Girato nel cuore della Città Eterna lo scorso dicembre, nella splendida cornice del quartiere ebraico, del Lungotevere e dell’Isola Tiberina, il film di Giulio Base è una produzione Altre Storie e Clipper Media con Rai Cinema.
La scelta della Giornata della Memoria per la visione su Rai Play sottolinea l’importante messaggio che il film vuole dare: continuare a cercare e ricordare la storia della Shoah affinché non si ripeta più, studiare e incontrare le diverse religioni nel rispetto reciproco.
Nel film il passato si intreccia col presente: il ritrovamento di una vecchia lettera contenente una misteriosa fotografia ingiallita che ritrae una bambina, datata 1946, porterà un gruppo di giovani studenti alla ricerca della verità.
CAST E PRODUZIONE
Nel cast troviamo Bianca Panconi, Emma Matilda Lió, Daniele Rampello, Irene Vetere, Francesco Rodrigo, Marco Todisco, Aurora Cancian, Alessandra Celi, con la partecipazione di Lucia Zotti, l’amichevole partecipazione di Domenico Fortunato e un cameo di Giulio Base.
«Della Shoah non si parlerà mai abbastanza – afferma Giulio Base – Quando poi lo si fa rivolgendosi ai più giovani, coltivando la memoria come fosse un giardino da non lasciare mai privo di cure, ciò vale ancor più. In questa storia vive non solo un teen drama, non solo un intreccio adolescenziale, non è la pietà per le vittime dello sterminio, che pure è presente, ad animare il plot, ma la ricerca di quel che accadde, la voglia di sapere, di scoprire, di divulgare acciocché quell’orrore non debba mai più ripetersi».
INTERVISTA AL REGISTA GIULIO BASE
Il regista dichiara di essere molto entusiasta di questo lavoro, e soprattutto di aver conosciuto Israel Cesare Moscati, a cui il film è dedicato. Un uomo e artista dotato di una grande intuizione, che lo ha ispirato e guidato fino alla sua improvvisa dipartita, lasciandogli il testimone. «Una delle cose più belle che ho fatto in questo film è stato conoscere Israel e da lui ho imparato la forza delle idee. Aveva delle illuminazioni e una volontà veramente fuori dal comune, era pieno di intuizioni. Come tutti coloro che vogliono fare la loro opera prima, voleva mettere dentro tutto: la musica, lo sport, il futuro, la difficoltà della memoria, che è un po’ quello che abbiamo cercato di fare nel film. Nel nostro rapporto di lavoro e di amicizia non c’è mai stata una volta in cui non ringraziava Dio quando ci sentivamo, quando ci salutavamo. Lui si rivolgeva sempre al cielo».
Sul tema della Shoah, Giulio Base afferma che «è stato un onore affrontare questo tema, studiare e leggere dozzine di libri e documentari e avere la possibilità di passare qualche ora con il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, una persona illuminata che mi ha dato tantissimo. “Rabbi” in aramaico significa maestro e lui per me lo è stato veramente».
Il silenzio è un elemento che torna spesso negli ultimi film del regista, una sua marca autoriale. Lo adotta anche nel suo precedente lavoro, “Bar Giuseppe” (2020), dove i silenzi sono davvero forti ed eloquenti. In “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” compaiono alcune scene e inquadrature in cui i ragazzi si guardano e senza parlare si capiscono. Il silenzio torna poi in tutta la sua forza nella scena finale, quando la suora e la “sua” Sarah, ormai anziana, si rincontrano dopo tanti anni e si abbracciano disperatamente. Una scena toccante, che porta al suo acme le emozioni di tutto il film.
«Il silenzio è il linguaggio di Dio – risponde il regista – è il modo in cui Lui ci parla, se lo sappiamo ascoltare o se lo vogliamo ascoltare. Anche “Bar Giuseppe” ha molto a che vedere con lo spirituale, così come questo film: c’è una metànoia (dal greco μετανοεῖν, metanoein, cambiare il proprio pensiero, cambiare idea, ndr) da parte della protagonista che si converte completamente verso l’ebraismo e della nonna, che pur essendo ebraica di nascita, rimane cristiana (lo diventa da bambina, dopo essere stata adottata, ndr)».
«Nella cultura ebraica – prosegue Giulio Base – l’aspetto spirituale è molto importante. Nella loro cultura, che è poi anche la nostra, non c’è differenza tra vita politica e vita religiosa. Dico che è anche la nostra perché, parafrasando Benedetto Croce, non possiamo non sentirci ebrei. La nostra cultura è permeata di cultura ebraica. Io mi ritengo un po’ ebreo, pur essendo nato cristiano. Gesù era ebreo, la nostra cristianità ha quindi origini ebree, veniamo da lì, e il silenzio è parte di questa religiosità comune. Siamo cristiani, siamo ebrei, siamo parte della stessa scintilla umana».