Roma – Ai fini dell’agevolazione “prima casa” richiesta con la dichiarazione di successione, ove si faccia valere il requisito dello svolgimento dell’attività lavorativa nel Comune in cui ha sede l’immobile, tale requisito deve sussistere al momento dell’apertura della successione e non a quello della relativa dichiarazione. Così si è espressa la Corte di cassazione, applicando il principio di retroattività dell’accettazione, con l’ordinanza n. 11101 del 27 aprile 2021.
La controversia esaminata dall’ordinanza in esame scaturisce dalla notifica a tre contribuenti, da parte dell’Agenzia delle entrate, di un avviso di liquidazione dell’imposta di successione, con cui si revocava il beneficio “prima casa” richiesto da uno dei tre coeredi, in quanto questi non aveva – pur essendovi obbligato – trasferito la residenza nel Comune nel termine di diciotto mesi dall’apertura della successione.
Secondo i contribuenti, soccombenti sia in primo che in secondo grado, l’agevolazione doveva essere riconosciuta indipendentemente dal trasferimento della residenza, in quanto l’immobile era situato nel Comune in cui l’acquirente svolgeva la propria attività di imprenditore agricolo professionale.
A tal proposito è necessario premettere che l’articolo 69, commi 3 e 4, della legge n. 342/2000, prevede l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (200 euro ciascuna), anziché proporzionale, quando, in capo ad almeno uno dei beneficiari, sussistano i requisiti e le condizioni previsti, in tema di imposta di registro, dall’articolo 1, nota II-bis, della Tariffa parte prima allegata al Dpr n. 131/1986. L’opzione per la “prima casa”, in sede di successione, avviene tramite la relativa dichiarazione (quadro EG) o nell’atto di donazione.
Più in particolare, la lettera a) della citata nota II-bis prevede che l’immobile debba essere “ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività”.
Con il primo motivo di ricorso i contribuenti, ai quali era stato revocato il beneficio, hanno dedotto la violazione del citato articolo 69 della legge n. 342/2000, sottolineando la differenza tra l’acquisto inter vivos da quello mortis causa, il primo legato a un evento prevedibile, la volontà di vendere, l’altro a un evento imprevedibile, quale è la morte. La Ctr avrebbe errato nel richiedere lo svolgimento dell’attività nel luogo ove si trova l’immobile al momento dell’apertura della successione, perché – secondo i ricorrenti – l’articolo 69 si dovrebbe interpretare nel senso che i presupposti dell’agevolazione devono sussistere non all’apertura, ma al momento della dichiarazione di successione.
In via subordinata, i contribuenti hanno lamentato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, nella parte in cui non consente di estendere il termine di 18 mesi, previsto per il trasferimento della residenza, all’attività lavorativa (o, in altri termini, non consente di avviare o trasferire l’attività lavorativa entro i 18 mesi dall’acquisto).
Con un secondo motivo, i contribuenti hanno dedotto la violazione della nota 2-bis della Tariffa allegata al Tur, in quanto la Ctr, da un lato, avrebbe confuso il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa con la sede legale dell’azienda dei contribuenti e, dall’altro, avrebbe dato rilievo ad altra attività lavorativa svolta in diverso luogo dall’erede che aveva optato per la “prima casa”. Infine, la Ctr non avrebbe considerato che parte degli immobili aziendali si trovava proprio nel Comune nel quale era situata l’abitazione oggetto dell’opzione.
Nella decisione, in riferimento alla quale non constano precedenti specifici (e ciò ha costituito motivo per la compensazione delle spese), la Cassazione ha esaminato il profilo relativo al momento in cui si devono verificare i requisiti dei benefici “prima casa” nel caso di successione mortis causa; si tratta cioè di comprendere se i requisiti debbano essere verificati rispetto al momento dell’apertura della successione o al momento della presentazione della dichiarazione di successione.
In altri termini, l’interrogativo è il seguente: qual è, nel caso di una successione, l’atto equiparabile all’“atto di acquisto” di cui alla lettera a) della nota II-bis della Tariffa, rispetto al quale verificare la sussistenza dei requisiti?
Pur prendendo atto che una delle coeredi aveva ottenuto il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale prima della dichiarazione di successione, la Cassazione ha affermato che il momento rilevante per il trasferimento è quello dell’apertura della successione, perché è con essa che si produce l’effetto reale dell’acquisto del bene da parte degli eredi, e non quello del successivo adempimento fiscale.
Anche nella materia in trattazione deve, infatti, trovare applicazione l’articolo 459 cc, secondo cui l’acquisto della qualità di erede a seguito di accettazione (espressa o tacita, eventualmente con beneficio d’inventario) retroagisce al momento dell’apertura della successione, cioè (articolo 456 cc) alla morte del de cuius. In materia tributaria, anche se con riferimento all’Invim, un precedente (oggi riportabile all’alienazione di terreni edificabili di cui all’articolo 67 lettera b) del Tuir) può rivenirsi nella pronuncia della Cassazione n. 26357/2006, secondo la quale il valore iniziale di un bene immobile compreso nell’attivo ereditario e poi trasferito a terzi deve essere fissato in quello che il bene aveva al momento dell’apertura della successione, “perché questa costituisce il titolo dell’acquisto del bene da parte degli eredi”.
Nel caso in esame, però, la qualifica di imprenditore agricolo era stata conseguita dieci mesi dopo l’apertura della successione, sicché non potevano ritenersi integrati i requisiti dell’agevolazione.
La Corte ha, poi, ritenuto infondata la censura di costituzionalità dell’articolo 69, nella parte in cui non prevede un termine di 18 mesi per il trasferimento (oltre che della residenza) dell’attività lavorativa, osservando che l’uniforme disciplina delle agevolazioni è frutto di un legittimo, e non arbitrario né irragionevole, esercizio di discrezionalità legislativa.
A ciò si può aggiungere che, dato che la disciplina “ordinaria” dell’imposta di registro (alla quale l’articolo 69 rinvia puramente e semplicemente) non consente acquisti “prima casa” in previsione di un futuro spostamento dell’attività lavorativa, che deve essere già esercitata nel Comune dell’immobile, non sussiste nemmeno il tertium comparationis del giudizio di costituzionalità: ciò che è stato richiesto con il ricorso per cassazione è, a ben vedere, la riscrittura ex novo dell’agevolazione.
In conseguenza dell’insussistenza (come detto, da accertarsi al momento del decesso) del requisito dell’attività lavorativa nel Comune ove ha sede l’immobile, la Corte ha poi dichiarato assorbiti, perché non rilevanti ai fini della decisione, i motivi di ricorso relativi alla sede dell’attività lavorativa e alla composizione del patrimonio aziendale.