faccio sempre convergere nella mia musica quello che
sono, tanto è vero che quando riascolto le mie creazioni mi accorgo che c’è un imprinting forte del mio
sound. Rimane magari contestualizzato in un genere piuttosto che in un altro, però non rispecchia quei
parametri standard che usano tutti”.
Io parlerei un po’ della tua formazione. Immagino tu abbia fatto il conservatorio.
“Credimi quando ti dico che il discorso del diploma, e quindi del conservatorio, non lo menziono mai. Sono
diplomato, ma la mia forma mentis per fortuna è venuta fuori in questo modo perché sono stato lontano
dal sistema scolastico, come ha sempre funzionato in Italia. Fondamentalmente mi sento un autodidatta,
perché purtroppo la formazione che dà l’Italia è pressocché nulla, soprattutto se parliamo di quella del sud.
Non è producente dire queste cose, in un’intervista, ma il mio pensiero reale, e concreto, è questo. Ho
studiato sempre o da solo o con l’aiuto di mio padre. Se tu parli con tanti ragazzi il conservatorio ha creato
davvero tanti danni, anche se non voglio generalizzare. Poi ho deciso di voler suonare, la cosa che è sempre
stata fondamentale per me. Non per diventare famoso, ricco e bello ma per dare la mia musica agli altri”.